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Francesco Ratti scalare il Denali veloci e leggeri

di - 04/09/2019

La primavera scorsa Francesco Ratti, insieme al fidato compagno François Cazzanelli, è stato 25 giorni in Alaska, durante i quali la cordata ha salito sia la West Rib che la Via Cassin, entrambe in puro stile fast and light.

Gli abbiamo chiesto cosa vuol dire organizzare una spedizione dall’altra parte del mondo e salire in pochi giorni due volte la montagna simbolo dell’Alaska: il Denali.

 

 

Dopo un viaggio così lungo immagino non si arrivi in Alaska e si inizi subito con le salite in quota: come vi siete acclimatati e preparati per le salite sul Denali?

Siamo arrivati e abbiamo installato un campo abbastanza comodo e basso al campo base del Denali a quota 2.000 m, al quale si accede con l’aereo. Proprio accanto alla pista d’atterraggio c’è il campo base e noi abbiamo deciso di istallarci lì anche perché avevamo parecchio materiale e una tenda molto grande, ma soprattutto perché la nostra idea era quella di andare veloci e leggeri senza installare un secondo campo più in alto, portandoci solo lo stretto necessario. Per riposarci tra una salita e l’altra e in caso di brutto tempo scendevamo al campo base. Questa è una modalità piuttosto atipica perché tutte le spedizioni che vanno al Denali salgono sempre ai campi alti. Il più “affollato” è il campo 4, posto a 4000 m, l’ultimo punto per accedere sia alla normale che alla West Rib e alla Cassin, anche se per quest’ultima bisogna attraversare quasi tutta la montagna per poi scendere lungo una seraccata e arrivare all’attacco della via. Ogni volta quindi salivamo al Campo 4, passavamo la notte lì e poi partivamo per la via che ci interessava.

 

Cosa vi portavate al Campo 4? Lo avete trovato affollato?

La prima volta che siamo saliti abbiamo portato su due tendine piccole, sacchi a pelo e materassini, un po’ di materiale, un po’ di cibo che poi abbiamo lasciato su. Considera che rispetto a tutto quello che avevamo era veramente poco e tutto leggero.

Considera che il campo 4 è sulla normale e frequentata anche da spedizioni commerciali, quindi al campo gente ce n’è, ma appena ti allontani dalla via normale torni ad esser solo con il tuo compagno di cordata.

 

 

Era la tua prima volta in Alaska e sul Denali? Come mai proprio questo obiettivo?

Si, era la prima volta per tutti. Abbiamo deciso l’Alaska in generale come meta per far qualcosa di diverso dalle montagne che avevamo frequentato fino a quel momento. François è stato spessissimo in Himalaya ed insieme siamo stati in Cina e Patagonia, quindi l’Alaska prima di tutto era per vedere una parte del mondo diversa. Il Denali nello specifico perché è la montagna più alta e volevamo fare qualcosa in quota, anche in preparazione delle spedizioni future. Un po’ perché ti muovi sempre in quota (6.190 m), un po’ perché essendo così a nord (l’altitudine si fa sentire di più) è impegnativa e perfetta per i nostri obiettivi futuri.

 

In che modo sono diverse le montagne dell’Alaska dalle nostre Alpi?

Il Denali in particolare, rispetto alle Alpi, è una grande montagna. Calcola che da dove arrivi al campo base a 2.000 m sali fino a 6.000 m e rotti, quindi sono più di 4.000 metri di dislivello per la cima. Dimensioni e dislivelli su queste grandi montagne, rispetto a quello cui siamo abituati qui sulla Alpi, sono moltiplicati per 3, 4. Sulle Alpi, una parete già considerata tra le grandi è intorno ai 1000 m di dislivello e difficilmente supera i 1.500 m. Quindi la grande differenza sono le distanze, le dimensioni delle montagne e poi ovviamente la quota e, in particolare in Alaska il freddo, vista la vicinanza con il polo.

 

Durante la spedizione che condizioni meteo avete trovato?

Quando siamo arrivati ci siamo ritrovati in una finestra di brutto tempo lunga 3, 4 settimane. Quindi aveva appena nevicato tanto e c’era tanta neve e in generale anche le spedizioni commerciali sulla via normale non erano arrivate in cima al Denali. Quando noi abbiamo fatto la West Rib mi sembra che fossimo la seconda o la terza cordata dell’anno ad arrivare in cima. La stagione era un po’ più acerba rispetto al periodo per via della neve, quindi condizioni un po’ delicate e anche quando siamo stati lì abbiamo trovato condizioni piuttosto instabili, con finestre al massimo di 2 giorni. Non abbiamo mai avuto un periodo di 4, 5 giorni di bel tempo. Abbiamo dovuto cercare di sfruttare al massimo i giorni che avevamo a disposizione.

 

 

Raccontaci un po’ delle due salite nel dettaglio

Le due salite che abbiamo effettuato sono completamente diverse. La prima, la West Rib, è stata per noi una salita diciamo di acclimatamento perché è una cresta abbastanza diretta, considera che dal campo parti diretto verso la cima. Quindi, escluse le difficoltà tecniche che sono molto meno sostenute che sulla Cassin, anche dal punto di vista psicologico è una salita che se ci sono problemi alzi i tacchi e puoi tornare facilmente al campo 4 da cui sei partito, dove trovi tutto il materiale necessario per riposarti e quant’altro. Anche dal punto di vista climatico, quando siamo saliti dalla West Rib, facevo più caldo visto che tirava vento da nord e lì sei a sud, quindi durante la salita non abbiamo mai avuto tanto freddo, solo in cima. Considera che lì quando sali e se le temperature sono accettabili cambia molto. Queste condizioni ci hanno infatti permesso di salire veloci (in 9 ore). Poi invece quando siamo tornati a fare la Cassin, avevamo una finestra sulla carta simile a quella della West Rib ma in realtà poi anche se il meteo dava le stesse temperature faceva molto più freddo. Calcola che noi siamo partiti per farla in velocità quindi avevamo solo una tendina monotelo per fermarci solo a sciogliere un po’ d’acqua e per scaldarci un pochino, ma non avevamo con noi tutto il materiale da bivacco. Non volevamo comunque fermarci troppo visto l’obiettivo di salirla il più veloce possibile. Considera poi che per arrivare all’attacco della Cassin devi attraversare tutta la parete sud del Denali per poi scendere dal campo 4 1500 m per attaccare la cresta, per questo motivo è una salita molto più isolata e selvaggia. Psicologicamente è diverso perché se qui hai un problema non è che giri e scendi subito al campo. Se scendi giù sei sotto la parete sud del Denali e non è così semplice rientrare. Quando ti ingaggi sulla via l’idea è quella di arrivare in cima per poi scendere dalla via normale, che è quella più facile. Durante la salita abbiamo avuto molto più freddo che sulla West Rib e abbiamo sempre tenuto i piumini pesanti, che sia come peso che come movimento ci hanno un po’ rallentati. Nonostante ciò, dalla terminale alla cima, ci abbiamo messo circa 19 ore che comunque è un tempo abbastanza buono, almeno per noi. Normalmente è una via che richiede in media 3-4 giorni. La Cassin, dal punto di vista della salita, è una via veramente bella e di soddisfazione anche dal punto tecnico essendo molto varia. All’inizio hai una goulotte di ghiaccio vero – come quelle del Monte Bianco – poi devi fare una cresta affilata di neve, molto aerea e poi una sezione di arrampicata mista con roccia e passaggi di misto mai estremi ma sempre tecnici. Al di là del tempo impiegato è stata una salita assolutamente bella.

 

Nei mesi precedenti come ti sei preparato per affrontare questa spedizione?

Durante l’inverno, abitando in montagna, ci siamo allenati quasi esclusivamente con lo scialpinismo. Questa primavera c’era il Mezzalama, una gara scialpinistica, e vi abbiamo partecipato, visto che François ha sempre fatto gare di alto livello. Io non sono un racer ma ho partecipato per prepararmi alla spedizione.

Questo inverno avevamo poi un progetto di concatenamento sul Cervino. L’idea era quella di partire dal Plateau Rosà e di fare tutta la cresta fino in cima e di continuare poi su tutte le Grandes Murailles e le Piccole Murailles, facendo così tutto il giro delle creste che dominano Cervinia. Sarebbe stato un concatenamento che in inverno non era mai stato fatto. Siamo quasi riusciti a portare a termine questo progetto ma durante il tentativo abbiamo incontrato nell’ultima parte delle cornici un po’ brutte e abbiamo rinunciato. Speriamo di riuscire a farlo l’anno prossimo. Comunque questo progetto ci ha sicuramente preparati per la spedizione perché c’era del tecnico che ci ha formati psicologicamente per l’Alaska. In più, ovviamente, ho lavorato come Guida Alpina.

 

 

Qual è il tuo rapporto con Millet?

Millet ci sponsorizza come Società Guide del Cervino e abbiamo sottoscritto un contratto triennale con loro che è partito quest’inverno. Siamo molto contenti perché il materiale è di altissima qualità.

Io ho anche un contratto personale con loro e l’azienda mi ha aiutato per questa spedizione fornendomi tutto il materiale necessario. Per l’alta quota Millet ha la gamma migliore che ci sia sul mercato (la Trilogy n.d.r.), credo che in questo settore siano l’azienda leader.

 

Progetti per il futuro?

L’idea sarebbe quella di andare in Nepal in settembre, al Manaslu, che sarebbe il mio primo 8.000. Non sono mai andato su queste quote e sono curioso di vedere come reagisce il mio fisico. Prima di salire Manaslu vorremo salire una cima involata di 6.000 metri che ci piacerebbe provare a salire come acclimatamento. Vediamo un po’ come andrà…

 

 

Eva è nata e cresciuta a Roma, dove ha studiato giurisprudenza per capire che è una persona migliore quando non indossa un tailleur. Ha lasciato la grande città per lasciare che il vento le scompigliasse i capelli sulle montagne delle Alpi e presto ha scoperto che la sua passione per l’outdoor e scrivere di questa, poteva diventare un lavoro. Caporedattrice di 4outdoor, collabora con diverse realtà del settore outdoor. Quando ha finito di lavorare, apre la porta della baita in cui vive per sciare, correre, scalare o per andare a fare altre gratificanti attività come tirare il bastone al suo cane, andare a funghi o entrambe le cose insieme.