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Granfondo Dolci Terre di Novi Rodman Bikes

di - 03/04/2017

Quando il meteo concede una tregua, oppure la pioggia si prende paura di un’orda di ciclisti ingarellati, imbaccuccati e kittati con qualsiasi strumento che possa rendere impermeabili. Apriamo così la nostra esperienza alla Granfondo dei Campionissimi Dolci Terre di Novi, a Novi Ligure, manifestazione che saltuariamente deve fare i conti con i capricci della primavera. Alcune edizioni in passato sono state caratterizzate da giornate con clima quasi estivo, altre da pioggia battente e freddo, altre ancora da repentini cambi in corsa che hanno messo a dura prova la resistenza (e pazienza) dei corridori.

Partiamo da un cenno: Dolci Terre di Novi, il nome della gara che parte di fronte al Museo dei campionissimi di Novi Ligure, Provincia di Alessandria, che a nostro parere è diventata dolce solo nelle ultime tre edizioni, da quando è stato cambiato in toto il percorso, tracciato che oggi si sviluppa nel territorio alessandrino più spostato verso la parte ligure. Alcune stagioni a dietro, lo sviluppo avveniva verso i Colli Tortonesi, con denti avvelenati e pendenze tutt’altro che dolci, anche con distanze maggiori rispetto a quelle ultime.

Torniamo alla giornata di gara vera e propria: nonostante le previsioni di pioggia, fortunatamente non battente, tutti i pedalatori hanno potuto beneficiare di un clima adeguato, senza pioggia (solo tratti di strada bagnata nella prima parte del percorso) e una temperatura tutto sommato gestibile. Ecco, qui vogliamo dividere in due le categorie:

Categoria “chissenefotte”, “non ho caldo ma una volta che mi ingarello in mezzo al gruppo sudo come se fosse il 15 di Agosto. La gamba scoperta con un dito di olio riscaldante va bene e fa figo (solo se la gamba è abbronzata, il manicotto ci stà e il casco con la calotta aero è di moda. Dai che il tempo brutto ha lasciato qualcuno a letto e oggi mi piazzo di categoria.”

Categoria “lo devo fare per forza”, “ho pagato il pettorale e corro, ho il numero basso ma mi metto in fondo alla griglia, ciuccio la ruota e stò coperto più che posso, la interpreto come una giornata d’allenamento. Ho l’abbigliamento giusto che mi ripara da freddo e pioggia; avrò caldo? Pazienza, devo perdere ancora un kiletto e sudare fa bene. Si dai, allenamento, faccio girare le gambe, d’altronde se fossi a casa, l’ultima cosa che farei è uscire in bici.”

Sapete cosa ha accomunato l’80% dei ciclisti in questa Domenica di sport a Novi Ligure? Lo stato influenzale, chi poco, chi tanto con i postumi dell’influenza (e noi ne sappiamo qualcosa).

Alle 10 il via, strada bagnata ma non piove, partenza subito in salita, cambi che sgranano e cuore subito in gola, si va e la velocità è subito alta: nonostante non ci sia il Mortirolo, la qualità della colazione diventa fondamentale in questi frangenti, uno start dove la partenza in prima griglia diventa un fattore già di buona importanza. Qui, in questo percorso (medio e lungo) di pianura vera c’è ne poca, in particolare la prima parte è caratterizzata da un vallonato continuo, sali-scendi, mangia e bevi dove sei sempre in spinta, dove il gruppo di allunga e si compatta in continuazione, in un attimo passi dalla testa all’ultima posizione del “bounch”. Gli occhiali si sporcano di gocce di acqua, misto sabbia e sporco della ruota anteriore dell’avversario, classica situazione che non tutti sanno gestire: i più sgamati abbassano gli occhiali o li tolgono, oppure spruzzano la borraccia (importante che non ci siano sali e zuccheri), gli altri urlano in un turbinio di emozioni post depilazione. Facile notare anche le scelte tecniche, in una giornata come questa, in cui il faldone di ciclisti si divide esattamente a metà, tra chi ha scelto la ruota in alluminio e chi si è mantenuto fedele al carbonio.

I cartelli ben visibili ma con frecce piccole al loro interno, accompagnano gli atleti in mezzo alle colline, man mano la strada si asciuga a dispetto di un cielo plumbeo: tanti addetti con tutte e bandierine fluorescenti sul percorso, nelle rotonde e nei punti sensibili. Qualche moto in più, per tutti, non sarebbe guastata ma la presenza della auto Shimano “è sempre tanta roba”.

Segnaletica nei pressi della divisione dei percorsi da primato, sull’asfalto, con personale molto attivo e segnaletica orizzontale, veramente ben studiata: ci viene da dire che, chi ha sbagliato qui, lo ha fatto per poca lucidità propria. Tutto sommato le strade e l’asfalto sono buoni, tenendo in considerazione la media qualitativa delle strade italiane, con alcuni segmenti mal messi lungo la discesa della salita affrontata dal solo percorso lungo, San Martino di Roccaforte.

Anche in questo caso, l’organizzazione (molti componenti del comitato gara sono praticanti e appassionati) ha evidenziato in modo ben visibile la porzioni rotte della strada. Ma qui si fa vedere anche la nebbia tipica dell’Appennino dopo una notte di pioggerella e umidità. Peccato, perché questa è una zona con un panorama a che toglie il fiato, un’apertura a 360° in un contesto spazio/temporale che sembra aver dimenticato la modernità. Qui in estate, si dorme bene con la coperta e lenzuolo. A poco più di metà percorso, un occhio di sole fa capolino sulle teste dei ciclisti.

Si torna verso la civiltà, passando per la Val Borbera, lingua di strada che probabilmente nasconde ancora qualche partigiano, rimasto nascosto. La val Borbera nelle giornate di sole è una strada particolarmente allenante, bella, strana e poco trafficata. Si passa per Le strette, piccolo dentello dove il vento si fa sentire, dove l’espressione comune degli indigeni ciclisti del posto è: “ma chi è che ha aperto la porta, che fa corrente”. Dai che è quasi finita, manca poco, chi si nutre in modo avido di gel per fare la volata, chi sbuffa, chi si alza in piedi per tirare le gambe ed evitare il crampo all’interno coscia.

E’ andata bene, un’altra giornata in bici a fare quello che più ci piace.

Tutte le immagini sono di Sara Carena.