Pubblicità

Appoggio del piede ed efficienza della corsa

di - 14/12/2022

L’argomento dell’appoggio nella corsa è da anni al centro dell’attenzione per vari motivi più o meno validi. Nella letteratura scientifica esistono miriadi di studi che si sono presi la briga di analizzare la corsa di runner di vario livello e/o con differenti tipi di problematiche. Perché così tanta attenzione verso il piede? Scopriamo insieme al prof. Davide Nappo.

 

L’appoggio del piede 

L’interesse verso l’appoggio del piede nella corsa è innanzitutto spinto molto dai produttori di scarpe per ovvi motivi. Poi ci sono i biomeccanici, sempre alla ricerca di fattori determinanti della performance o cause di infortuni che, grazie all’utilizzo delle pedane di forza, hanno potuto raccogliere un’enormità di dati sull’argomento. 

Uno dei fattori storicamente più studiati per quanto riguarda l’appoggio è la tipologia di primo contatto del piede a terra. Se osserviamo un atleta lateralmente è, infatti, possibile verificare abbastanza facilmente qual è la parte del piede che arriva per prima a toccare il suolo. In base a questa osservazione, i corridori possono essere distinti in 3 macrocategorie: 

  • Heel striker (primo contatto con il tallone), 
  • Midfoot striker (primo contatto con il medio-piede, spesso sul bordo esterno) 
  • Forefoot striker (primo contatto con l’avampiede). Nella corsa di endurance, la prima categoria è sicuramente quella più rappresentata, con oltre l’80% dei runner che utilizza questa strategia, mentre solo un 2% è un forefoot striker. 

La prima cosa da dire è che non vi è assolutamente una relazione stretta tra questo tipo di osservazione e dove finisce effettivamente il carico sul piede. Ci sono atleti che prendono contatto a terra con il tallone, ma poi la discesa del piede è così veloce che il carico cade maggiormente sulla sua parte anteriore nella fase di pieno appoggio.

 

appoggio del piede

 

Qual è la strategia d’appoggio corretta?

Se facciamo un piccolo salto indietro nel tempo, alcuni dei lettori si ricorderanno sicuramente che negli anni ’80 e nei primi anni ’90 il must era la “rullata” del piede. Molti allenatori predicavano che la strategia d’appoggio corretta iniziava con una presa di contatto sul tallone, per poi proseguire in modo graduale, trasferendo il carico sull’avampiede, fino al distacco delle dita. 

Con il passare del tempo, qualcuno iniziò a osservare che alcuni corridori, all’aumentare della velocità, mostravano una transizione del primo appoggio dal tallone al mediopiede. Inoltre, se si faceva correre qualcuno a piedi nudi, la sua strategia d’appoggio su superfici dure diventava nel 90% dei casi quella d’avampiede. Da qui, nei primi anni 2000 nacque tutto il filone della corsa e delle calzature minimaliste ancora molto in voga oggi. Secondo questa impostazione, l’appoggio di medio-avampiede è quello corretto, mentre l’heel striking è dannoso  pericoloso.

 

Appoggio del piede e scarpe

Non solo, anche le scarpe sono finite sotto accusa: quelle “tradizionali”, ammortizzate e con drop elevato, sono diventate le principali responsabili dell’appoggio scorretto di tallone e di gran parte degli infortuni del runner. Perché si è finiti per fare questa associazione a dir poco criticabile? Perché nel frattempo diversi studi erano riusciti a dimostrare che molti dei runner amatoriali con patologie a livello del ginocchio, della tibia e del piede, hanno quasi tutti una cosa in comune quando corrono con le scarpe, sono degli heel-striker.

Associazione però non significa rapporto di causa ed effetto, e oggi si sa che, per poter parlare di rischio di infortuni, si devono tenere in considerazione diversi parametri del gesto della corsa, non solo la strategia d’appoggio. Nonostante questo, l’abbinamento ideologico che da molti viene fatto ancora oggi è che la strategia di primo appoggio con il tallone sia di per sé dannosa, e che solo correndo come un midfoot o forefoot-striker si può essere efficienti, performanti e ridurre il rischio di infortuni. 

 

 

Ma è sempre vero? 

Vediamo un po’ cosa ci dice l’evidenza del campo sulla performance nelle lunghe distanze. Uno studio condotto in Giappone nel 2007 durante una mezza maratona d’elite ha evidenziato che nei primi 50 atleti transitati al 15° km la percentuale di atleti che appoggiavano di mediopiede era significativamente maggiore che nel resto del gruppo, ma in ogni caso la maggior parte dei runner in assoluto era heel-striker. 

Questi risultati sono stati ulteriormente confermati di recente da uno studio condotto ai Campionati del Mondo di Maratona del 2017. Il primo appoggio di tallone ha mostrato di essere la strategia prevalente in diversi momenti della maratona, quindi sia quando gli atleti sono più freschi, sia quando sono più stanchi. Non è stata mostrata nessuna differenza tra donne e uomini, e i primi 4 al traguardo erano tutti atleti heel-striker. La conclusione dello studio è che non ci sono vantaggi nello scegliere una strategia d’appoggio rispetto a un’altra, e solo una piccolissima parte degli atleti prende contatto a terra con l’avampiede nelle corse di endurance su strada.

Anche l’evoluzione delle calzature ha recentemente sfatato il mito minimalista dell’appoggio d’avampiede. Le scarpe da poco messe in commercio da Nike, che hanno scientificamente mostrato di dare un reale vantaggio a chi le indossa, sono tutt’altro che minimaliste, sono molto ammortizzate, hanno un inserto in fibra di carbonio che le rende estremamente rigide e un drop di 8-9 mm. 

 

E quando si parla di infortunio?

Il grosso equivoco perpetrato nella letteratura scientifica sul fatto che l’appoggio di tallone sia un fattore di rischio per gli infortuni non tiene conto del fatto che non esiste solo il piede, ma un intero sistema in movimento. Il problema principale degli impatti all’appoggio è legato al fatto che la tibia arriva obliqua al contatto al suolo con un movimento dal dietro all’avanti. Questo tipo di disfunzione comune nei principianti e nei corridori amatoriali si chiama overstriding. Dipende non solo dal piede, ma anche e soprattutto da come è stata riportata avanti la gamba durante la fase di volo. 

Se mentre corriamo la tibia arriva a terra dall’alto in basso e in posizione verticale, non importa quale parte del piede tocca il suolo per prima in termini di rischio di infortuni. La differenza chiave tra le due strategie è che, se appoggio prima di mediopiede o avampiede, le strutture di piede e caviglia potranno lavorare più proficuamente in modo elastico durante la fase di carico, mentre se tocco il suolo prima con il tallone, il mio polpaccio e la muscolatura intrinseca del piede avranno minori possibilità di partecipare all’ammortizzamento e dovrà lavorare maggiormente il quadricipite. 

 

Appoggio del piede di tallone, è un problema? Dipende! E da cosa?

Dalle caratteristiche antropome-triche dell’atleta, dalla mobilità della sua caviglia, dalle sue caratteristiche elastiche e dalle sinergie con la muscolatura dell’anca. Non esiste nessuna evidenza che una strategia sia migliore dell’altra in assoluto. Uno studio di pochi anni fa sembrerebbe addirittura suggerire che, nel caso dell’appoggio di tallone, l’economia di corsa sarebbe addirittura maggiore, fatto suggerito anche dai risultati dei maratoneti d’elite citati prima. 

È ovvio che, invece, pensando al mezzofondo, all’aumentare della velocità e quindi della necessità di sviluppare alte potenze con tempi di contatto ridotti, l’appoggio di mediopiede possa essere da preferire e, infatti, in un 1500 m di livello mondiale la maggior parte degli atleti inizia correndo con una strategia d’appoggio di mediopiede o avampiede. Se li osserviamo sul rettilineo finale, molti finiscono per cambiare strategia, arrivando a iniziare l’appoggio sul tallone a causa della fatica e dell’incapacità di mantenere la giusta azione di corsa.

 

Se appoggio il piede a terra di tallone mi devo preoccupare? 

I messaggi chiave che un runner di endurance può portare a casa da tutti questi discorsi credo possano essere fondamentalmente due:

1. Se quando corri ti accorgi di utilizzare una strategia di appoggio con il tallone, ma il tuo ammortizzamento è adeguato e confortevole alla velocità a cui corri. Non soffri di particolari problemi e hai trovato un buon equilibrio funzionale, non devi preoccuparti di cambiare. L’ultimo vincitore della maratona di Londra è un “forte” heel striker e altri campioni del passato hanno avuto carriere luminose pur con questa strategia.

2. Se invece quando corri senti di avere un impatto a terra brusco, poco elastico e molto inefficiente, hai bisogno di una valutazione della corsa: non accontentarti, però, di un’analisi dell’appoggio; Quello che succede quando sei a terra dipende molto da ciò che fai nella fase di recupero dell’arto, ma anche dalla tua postura e da molti altri fattori. Un professionista esperto dovrebbe poter individuare i tuoi errori chiave e darti suggerimenti funzionali globali per ottimizzare il gesto atletico.

Mi preme specificare che questo non è assolutamente un articolo contro il minimalismo, che ha storicamente il merito di aver messo in luce alcuni punti veramente determinanti per la performance nella corsa. Allo stesso tempo, in queste righe non si pretende in alcun modo di affermare che l’appoggio di tallone sia migliore e da preferire. Personalmente sono un sostenitore dell’appoggio di mediopiede per l’endurance e ovviamente di quello d’avampiede per la velocità.

Il bacino e il tronco, insieme all’azione delle braccia, sono fondamentali per la stabilità, l’anca serve primariamente per produrre avanzamento, il ginocchio per ammortizzare e il piede per sentire, gestire l’equilibrio e trasmettere le forze a terra: perché l’azione sia efficiente, tutto deve funzionare come un’orchestra ben affiatata.

A cura del prof. Davide Nappo (erunning.it | nappo@erunning.it)  |  foto: courtesy ASICS

Corro quanto basta, pedalo a giorni alterni, parlo troppo. Nelle pause mangio. Instancabile sostenitrice di quanto lo sport ti salvi. Sempre. Le mie giornate iniziano sempre così: un caffè al volo e il suono del GPS che segna l'inizio di un allenamento. Che corra, pedali o alzi della ghisa poco importa: l'importante è ritagliarmi un momento per me che mi faccia affrontare la giornata nel modo migliore.