Home

Coricato ad est del Garda, Trekking sull’Alta Via del Monte Baldo

di - 01/10/2025

Listen to this article

Per me, Do e Daniele il Monte Baldo è la quinta da cui ogni mattina vediamo sorgere il sole, è un gigante coricato sulla sponda est del nostro lago che si abbronza alla luce del pomeriggio, è il segnale che, quando le sue cime si ricoprono di neve, è arrivato l’inverno. Perché non trasformarlo, Il Baldo, nell’avventura dell’estate, percorrendolo per intero da sud a nord? È quello che abbiamo fatto.

Alta Via del Monte Baldo, il progetto prende forma

Sul finire dell’inverno scorso cominciò a frullarmi in testa l’idea di un trekking di più giorni, un’avventura da vivere in compagnia di amici, collegare due punti su una mappa facendo affidamento sulle nostre forze. Poi quell’idea si trasformò in un desiderio e iniziò a svilupparsi nella ricerca di un possibile percorso sulle Alpi, uno di quelli in grado di solleticare l’immaginazione.

Eppure era sempre stato lì, davanti ai miei occhi, come avevo fatto a non pensarci prima.

L’Alta Via del Monte Baldo è un sentiero che corre lungo la cresta del massiccio per circa 40 km fra Veneto e Trentino, toccando diverse vette, fino ai 2.218 di Cima Valdritta. La sua imponente dorsale separa il lago di Garda a ovest dalla Val Lagarina (la valle attraverso cui scorre il fiume Adige) a est e si abbassa verso sud nella piana di Caprino nel Veronese. Saremmo partiti proprio da sud, da Prada, per arrivare a nord tre giorni più tardi, più precisamente a Torbole.

Nei giorni precedenti alla partenza, a Do (la mia compagna) e Daniele (vicino di casa) si aggiungevano Debora e il suo compagno Stefano. Saremmo stati 5, o meglio 6, con il nostro fedele pastore australiano Roger.

Finalmente l’ultima settimana di luglio smetteva di piovere e il meteo, dal 3 di agosto, annunciava alta pressione stabile.

C’eravamo ripromessi tutti di razionalizzare i carichi, ma tre giorni di trekking a quota medio alta necessitano di cambi, strati aggiuntivi, sacchi lenzuolo, riserve d’acqua, cibo… insomma ci saremmo goduti l’attraversamento del lago in traghetto da Maderno a Torri del Benaco e la salita in auto fino a Prada, come ultimi momenti di quiete, poi avremo messo gli zaini in spalla e sarebbe stata… tempesta.

Sopra il Rifugio Chierego, vista su Peschiera del Garda. Foto: Marco Melloni

Primo giorno. Da Prada Alta al Rifugio Telegrafo

Il sentiero da Prada inizia in prossimità della funivia di Prada Costabella, inizia bello ripido e nel bosco e per ben cominciare sbagliamo un bivio, facendo un chilometro di strada inutile.

Poco sopra la chiesetta della Madonna della Neve il bosco comincia ad aprirsi e, sebbene il cielo sia un po’ nuvoloso, cominciamo a intravedere il lago sotto di noi, poi il sentiero supera la cresta e, superato l’ex Forte di Naole, posiamo gli zaini e ci fermiamo a pranzare.

Il forte venne costruito dagli italiani nel 1913, per difendersi da un possibile attacco austriaco ed era collegato da una mulattiera alla frazione di Lumini.

Alla quota di 1.680 a cui ci troviamo fa freddino e mentre cerchiamo riparo dietro qualche roccia brindiamo con una bottiglia di Dolomiti Rosso che Daniele si era caricato sulle spalle. Una volta ripartiti, il sentiero scavalla nuovamente sul versante ovest della cresta e inizia a seguirne il filo offrendo un bellissimo panorama sul lago. A circa un’ora di distanza raggiungeremo il Rifugio Fiori del Baldo e, 200 m sopra di esso, il Rifugio Chierego.

Nei pressi di Bocchetta del Col Santo. Foto: Marco Melloni

Facciamo un’altra sosta poco oltre quest’ultimo, a 1.950 m. Le nuvole qui toccano la montagna e a tratti intravediamo il panorama che verso sud si estende fino a Peschiera del Garda. “Silenzio!” intima Daniele, e voltandoci scorgiamo fra la nebbia un gruppo di camosci brucare nell’erba: saranno solo i primi di numerosissimi branchi che incontreremo in questi giorni, compagni di viaggio discreti ma socievoli che Roger guarderà con grande curiosità. Passata Cima Costabella, il sentiero perde quota e il terreno inizia a farsi roccioso. Cominciamo a sentire la fatica, gli zaini sono pesanti e a tratti ci aspettiamo e incoraggiamo a vicenda.

Bocchetta del Col Santo, Passo del Camino, Punta Sascaga, la traccia si snoda in un saliscendi continuo e ormai per risparmiare le forze parliamo il minimo indispensabile. Poi finalmente un segnavia indica che il Rifugio Telegrafo dista solo mezz’ora. Ricominciamo a salire su tornanti sassosi e, superato un colletto, ci appare come il più prezioso dei regali.

Sono le 19.00 quando entriamo nella sala da pranzo e ci presentiamo al gestore Alessandro Tenca. La cena è praticamente già in tavola.

Nei giorni precedenti al nostro trekking già leggevamo articoli sui quotidiani riguardo le montagne come destinazione turistica e i nuovi frequentatori: poco avvezzi ai servizi spartani, poco rispettosi della natura e della sua integrità, inclini a vivere l’alta quota come fosse un parco divertimenti. Molte destinazioni montane negli anni non solo si sono piegate alle esigenze dei nuovi frequentatori ma hanno proposto un turismo sempre più di alto livello, con servizi che ben poco hanno a che fare con l’alta montagna. Ristoranti stellati a 2.000 m, “rifugi” con camere singole e servizi privati. Tutto questo non ha fatto che distorcere l’essenza della montagna e di ciò che in essa si dovrebbe ricercare: un ambiente selvaggio da preservare il più possibile nella sua integrità naturale.

È Alessandro stesso a parlarci di cosa dovrebbe essere un rifugio: un luogo di passaggio, di ristoro, con servizi essenziali, sostenibili rispetto alle risorse che si possono reperire in alta quota (acqua, elettricità, trasporto materiali). L’Italia, ci dice, “è la prima nazione al mondo per numero di rifugi (strutture d’accoglienza e ristorazione oltre una certa quota), eppure non esiste una normativa chiara che li definisca in termini di requisiti. Al contrario, il rifugio è una struttura che andrebbe normata secondo il principio del servizio massimo elargibile”. E così, se un tempo i frequentatori di questi luoghi comprendevano i limiti dei servizi offerti, oggi pretendono menù elaborati e il comfort di alberghi a quattro stelle.

Il Rifugio Telegrafo. Foto: Marco Melloni

Alessandro, per regolarizzare il flusso di frequentatori, ha avuto l’intuizione 3 anni fa (come primo rifugio CAI) di adottare il concetto di alta e bassa stagione verticale. I sabati sera sono sempre alta stagione, tutto agosto è alta stagione, il resto della settimana e dell’anno è bassa stagione, a cui corrisponde un 10% di sconto. Il Monte Baldo non dovrebbe essere considerato solo per l’Alta Via che stiamo percorrendo (oggettivamente fruibile fra il 20 giugno e il 20 settembre), Alessandro dopo un corso di Gestione e Management dei Cammini si propone di promuovere nel tempo le peculiarità naturalistiche del luogo, attraverso un Gran Tour della biodiversità, con tappe differenziate a seconda della stagione, così come del livello tecnico.

Il Baldo può essere considerato il giardino d’Europa”, continua Alessandro, “dai 65 m di altitudine del Lago ai 2.218 della cima offre un range climatico che spazia da quello sub mediterraneo a quello della Scandinavia. Si tratta quindi di attuare un progetto di promozione del massiccio nel suo insieme, volto a promuoverne le peculiarità nel suo compresso e che ne destagionalizzi e diversifichi la frequentazione”.

SI riparte di buon’ora dal Rifugio Telegrafo. Foto: Marco Melloni

Scheda primo giorno

  • Percorso: da Prada Alta al Rifugio Telegrafo
  • Distanza: 12 km circa
  • Tempo impiegato con soste: 6,56 ore
  • Salita: 1.367 m
  • Discesa: 214 m
  • QR CODE Mappa Suunto

Secondo giorno. Dal rifugio Telegrafo al Rifugio Damiano Chiesa/ Altissimo

Lunedì mattina riprendiamo il nostro cammino, ci aspetta la tappa più dura. Come ci aveva anticipato Alessandro, qui il terreno si fa più tecnico, siamo nel pieno dell’alta montagna ora e da ogni cima che incrociamo ammiriamo i valloni che si aprono fino quasi al lago. Cima Pettorina, Cima Prà della Baziva, Cima Valdritta, Cima Longino.

Nei pressi di Cima Pettorina. Foto: Marco Melloni

È un saliscendi continuo su un sentiero stretto che si dipana fra pini mughi e fiori colorati. Qualche passaggio richiede attenzione e capita di dover tenere stretto Roger nei punti più esposti. I nostri sguardi si perdono fra scorci spettacolari verso l’azzurro del Garda, l’improvviso avvistamento di un camoscio a pochi passi, il profumo della macchia e il bellissimo altopiano che dal primo giorno affianca il Baldo sul lato est.

Raggiunta la penultima e più ampia cima della giornata, ci fermiamo per pranzare.

Verso Cima Valdritta. Foto: Marco Melloni

Qui a Cima delle Pozzette, a 2.132 m, troviamo una decina di persone che mangiano e prendono il sole: sono arrivati tutti da nord, dall’arrivo della funivia di Malcesine che scorgiamo più in basso e a qualche chilometro di distanza. La vista qui è spettacolare, in un colpo d’occhio spazia da Desenzano e Torbole, di fronte a noi, 2.000 m più in basso, Campione del Garda. Verso le 14.00 iniziamo a scendere, con l’obiettivo di raggiungere la zona di arrivo della funivia.

Qui la natura cambia ancora; camminiamo fra prati alti fino alla vita, fiori e dolci pendii. È una montagna più turistica e sentiamo parlare in tutte le lingue d’Europa. Arrivati alla Baita dei Forti, ci fermiamo per una merenda. Mi scolo una birra media in 2 minuti e, stremato, mi addormento sul tavolo della terrazza. Da qui vediamo abbastanza chiaramente il tratto di sentiero che ci aspetta, anche se il rifugio dove dormiremo è nascosto dalla Cima del Monte Altissimo. La sosta mi ha ridato qualche energia, ma vedere quello che ci aspetta è desolante. Dovremo scendere parecchia quota, per poi risalire di nuovo a 2.060 m.

Il sentiero si snoda in una foresta di Pino Mugo. Foto: Marco Melloni

Ci rimettiamo in marcia, scendendo e attraversando un bosco per poi iniziare a risalire sulla provinciale asfaltata, attraversando il confine fra Veneto e Trentino. Le ombre iniziano ad allungarsi quando ci rinfiliamo nel bosco del Monte Altissimo e gli 800 m di dislivello si prendono le ultime nostre energie, ristorate solo dal panorama che, quasi al tramonto, vediamo del lago.

Speravamo di raggiungere il Rifugio Damiano Chiesa all’Altissimo nel tardo pomeriggio, per poterci rilassare, ma sono di nuovo le 19.30, giusto in tempo per darci una lavata sommaria, cambiarci e gustarci una buona cena in compagnia.

Cima Valdritta. Foto: Marco Melloni
Verso Cima delle Pozzette. Foto: Marco Melloni
Splendidi scorcio sul Lago di Garda. Foto: Marco Melloni
Direzione Baita dei Forti, l’arrivo della Funivia di Malcesine. Foto: Marco Melloni
Il Rifugio Damiano Chiesa all’Altissimo. Foto: Marco Melloni

Scheda secondo giorno

  • Percorso: Rifugio Telegrafo – Rifugio Damiano Chiesa/Altissimo
  • Distanza: 16,22 km
  • Tempo impiegato con soste: 8,58 ore
  • Salita: 1.040 m
  • Discesa: 1.133 m
  • QR CODE Mappa Suunto

Terzo giorno. Dal Rifugio Damiano Chiesa/Altissimo a Torbole

La mattina del terzo giorno ci dividiamo, Debora e Stefano rientreranno da Malcesine e ci faranno il grande favore di recuperare l’auto lasciata a Prada Alta, io Do, Daniele e Roger proseguiremo per Torbole, dove prenderemo il bus per Garda ricongiungendoci.

Il sole splende alto nel cielo mentre imbocchiamo il sentiero in discesa. Ancora una volta la vista è spettacolare: a ovest sul lago, con Riva del Garda e Torbole in primo piano, a nord verso le cime dell’Alto Adige e a est verso la Valle dell’Adige. Sotto i 1.500 m ci rinfiliamo nel bosco, che a seconda della quota offre una diversa vegetazione. Tengo d’occhio l’altimetro, i km percorsi si fanno sentire tutti e ogni cento metri di dislivello perso sento avvicinarsi l’obiettivo. Incrociamo le prime case, una chiesetta dove suoniamo la campana, le falesie di Nago, per poi sbucare in paese e imboccare lo stradone asfaltato per Torbole.

Vista su Riva del Garda. Foto: Marco Melloni

Siamo seduti in una pizzeria ad attendere di sfamarci, Roger è sdraiato sotto al tavolo troppo stanco per elemosinare pezzetti di margherita, ognuno di noi è perso nei propri pensieri, ci metteremo qualche ora o qualche giorno per gioire di ciò che abbiamo fatto.

Un fossile è la prova che una vola qui c’era il Mare. Foto: Marco Melloni

Ma ci siamo riusciti, siamo riusciti a percorrere la schiena di quel gigante che vediamo ogni giorno dal terrazzo di casa, brindiamo all’impresa.

Scheda terzo giorno

  • Percorso: Rifugio Damiano Chiesa/Altissimo – Torbole
  • Distanza: 10 km (fino a Nago)
  • Tempo impiegato con soste: 4,37 ore (fino a Nago)
  • Salita: 3 m
  • Discesa: 1.798 m (fino a Nago)
  • QR CODE Mappa Suunto

Diplomato in Arti Grafiche, Laureato in Architettura con specializzazione in Design al Politecnico di Milano, un Master in Digital Marketing. Giornalista dal 2005 è direttore di 4Actionmedia dal 2015. Grande appassionato di sport e attività Outdoor, ha all'attivo alcune discese di sci ripido (50°) sul Monte Bianco e Monte Rosa, mezze maratone, alcune vie di alpinismo sulle alpi e surf in Indonesia.