Pubblicità

Multidisciplinarietà una parola vari significati

di - 19/12/2019

Multidisciplinarietà, una parola che riempie la bocca. È fuori di dubbio che per un ragazzo giovane sia importante praticare un ampio spettro di gesti tecnici per sviluppare armonicamente le sue potenzialità. È infatti fino al termine dell’adolescenza che la maggior parte delle esperienze si traducono poi in adattamenti fisiologici. Questo consente inoltre di preservare i giovani da un’eccessiva aspettativa portandoli a maturare senza bruciarsi precocemente.

La multidisciplinarietà è un percorso di vita prima di tutto

Ci sarà modo nel proseguo di un’eventuale carriera per focalizzarsi su una disciplina. Eventuale abbiamo scritto, perché non va dimenticato che per un atleta che riesce ad emergere ci sono tanti altri ragazzi che giocoforza dovranno seguire un diverso percorso di vita. Appiattirli sulla pratica di una sola disciplina e poi congedarli farebbe loro un torto, ben oltre l’ambito sportivo. Da anni persino la Federazione parla di multidisciplinarietà per crescere i campioni di domani con i giusti tempi e capacità. Si potrebbe obiettare, come abbiamo già scritto, che manchino i sostegni concreti alle associazioni sportive giovanili che vogliono far percorrere ai propri atleti questa via. Per il momento, le punte di lancia del movimento italiano sembrano essere più il risultato di fortunate circostanze che un processo di crescita all’interno di un ricco vivaio. Ma forse, con un decennio di ritardo, le cose stanno cambiando.

Eppure i più multidisciplinari sono gli amatori

Viceversa, tra i master sempre pronti ad inseguire l’ultima tendenza in fatto di allenamento e ad emulare i professionisti c’è stato un interesse maggiore. Arrivando a coinvolgere non solo altre specialità del ciclismo, come il ciclocross da qualche stagione tornato in auge, ma pure discipline come lo sci da fondo ad esempio e la preparazione in palestra. Niente di nuovo in senso assoluto. Avvolto nel “nuovo involucro della multidisciplinarietà”, ora viene inseguito con maggiore convinzione omettendo a volte due differenze fondamentali.

Ecco le due fasi

La prima è che la curva di apprendimento della tecnica è molto più rapida da giovani, quando l’apparato neuro-muscolare è in corso di formazione e, diciamolo, quando le ossa sono anche un più elastiche e le cadute fanno meno paura. Sicuramente si può imparare a destreggiarsi sullo sterrato o in gruppo piuttosto che in pista anche quando si è entrati nei trenta. Ma non sarà mai lo stesso che averlo imparato da ragazzi.

La seconda e forse più importante, è che per definizione un professionista di qualunque disciplina fa dello sport il suo lavoro.  Consideriamo ad esempio uno stradista che percorre in un anno circa 35000-40000 chilometri. Meno rispetto ad alcuni anni fa, dato che il calendario più lungo concede brevi pause e richiede di farsi trovare con la gamba “in tiro” in più momenti dell’anno. Questo si traduce in 1000-1200 ore in sella annuali, ovvero tre-quattro ore al giorno in media. A queste l’atleta aggiunge il recupero come parte integrante dell’allenamento, la cura dell’alimentazione spesso seguito da un nutrizionista, tutte le attività legate alla squadra, alla cura del mezzo meccanico e infine il tempo e la necessità di praticare un’altra disciplina. Possibilità quest’ultima che il professionista sfrutta per fare qualcosa meno stressante a livello mentale oltre che fisico. Necessità perché in un’epoca di “marginal gains” nulla può essere tralasciato anche se, appunto, marginale.

Nibali che scende in MTB tra i vigneti dell’Etna o Nino Schurter impegnato a fare core-stability sono la punta di un iceberg di una vita dedicata allo sport. Senza contare che tanto Nibali quanto il “vecchio” Nino (ha solo 33 anni a dispetto degli otto titoli mondiali appesi in bacheca) fanno parte di un’élite di iper-selezionati professionisti, non persone qualunque.

Il pericolo è di multidisciplinarizzare troppo

L’amatore al contrario ha un lavoro che di norma non inizia sull’uscio di casa ma che spesso gli richiede più o meno lunghi spostamenti. Naturalmente l’amatore mangia, o almeno dovrebbe, anche se qualcuno salta i pasti per allenarsi o perdere peso. E spesso, soprattutto nella stagione invernale, le poche ore libere che restano non sono le migliori per allenarsi. Non perché faccia buio e si debba optare per la pratica indoor. Anzi questa come scritto più volte è una valida alternativa e con alcuni accorgimenti già di per sé una sorta di multidisciplinarietà. Orari inopportuni perché magari ci si trova digiuni al mattino (rispetto all’intensità del lavoro da svolgere) o a ridosso dell’ora in cui verrebbe più naturale coricarsi che fare attività fisica.

Un amatore arriva a praticare nella maggior parte dei casi dalle 300 alle 600 ore di attività all’anno, ovvero circa un’ora al giorno, massimo due. Difficilmente paragonabili con quelle di un professionista che può permettersi quindi di fare tanto oltre che bene, supportato naturalmente da un motore e da un’età che non sono quelli di un master.

E poi ci dimentichiamo il riposo e il recupero

Per un amatore agonista praticare discipline diverse esclusivamente come un mezzo per migliorare di riflesso le proprie prestazioni nella attività principale è fuorviante. In primis, l’amatore che ha poco tempo per dedicarsi all’attività primaria dovrebbe sfruttare questo tempo al meglio. Di più l’amatore, già stressato dalla propria attività lavorativa, spesso risente di un’inadeguata cura dell’alimentazione ed è privato dei necessari tempi di recupero tra lavoro ed allenamento, accumula stress. Ed è in quest’ottica che va intesa la multidisciplinarietà per il master, come un diversivo. In maniera quindi più simile a come la vivono gli atleti maturi che a come viene, giustamente, incoraggiata tra le nuove leve. Non un mezzo per incrementare le proprie prestazioni, una possibilità per fare qualcosa di diverso, divertente e soprattutto gratificante, ma in definitiva meno stressante. Pena il rischio di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato.

a cura della redazione tecnica, con il fondamentale contributo di Davide Sanzogni. foto di Sara Carena, LDL, BettiniPhoto Bora Hansgrohe, IBF, Billiani, Campagnolo.