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Granfondo Internazionale Bianchi Felice Gimondi

di - 07/05/2018

In barba a chi aveva pronosticato brutto tempo, la 22^ edizione della Granfondo Internazionale Bianchi Felice Gimondi di Bergamo è stata baciata da un caldo sole, da un clima quasi estivo da cui tutti ne hanno tratto vantaggio: ciclisti in primis, organizzatori ma anche accompagnatori e semplici spettatori si sono goduti una giornata di bici e sport. Per tutti è La Gimondi, un evento amatoriale organizzato e curato come pochi altri e da cui molti dovrebbero prendere spunto: ancora una volta 10 con lode. Ecco il doppio racconto della nostra redazione tecnica e di Davide Sanzogni, con le foto di Sara Carena.

Dalla redazione tecnica

Sono le 5,45 di domenica mattina! Come di domenica mattina! mattina, di domenica, anche il buon Dio oggi si è riposato! Si lui ma noi siamo ciclisti, anzi, granfondisti, peggio dei professionisti, si perché loro non si alzano prima delle 4 a fare colazione, impomatarsi, fare il rutto (e altro che non si racconta), terminare di preparare la bici e mettersi in griglia. Ah, le griglie della Gimondi aprono alle 6,10 ma di fronte ai cancelli di accesso la gente inizia a prendere posizione verso le 5,15/30 (forse anche prima). La partenza alla Gimondi è fondamentale, sia che tu parta primo, oppure ultimo ma presentarsi li, con ancora i solchi del cuscino sulla faccia, quello è eccessivo. Come scritto in precedenza, la giornata della Granfondo Internazionale Bianchi Felice Gimondi, mediamente inizia prima delle 4: sveglia, toilette, strofinata di faccia, qualcosa addosso per non fare figure in sala colazioni dell’hotel (oppure per non prendere freddo alla pancia), colazione, preparazioni varie e quell’immancabile rumore della pompetta sul pavimento, oramai un suono che sancisce il tempo della competizione. E’ così, nessuno lo può negare.

L’alba, scambi qualche sguardo con gli altri ciclisti, che tu segui perché li vedi sicuri della loro strada, quella che ti porta all’interno, nella zona della partenza. Lo start ufficiale sarà alle 7, precise. Per questa granfondo ci sembra d’obbligo una premessa, un aspetto che in molti, anche dopo 22 edizioni, non considerano: questa manifestazione amatoriale, in questo 2018 ha compiuto 22 anni, ventidue edizioni di un evento che parte e arriva in una grande città. Bergamo non è una metropoli, per volume e spazi non è al pari di Milano, Roma o altri agglomerati più vasti, Bergamo però è una cittadina ricca, che non dorme mai, che freme di lavoro e attività, tutti aspetti che in un certo senso contrastano con la chiusura delle strade, con il blocco del traffico (se pur parziale), con le “problematiche” che porta una manifestazione di questo stampo, di queste dimensioni ad un comprensorio come quello di Bergamo e delle sue valli. Si perchè ad essere coinvolti nella granfondo, sono ben 38 comuni e zone che vivono di turismo del fine settimana: ma Bergamo è terra di ciclismo e terra di ciclisti.

La Gimondi è una gran bella gara, che mette a disposizione tre percorsi, duri ma non estremi, selettivi ma mai troppo cattivi e impossibili. Il centro nevralgico e cuore della manifestazione è Il Lazzaretto, che a noi piace definire come un patio, struttura posta alle spalle dello stadio, capace di accogliere ciclisti, accompagnatori e bambini, espositori e tensostrutture, con un bellissimo viale di partenza e arrivo: lo spazio non manca, altre manifestazioni pagherebbero per avere tutto questo.

L’uscita dalla città è sempre complicata, con le sue curve, rotonde, svincoli e cambi di direzione a novanta gradi, con la salita dei Pasta, dopo circa otto km che emette già le prime sentenze: ecco perché partire bene, diventa fondamentale, anche per minimizzare qualsiasi tipo di rischio. le strade che permettono di pedalare senza mai tirarsi troppo il collo, o che la bici si impenni, in salita, per la pendenza improbabile. Selvino, Berbenno, Laxolo, Val Taleggio, Val Brembana e Val Seriana, Costa Valle Imagna, sono tutti nomi importanti per chi ama pedalare: qui è più facile incrociare un pro che si allena, piuttosto che un ciclista qualunque. Si attraversano borghi e paesi, ci sono strade più ampie e lingue di asfalto strette rubate alla montagna ma a terra non mancano scritte, incitamenti rivolti alle corse in bici. In alcuni tratti, tantissima gente a vedere la corsa, sopra al Berbenno un folto gruppo di ragazzi ci ha accolto con le trombe da stadio. La sicurezza: alla Granfondo Internazionale Bianchi Felice Gimondi, nulla è lascito al caso in fatto di presidi, supporto e scorta tecnica. Tutte le rotonde sono coperte da Polizia, Polizia Locale, Carabinieri, oppure da volontari e Protezione Civile ma anche i semplici residenti si danno da fare e si sentono coinvolti. I punti sensibili, come incroci e ponti sono tenuti sotto controllo, moto, punti di assistenza medica, ambulanze posizionate al termine delle discese, senza dimenticare gli stand dell’assistenza meccanica ad ogni scollinamento. Peccato per qualche tratto di asfalto malmesso, in discesa, reduce da un lungo inverno che tra questi monti non ha fatto sconti.

E come tutte le zone montane, anche questa permette di vedere qualche santo ad ogni scollinamento.

Il ritorno verso il capoluogo di provincia è una fucilata, con l’ultimo km che è sempre complicato da interpretare, soluzione voluta per fare diminuire la velocità dei gruppi che giungono al traguardo, talvolta ben nutriti ma permette inoltre ai corridori di tornare esattamente al punto da cui sono partiti. Tantissima gente ad aspettare!

La consacrazione della Granfondo Internazionale Bianchi Felice Gimondi è avvenuta già qualche stagione a dietro ma anno dopo anno, questa gara è una conferma e certezza. Il comitato organizzatore cura il minimo dettaglio e probabilmente è nelle condizioni di insegnare ad altri come si fa, come si costruisce e gestisce una granfondo con migliaia di partecipanti.Si può e si deve sempre pensare a migliorare, inventarsi qualcosa di nuovo da offrire ma pensiamo che la Gimondi non necessita di nessun salto qualità: diventerebbe una classica da pro.La Gimondi Bergamo è una gara schietta di stampo internazionale che non ha bisogno dei personaggi celebri, dei nomi da passerella e da rotocalco per far parlare di se: la Gimondi è una granfondo patrimonio dei grafondisti a cui basta essere semplicemente La Gimondi.

Per quanto concerne le primissime posizioni del percorso granfondo, quelle per la vittoria e il podio, La Gimondi è sempre una sorta di thriller: tutti la vogliono, perché ha valore e se la vinci è una vittoria che pesa. Thriller anche in questo 2018 ma, il nostro commento sulla classifica finale termina qui, perché una granfondo è pur sempre una manifestazione dedicata agli “amatori”, o forse no!

Davide Sanzogni

Sarebbe riduttivo parlare della Granfondo Internazionale Bianchi Felice Gimondi come di una normale granfondo. In primo luogo e’ un evento che si identifica con la provincia di Bergamo dato che prende le mosse dal capoluogo e ne attraversa, almeno nel percorso lungo, buona parte delle vallate principali. Visto che la partenza e’ fissata alle 7 del mattino e il ritiro dei pacchi gara possibile solo al sabato, l’ideale e’ cogliere l’occasione per una visita alla città.

Quest’anno, a differenza delle ultime edizioni, i ciclisti hanno potuto beneficiare di un weekend soleggiato e la città e’ stata invasa nei suoi vicoli più’ caratteristici. E’ stato uno spettacolo vedere ciclisti di ogni parte d’Italia e del mondo fermi ai tavolini dei caffè oppure provare la gamba e le proprie bici sulle strade che portano alla città alta. Per i più pigri resta la  possibilità di salire con una delle funicolari che collegano Bergamo alla parte alta o San Vigilio. Forse non a caso il cartello che avverte della possibilità di caricarvi le bici non mostra la solita graziella, ma piuttosto l’inconfondibile profilo di una specialissima. La granfondo Gimondi e’ anche questo, un riuscito equilibrio tra gara vera ed evento turistico capace di richiamare dopo 22 edizioni oltre 4000 partecipanti oltre ai numerosi accompagnatori.

Ad essere precisi, le gare sono ben tre dato che la Gimondi propone ben tre percorsi, tutti caratterizzati da salite impegnative e discese tecniche su buon asfalto che obbligano a tenere la gamba sempre in tiro. La poca pianura presente va sfruttata al meglio per alimentarsi. Fondamentale, specie nel caso del percorso maggiore, avere la lucidità di non strafare all’inizio poiché il tratto più ostico arriva alla fine con la salita della Val Secca. Ma quello che più di tutto fa la differenza e’ il presidio del tracciato, praticamente blindato, che consente a tutti di esprimersi in sicurezza traendone il massimo divertimento. Ma, come ha ammonito Felice Gimondi poco prima di dare il via ufficiale, per la sicurezza e’ richiesta anche la collaborazione dei partecipanti. Perdere pochi secondi in discesa per non prendersi rischi inutili e’ un sacrificio accettabile per non rovinare una giornata che deve essere di divertimento e certamente non vuol dire rinunciare a spingere forte. In tal senso deve essere anche letta la decisione dell’organizzazione che da quest’anno premia, oltre ai primi 3 assoluti per sesso e per percorso, solamente il primo o la prima di ogni categoria. Un buon modo per disinnescare un agonismo a volte eccessivo quando il vero confronto, considerate anche le dimensioni dell’evento, non può che essere in primo luogo che con se stessi.

Fatta questa considerazione, le condizioni per divertirsi ci sono tutte: dai numerosi ristori ai punti di assistenza meccanica in cui sono coinvolti i bike shop della zona. La gran fondo Gimondi ci coccola e ci fa sentire un po’ tutti dei professionisti, anche grazie al numeroso pubblico presente in particolare sul Selvino. Per chi ha avuto modo di alzare la testa e guardasi un po’ intorno avrà potuto percepire qualcosa della bellezza dei posti attraversati. La chiesetta dedicata ai ciclistici in cima al Colle Gallo, i murales dedicati ad i campioni dello sport entrando a Selvino, le architetture liberty di San Pellegrino, gli orridi della Val Taleggio con i suoi borghi arroccati in boschi resi verdissimi dalle recenti piogge come contraltare di un cielo blu intenso. Mi piacerebbe trovare le parole giuste anche per raccontare della Valsecca, ma onestamente il lungo rettilineo che caratterizza questa ascesa fatto sotto il del mezzo di’ sole mi ha asciugato un po’ la vena poetica e i crampi patiti lungo la successiva discesa mi hanno definitivamente cotto. Segno che nonostante le buone  intenzioni non sono stato cosi’ lucido ed ho esagerato nella prima parte.

Per fortuna all’arrivo al Lazzaretto di Bergamo non mancano che pochi km in prevalenza in discesa e una volta tagliato il traguardo, rigorosamente impugnando saldamente il manubrio per via dei tappeti in rilievo, si riceve la meritata medaglia celebrativa e soprattutto si accede ad un fornitissimo ristoro, preludio invece ad un pasta party minimale. Ma c’è un motivo, ed e’ nobile. Per chi vuole birra patatine e salamella sono disponibili, a pochi euro, presso lo stand gestito da un’organizzazione benefica. Una scelta che mi pare legittima, anche considerato che a dispetto dell’enorme macchina organizzativa che la Gimondi mette in campo e dei servizi che offre sul percorso di gara, tutto sommato e’ accessibile ad un costo di iscrizione che e’ può essere anche la meta’ rispetto ad altri eventi di questo tipo. Docce come sempre calde e prive di fila, bike-park e un enorme prato su cui sdraiarsi a riposare mentre si attende l’arrivo degli amici e perché no, già si pensa alla Gimondi 2019… prima pero’ deve passarmi il mal di gambe.

 

 

 

 

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.