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Question & Answers – Christoph Hainz ITW

di - 01/09/2013

INTERVISTA DI: Marco Melloni, Richard Felderer
FOTO DI: Xandi Kreuz, Roger Schoeli, Claudia Ziegler, Salewa

CHRISTOPH HAINZ È UNO DEI MIGLIORI ALPINISTI DEL MONDO, NONCHÉ UNO DEI PIÙ COMPLETI. L’ELENCO DELLE SUE IMPRESE ALPINISTICHE È DAVVERO STRAORDINARIO E CONTA OLTRE 2.000 VIE (DI CUI 20 IN SOLITARIA CON LIVELLO DI DIFFICOLTÀ COMPRESO TRA VI E VIII). NUMEROSE SONO LE PRIME ASCENSIONI SU ROCCIA E GHIACCIO E PARTICOLARE FAMA GLI È VALSA L’ASCENSIONE IN SOLITARIA IN NOVE ORE DELLA “VIA FRANCO-ARGENTINA” (VIII/A2, CERRO FITZ ROY, PATAGONIA), OLTRE AL LEGGENDARIO TOUR IN SOLITARIO DI 4 ORE E MEZZO DELLA PARETE NORD DELL’EIGER SULLA VIA HECKMAIR, NEL 2003. NEL 2010 HA AGGIUNTO ALLA SUA TRILOGIA “DAS PHANTOM DER ZINNE” (IX+) SULLA CIMA GRANDE, “ALPENLIEBE” (IX) ALLA CIMA OVEST E “ÖTZI TRIFFT YETI” (VIII+) ALLA CIMA PICCOLA, POI ANCORA UN’ALTRA VIA ESTREMA: “PRESSKNÖDL” (400 M, 12 SL, 7C) CHE SI ESTENDE A SINISTRA DELLO SPIGOLO SCOIATTOLI LUNGO LA PARETE NORD DELLA CIMA OVEST.

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Christoph descriviti brevemente ai lettori che non ti conoscono, da dove vieni e com’è cominciata la tua carriera alpinistica?
Ciao, sono nato nel 1962 a Selva dei Molini in Alto Adige e vivo ancora in questa splendida regione con la mia famiglia. Ho vissuto la mia infanzia in un maso di contadini quindi passavo un sacco di tempo all’aria aperta anche per accudire il bestiame. A vent’anni ho avuto una nuova consapevolezza di ciò che mi circondava, ho cominciato a vedere le montagne con occhi diversi e ad aver voglia di scalarle. Otto anni dopo il primo approccio con l’alpinismo ho lasciato l’occupazione di meccanico e nel 1992 sono diventato Guida Alpina e di Sci-Alpinismo e nel 1999 istruttore di Arrampicata Sportiva e Guida di Canyoning. Nel 1989 dopo aver scalato la nord dell’Eiger, spronato da un amico mi venne l’idea di fare la guida alpina. In principio ero sempre in giro sulle Dolomiti con un gruppo amici, scalavamo prevalentemente in artificiale. Per noi era importante partire dalla base di una parete e arrivare fino in vetta, la vetta in quel periodo era l’obiettivo, l’idea di arrampicare con uno stile è maturata più tardi, alla fine degli anni ’80 cominciammo a scalare in libera.
Come dicevo in quegli anni scalavo sempre con un piccolo gruppo di persone, una decina. In quegli anni era diverso da ora perché tra le altre cose non esistevano i telefonini, passavamo la settimana in falesia, poi ci davamo appuntamento al venerdì per passare il weekend, avevamo dei luoghi di ritrovo abituali, come un certo albergo. Al sabato mattina eravamo tutti pronti senza darsi appuntamento col telefonino, ora che c’è questa facilitazione nessuno arriva più in orario, è curioso! Il livello fra noi era più o meno uguale e se anche c’era rivalità e qualcuno era un po’ più forte una volta tornati in valle ci si ritrovava come amici davanti a una birra.
Nel giro che frequentavo si erano formati 2 o 3 gruppi e ognuno aveva dei progetti e li realizzava.

In quel periodo eri interessato a fare gare d’arrampicata?
Da ragazzo ero a tutti gli effetti un’atleta professionista, facevo delle gare, ma pensai che la mi strada fosse quella di diventare Guida Alpina, una professione che avrei potuto praticare anche per gli anni a venire e che non avrebbe caratterizzato solo la mia giovane età. Tenere il livello per un atleta professionista è difficilissimo, attualmente poi restare al vertice per più di 2 o 3 anni è molto difficile. Io sono soddisfatto della mia performance perché in questi trent’anni sono riuscito a mantenere un livello piuttosto alto e su terreni diversi: in falesia, su grandi pareti, su roccia, ghiaccio. La polivalenza caratterizza il mio stile, questo mi rende un alpinista completo. Mi piace molto arrampicare con i giovani, mi stimolano a migliorare, quest’anno ho scalato un 8a+ (alla mia età non lo fanno in molti, ride) e continuo ad aprire anche delle vie nuove come l’ultima, non ancora pubblicata, a destra della via del Muro Giallo di Glowacz, l’abbiamo finita ma la libereremo appena farà bel tempo, è un 7b, più che altro era da pulire un bel po’.

Il tuo curriculum alpinistico comprende una notevole quantità di vie, tra cui prime e
solitarie, come nasce in te la scelta di una nuova via, la vivi più come l’appagamento dell’exploit sportivo o come la ricerca di un’avventura in senso più ampio?

La scelta delle vie che ho percorso rispecchia un po’ lo spirito del tempo in cui le ho fatte, posso dire che nei primi anni ’90 ho fatto delle vie davvero difficili con chiodi normali che sono state poco o ancora mai ripetute. In quel periodo avevo un livello altissimo, e rischiavo anche tanto ripensandoci oggi. In seguito dalle mie parti l’arrampicata si era un po’ spostata in Marmolada così iniziai a concentrarmi sulle Tre Cime, fu il momento di Das Phantom der Zinne alla Cima Grande. L’artificiale allora non era più praticabile senza critiche, così dovendo tenere conto anche delle esigenze di chi arrampicava con me mi concentrai a fare vie con gli spit ma un po’ lontani e questo è stato il modo in cui ho aperto le vie alle Tre Cime. La scelta della solitaria è nata un po’ per caso, ricordo un episodio, ero già Guida e mi trovavo nelle Dolomiti di Brenta, la mattina ero occupato e al pomeriggio avevo del tempo libero, ma ero da solo. Avevo già fatto tutte le ferrate e mi trovai di fronte a una parete con una via che non conoscevo, la Via delle Guide, vicino al Rif. Brentei, un pilastro di 300 m. Non è una via difficile ma essendo da solo fu un’esperienza particolare e anche rischiosa; e così mi è capitato altre volte, di essere libero e da solo e di avere voglia di provare qualcosa di nuovo.
La solitaria sull’Eiger è stata una cosa diversa, ero lì con un cliente per fare più che altro scialpinismo e una certa notte nacque l’idea, le condizioni erano ideali e il cliente mi disse che se io avessi voluto fare l’Eiger lui avrebbe fatto lo Jungfrau, così lo feci. Nella mia carriera è sempre stato un po’ così, le idee partorite all’ultimo momento sono state quelle di maggior successo e che mi hanno dato maggior soddisfazione.
E’ stato così anche per la solitaria al Fitz Roy, anche in quel caso avevamo provato due o tre volte con i miei compagni ma eravamo troppo lenti, non funzionava. Mi ero già deciso ad andarmene, pensavo di andare a fare qualcosa in Cile alle Torri del Paine, poi pensai che valesse la pena fare un altro tentativo, ma l’unica chance era di andare da solo, veloce; le condizioni erano ideali e così ci riuscii. La pianificazione ti porta spesso a trovarti nel posto giusto al momento sbagliato, per questo per avere successo nell’alpinismo spesso bisogna aver la capacità e la possibilità di decidere all’ultimo momento in base alle condizioni.

Vent’anni da Guida. Ci lamentiamo un po’ tutti del nostro lavoro, che rapporto hai con il tuo mestiere oggi?
Beh dipende un po’ anche dai clienti, devo dire che ci sono clienti davvero bravi con cui ho la possibilità di scalare pareti e montagne interessanti e sentire quindi tutta la motivazione necessaria a farlo. In caso contrario diventa un po’ una ripetizione e la routine è proprio ciò che fa detestare qualsiasi impiego. Negli anni anche i clienti sono cambiati un po’, è cambiato il loro approccio alpinismo, c’è stata una naturale evoluzione legata all’evoluzione dell’attività alpinistica stessa. Se un tempo preferivano fare le vie lunghe, classiche, e arrivare in vetta, ora capita il cliente che vuole fare una via magari da 3, 4 o anche 10 tiri difficili e scendere in doppia senza nemmeno arrivare in vetta. Io nella mia attività di guida sfrutto la mia polivalenza, porto i clienti a fare una cascata, ad arrampicare come a fare sci-alpinismo, dare varietà al mio lavoro lo rende sempre gratificante; inoltre il mio livello mi porta ad essere scelto per fare cose anche difficili, per il rapporto di fiducia che si viene a creare con il cliente e tenere alto il livello è proprio ciò di cui ho bisogno.

Ti capita anche di avere qualche donna per cliente? Che differenze ci sono a livello di approccio alla montagna fra uomo e donna?
Si certo mi capita, più spesso però ho per clienti delle coppie. Capita che una donna non riesca ad arrampicare con il suo compagno, per una difficoltà di intesa, se nella coppia si inserisce la figura della Guida allora tutto fila liscio. Differenze specifiche non ne trovo, il livello può essere alto o basso indipendentemente, bè logicamente arrampicare con una bella donna ha i suoi lati positivi, bisogna essere realisti (ride).

A tuo parere come viene percepito oggi l’affidarsi ad una Guida, ci sono differenze di approccio fra il cliente italiano e straniero?
L’idea di affidarsi a una Guida credo sia cambiata in questo senso: una volta capitava che un cliente non volesse affidarsi ad una Guida del suo paese per scalare una determinata montagna, perché non voleva far sapere di aver salito quella montagna con una Guida. Oggi a questa cosa non si dà più importanza, le persone si legano tranquillamente ad una Guida di fiducia senza paura del giudizio degli altri. Una differenza fra nazioni la riscontro nell’approccio alla montagna del cliente tipo, personalmente ho più clienti tedeschi. Il cliente tedesco prenota il mio tempo con largo anticipo senza curarsi troppo delle condizioni che troverà, una volta con me, in base al tempo decidiamo cosa fare in un ventaglio di possibilità, il cliente italiano al contrario decide all’ultimo minuto in base alle previsioni e così spesso mi trova già occupato.

C’è come Guida un’esperienza in particolare da cui hai tratto un importante insegnamento?
In tutti questi anni sono capitati tanti episodi importanti da cui ho tratto insegnamenti. Ricordo una volta in cui scalavo con due clienti, erano in sosta, io salivo con i ramponi ma a un certo punto mi sono accorto che non mi ero più autoassicurato, è stato un errore e questo mi insegnato a stare sempre attento. Purtroppo la disattenzione è una possibilità concreta e il ripetere tante volte la stessa via porta a sottovalutare le insidie, è fondamentale per una Guida mantenere la, per garantire la sicurezza a se stessa e al cliente ed è molto importante che anche il cliente mantenga alto il grado attenzione e aiuti la Guida a tenere costante il livello di sicurezza.

Cosa non dovrebbe mancare nello zaino di chi va in montagna?
Bé bisogna sapere scegliere quello che è utile portarsi dietro, se prendiamo in considerazione l’intero campo delle possibilità ci vorrebbe uno zaino troppo grande, bisogna saper fare selezione. Dipende molto dal tipo di via che affronteremo, su una via come la Cima Grande mi porto tre rinvii, qualche moschettone, l’attrezzatura per fare le doppie e una corda, se vado su una nord mi porto un altro tipo di attrezzatura. Ho sempre dietro una giacca a guscio, perché il tempo o la temperatura possono cambiare in un attimo, il caschetto e spesso mi porto il sacco da bivacco, su vie che non conosco anche un martello con un paio di chiodi per attrezzare una doppia. Un minimo di attrezzatura di emergenza occorre prevederla, comunemente si pensa che con il telefonino si sarà in grado di chiedere aiuto ma spesso poi il telefonino non prende e bisogna trarsi d’impaccio da sé, il telefonino non ferma i sassi o il mal tempo (ride).

Grazie Christoph ci vediamo in montagna!

Diplomato in Arti Grafiche, Laureato in Architettura con specializzazione in Design al Politecnico di Milano, un Master in Digital Marketing. Giornalista dal 2005 è direttore di 4Actionmedia dal 2015. Grande appassionato di sport e attività Outdoor, ha all'attivo alcune discese di sci ripido (50°) sul Monte Bianco e Monte Rosa, mezze maratone, alcune vie di alpinismo sulle alpi e surf in Indonesia.