All’inizio lo chiamavano per scherzo Said. Come Aouita, atleta marocchino che tra la metà e la fine degli anni ’80 rastrellava medaglie olimpiche. In realtà Andrea Bifulco in quel periodo nuotava per la Sportiva Sturla, e però i suoi compagni si erano resi conto che il meglio lo dava fuori dall’acqua, quando si faceva fiato con la corsa: Said, appunto, che staccava tutti e alla fine a correre si mise sul serio. Dalla Sportiva al Cus Genova, allora, specialista dei 5000 metri e del cross, “atleta d’indubbio livello nazionale, un istinto agonistico pazzesco” lo ricorda oggi chi lo valorizzò nel momento migliore. E’ stato campione italiano universitario, Bifulco e sempre nel periodo accademico partecipò ai mondiali con la nazionale. Un nome che nel mondo dell’atletica genovese in molti hanno conosciuto e per questo ieri mattina erano in centinaia, nella chiesa della Sacra Famiglia di via Bobbio a Marassi, per dargli l’ultimo saluto a due passi dalla casa di via Montaldo dove ha sempre vissuto.
Lo ha stroncato il cancro a 41 anni, in pochi mesi, si era reso conto che qualcosa non andava sul finire dello scorso anno, rientrando da un allenamento perché di correre non aveva smesso mai. I primi sintomi, gli esami, il responso inesorabile, la forza di restare comunque in piedi fin quasi all’ultimo: cercava di rimanere solo con se stesso facendo lunghe camminate, consapevole che nessun intervento avrebbe potuto salvarlo.
Sergio Lo Presti è uno dei preparatori ai quali era più legato, Bifulco lo aveva ringraziato in una personalissima classifica scritta su Internet (nella sua seconda vita era stato anche creatore di siti web): Era bravo a reggere psicologicamente – dice oggi l’ex trainer – e s’imponeva spessoal rush finale”. Dopo il mezzofondo un percorso più personale, nella maratona, vittoria a Bologna nel 2007 e altri piazzamenti importanti: “Vivemmo un’esperienza splendida a New York, quando entrò nei primi dieci italiani.Poi ci siamo divisi ma per lui ho sempre avuto una passione. Un talento puro e la sfortuna agonistica, per dirla così, è stata quella di gareggiare nella fase in cui l’Italia aveva tre-quattro marziani sulle stesse specialità. Oggi sarebbe al top”.
Il carattere non semplice, la passione viscerale per la Sampdoria oltre a quella per l’atletica, negli anni di Montella giocatore blucerchiato faceva l’aeroplanino quando tagliava il traguardo per primo: “Si caricava aspettando fino all’ultimo per presentarsi alla partenza, un giorno rischiò di arrivare in ritardo tutta la squadra e il pullman partì senza Andrea. Eravamo a Bari, non so come trovò un passaggio. E quando con l’auto ci superò, ridacchiava dal finestrino muovendo la mano”. Said, oggi,lo vogliono ricordare semplicemente così.
Il Secolo XIX