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Marcialonga Cycling Craft, sempre magnifica

di - 01/06/2018

“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano” cantava Venditti e, seppur l’artista abbia poco a che fare col ciclismo e non sia propriamente trentino, le sue parole identificano nel migliore dei modi la mia Marcialonga Cycling.

 

Ecco il racconto del nostro Riccardo Zacchi.

Questa granfondo è stata, infatti, la mia prima esperienza dolomitica sui pedali, ci partecipai più di sette anni fa ma da allora non riuscii più a prendervi parte, restandomi lo stesso nel cuore. In questi anni ho conservato un gran bel ricordo di quell’esperienza, sia a livello sportivo sia per tutto ciò che riguardava la location e l’organizzazione dell’evento. Riferendomi a quest’ultimo aspetto non sono stato assolutamente smentito né mi sono ritrovato deluso, al contrario, poiché chi sta dietro le quinte è riuscito nel miracolo di rendere ancor più perfetta l’intera manifestazione: è stato progettato un intero aspetto grafico e promozionale di altissima qualità con loghi accattivanti, strutture di accoglienza e informazione perfette, servizi di qualità ed eventi di contorno degni delle migliori occasioni. Mi reco a Predazzo il venerdì pomeriggio, ma dopo una lunga giornata in macchina riesco a malapena a cenare, per poi crollare a letto senza neppure fare un giretto di sopralluogo nel borgo fiemmese.

Organizzo però il giorno successivo con i seguenti tempi: giretto in bici per sgranchire un po’ le gambe, ritiro pacchi gara, pranzo, relax ed infine perlustrazione tra gli stand ed eventi in programma. Il primo punto della lista mi sfugge subito di mano: com’è possibile limitarsi ad un solo giretto di pochi chilometri quando hai a disposizione tutta questa bontà di salite e panorami mozzafiato? Ecco che la “saggezza” e precauzione pre-gara va a farsi benedire, poiché decido di far visita all’incantevole laghetto di Carezza, affrontando il passo Costalunga ed aggiungendo qua e la qualche altra salitina. Almeno, se non altro, sono riuscito ad andar piano!

Il resto della giornata – anche se temporalmente traslato di qualche ora! – procede secondo i piani, considerando che l’operazione di ritiro pettorale si svolge in un attimo grazie ai numerosi addetti presenti al banco iscrizioni/segreteria; mentre sacrifico solamente un po’ di relax per poter assistere alla “mini cycling” (competizione per i più piccoli e le loro mountain bike) nelle vie del centro paese. Durante questo pomeriggio si è respirato in lungo e in largo il classico clima del grande evento: sono davvero molti i granfondisti che si sono recati sul posto per questa gara, molti provengono dall’estero e quasi tutti non sono giunti da soli sul posto, ma hanno approfittato della Marcialonga per passare qualche giorno di vacanza con i propri cari o amici. Ho trovato sistemazione alberghiera proprio sul viale di arrivo/partenza della gara, per cui la domenica mattina la mia sveglia coincide con l’inizio del lavoro di “costruzione griglie” da parte degli addetti; colazione sostanziosa, veloce preparazione e mi precipito in griglia, rendendomi conto guardando il cronometro ufficiale di quanto fossi in anticipo! Solo in questo momento mi accorgo anche che il cielo è meno sereno di quanto credessi, così decido di tornare una corsa in stanza per prendere la mantella più pesante al posto del semplice antivento, non si sa mai in queste gare alpine.

Alle ore 8 in punto la bandierina a scacchi viene abbassata ed il lungo serpentone di partecipanti si mette in moto verso il fondovalle, seguendo la veloce strada che ci porta oltre il passo di San Lugano e ci proietta all’imbocco della salita di Monte San Pietro; finora tutto ok, l’andatura molto sostenuta è dovuta alla pendenza favorevole che incontriamo in questo primo tratto, ma non appena la strada si impenna ecco che, oltre alla difficoltà altimetrica, si presenta anche quella atmosferica: piove! Non volevo fare l’uccello del malaugurio portando la mantella antiacqua, avrei preferito lasciarla in hotel, ma da un certo punto di vista ora mi consolo nel fatto di poterne usufruire; fortunatamente non è freddo, per cui il fastidio di essere inzuppati risulta più limitato, ma la pioggia cadrà incessantemente sino allo scollinamento del passo Lavazè, ultima asperità per i concorrenti del percorso medio.

Oltre tale asperità ritroviamo strade asciutte ed un timido sole che cerca di farsi spazio tra le nuvole, fattori molto graditi per godersi in maggior sicurezza la velocissima discesa dal passo; la strada che risale a Predazzo passa in un baleno, sono in un gruppo di circa una trentina di unità in cui, grazie a cambi frequenti, l’andatura risulta vivace e i chilometri scorrono in fretta. Ora comincia il bello però, le dolomiti vere. Dalla località di partenza si devono percorrere ancora una decina di chilometri in falsopiano a salire verso Moena, dove si attaccano passo San Pellegrino e passo Valles senza soluzione di continuità. La stanchezza nelle gambe aumenta esponenzialmente metro dopo metro in salita, cerco di rimanere il più concentrato possibile sullo sforzo e di seguire un ritmo costante; formiamo un piccolo gruppetto, qualche piccolo scroscio d’acqua ci investe nuovamente, ma ogni ad ogni pedalata ci si rende conto di essere più vicini alla meta. In questo modo anche la veloce discesa verso Paneveggio e Bellamonte vola via in un attimo, catapultandoci nella curva a destra in centro a Predazzo che anticipa di un centinaio di metri la linea d’arrivo.

Qui ti “investe” il calore degli spettatori e dell’accoglienza (speaker, addetti alla consegna della medaglia da finisher) tipica delle migliore occasioni; ripenso un secondo allo sconforto iniziale quando ha iniziato a piovere ed ora sorrido al pensiero di aver messo alle spalle quel momento e di aver completato con soddisfazione la mia prova , sarebbe stata una grossa delusione e rammarico se mi fossi ritirato. Una bella doccia in albergo mi rimette come nuovo, pronto a gustarmi appieno l’abbondante pasta party e potermi finalmente rilassare con amici, raccontandoci a vicenda le mille emozioni vissute col numero attaccato sulla maglia e durante questi giorni doloMITICI.

Teso a cura di Riccardo Zacchi

photo credits Newspower

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.