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Dove fare trekking in Trentino: San Martino di Castrozza

di - 21/03/2023

Da 4outdoor Magazine #05 | 2022 – Di: Federica Campi

Improvvisamente le nuvole si diradano e lasciano parzialmente intravedere ciò che nascondono. In fin dei conti, non sempre bisogna poter vedere tutto al 100%, forse è sufficiente poter immaginare quella restante parte, così incompleta e terribilmente attraente. Il solo atto straordinario di essere presenti dà una ragione ed un senso al tutto. Perché, alla fine, basta essere con la giusta compagnia per sentire una fitta al cuore, nel silenzio assoluto, quando tutti dormono, ritrovandosi unici fruitori di tanta bellezza.

 

Quando, senza volere, decidi di dormire la notte di San Lorenzo in un rifugio, pensi che la ricompensa non potrà che essere pura meraviglia. In questo mondo frenetico e stressante, il solo fermarsi, per più di 24 ore, è ormai pura utopia.

Laddove non prendono i cellulari si ricrea un’atmosfera un po’ retrò, di sapore anni 2000. Lassù, dove per trascorrere la serata, ti ritrovi a parlare per ore ed ore, a leggere un buon libro, oppure a cimentarti in un gioco di società, sembra che il tempo si fermi.

Fin dal nostro arrivo in rifugio mi dicono che se voglio chiamare casa, devo farlo tramite un telefono analogico grigio con ancora il cavo attaccato al muro, uscito direttamente dal secolo scorso. Wow. Mi sembra di essere tornata bambina, quando in campagna rispondevo io alle chiamate dei nonni.

Foto: Federica Campi

Dove siamo

Ma facciamo un passo indietro. Dove ci troviamo? Abbiamo parlato di un’avventura e di un rifugio, allora cominciamo a fare alcuni nomi: Val Canali, Cant Del Gal, 1.174 m. Destinazione: Rifugio Pradidali, 2.278 m.

L’obiettivo era quello di trascorrere la notte presso il rifugio, meravigliarsi tra le stupefacenti Pale di San Martino all’alba, e poi riprendere il cammino fino al Passo delle Lede, a 2.695 m. Da qui, stando molto attenti a non infilarci nel temutissimo sentiero 711, saremmo dovuti riscendere di nuovo verso la val Canali, superare il Bivacco Minazio e seguire una tappa dell’Alta Via delle Dolomiti 2. Infine, poco prima di arrivare al bivio per il rifugio Treviso, in direzione Feltre, avremmo dovuto seguire il torrente in discesa nuovamente fino a Cant del Gal.

Un anello fattibile sulla carta. 1.645 m D+/D-, tanta fatica e panorami stupendi. Prima di partire ancora non sapevo che le Pale di San Martino ci avrebbero ricompensati abbondantemente per la fatica fatta.

Foto: Federica Campi

Tutto ha inizio dalla cartina Tabacco

Così, gli occhi fissi sul sentiero, i tracciati ben memorizzati sulla cartina Tabacco, e consci che il giro non sarebbe stato una passeggiata, cominciavamo la salita.

Passo dopo passo, una gocciolina di sudore dopo l’altra.

Il caldo umido delle 11.00 di mattina, a 1.174 m, non dava tregua in valle, e si sommava alla calura data dallo sforzo, per una risalita così diretta e tremendamente ripida.

Già affaticati dai numerosi tornanti, dal terreno ghiaioso e dai vari zig-zag che facevano quasi girare la testa, ci accingevamo ad affrontare anche tratti attrezzati. Ma, almeno per me, questa era un regalo dal cielo, preferendoli di gran lunga ai boschi verticali.

Le forze tornavano e l’entusiasmo si riaffacciava timidamente, smorzato da un cielo plumbeo che non voleva dar tregua e sembrava colorato con un pantone di grigi, contrastanti con la roccia delle Pale, da cui spiccavano Torre Pradidali, Cima Canali, Cima Wilma ed il Velo della Madonna.

L’arrivo al rifugio è stato davvero una benedizione, sia nell’ottica di riparo dalla probabile pioggia, sia per il bisogno di fermarsi, dopo 3 ore abbondanti di salita costante e decisa.

Foto: Federica Campi

La notte in rifugio

Il meteo nuvoloso stava influenzando negativamente il nostro umore ma il solo vivere la vita del rifugio, entrare in quel mondo senza tempo e senza connessione rappresentava una gioia. Mi sentivo diversa, quasi un’altra persona, già dopo un’ora dal nostro arrivo.

Un tè caldo rigenerante. Un nuovo sguardo alla cartina Tabacco. Una partita a dama. La risoluzione dell’incastro in un gioco di logica. Infine, le invitanti pagine di un libro di viaggi. Tutto ciò riporta la mia mente in uno stato di calma e spensieratezza unici.

Le nuvole basse là fuori sembrava si potessero toccare dalle finestre del Pradidali. Pensavo all’ora del tramonto ed alle foto che, fino a qualche istante prima, avrei voluto fare. Ero un po’ delusa, certo, ma in compenso avrei avuto il piacere di vivere altro. Una calda ed appagante cena, ad esempio, preparata in questo rifugio pieno di inglesi, olandesi e americani, che ci raccontavano le loro avventure.

Pieni di emozioni e con il cuore leggero per i nuovi incontri, alle 21.30 spegnevamo la luce.

Foto: Federica Campi

L’alba di un nuovo giorno

Ci svegliavamo alle 5.25, in un inutile tentativo di vedere l’alba. Le nubi, forse erano anche peggio del giorno precedente, ma nulla ormai poteva incidere più sull’umore. Oggi sarebbe stato completamente diverso: il dislivello positivo limitato a 400 m, fino al limite del ghiacciaio Fradusta, poi tutto il resto in discesa.

Cosa sarebbe mai potuto succedere? Che ingenui. Meglio non preoccuparsene e assaporare il gusto del pane con crema di nocciole o marmellata alle arance e frutti di bosco.

Alle 7.45 eravamo pronti fuori dal rifugio. Destinazione: Passo delle Lede. Ancora non sapevamo che le nuvole basse ci avrebbero accompagnati tutto il tempo, alimentando vane speranzo ad ogni piccola schiarita.

Arrivati al bivio con il sentiero 711, ci siamo saggiamente tenuti lontano da questo tracciato, avendo letto di un canalone e di un pezzo attrezzato con simil-ferrata. Eravamo talmente pronti e preparati dal nostro studio, da essere nel contempo terrorizzati all’idea di non accorgerci della deviazione. È stato un sollievo lasciarcelo alla nostra destra e proseguire verso il vallone.

Foto: Federica Campi

Mentre una lumaca incrociava la nostra strada, nel tentativo di staccarla da terra e spostarla di lato, ci siamo fermati alzando lo sguardo. Alle nostre spalle una meraviglia stava lasciando il posto allo stupore. Abbiamo compreso immediatamente che il cielo ci avrebbe regalato una grande emozione. Forse non un diradarsi completo di nubi, ma quanto bastava per godere di uno degli spettacoli più straordinari della mia vita.

Felici per questa improvvisa benedizione, abbiamo proseguito con passo più leggero.

 

Atterraggio sulla Luna

Improvvisamente, il peso dello zaino che tanto mi aveva fatto penare il giorno precedente, lasciava il posto alla leggerezza. Capendo che il punto di osservazione migliore sarebbe stato il Passo Pradidali Basso, a 2.658 m, abbiamo percorso una deviazione che avrebbe allungato un pochino il tracciato, ma ne sarebbe valsa la pena.

Sì, perché man mano che salivamo, lo scenario alle nostre spalle era in continua evoluzione. Eravamo soli, nel silenzio, stupiti in un tempo sospeso nel quale tutti dormivano, o semplicemente non erano presenti. Uno spazio tutto per noi, dove la fitta al cuore arrivava immediata, togliendo il fiato.

Arrivati al Passo Pradidali Basso, sembrava di stare davvero sulla Luna. Forse eravamo

gli attori di un film di fantascienza e non lo sapevamo?

Ad un tratto, abbiamo visto arrivare altri escursionisti, usciti da chissà dove. Ma non si sono fermati, non si guardavano attorno, hanno continuato nel loro peregrinare senza comprendere cosa si stavano perdendo.

Foto: Federica Campi

Poi, lasciato lo zaino a terra, sono corsa in un punto un poco più in alto per vedere LORO aprirsi. Le Pale di San Martino ci stavano dando il buongiorno, facendomi quasi piangere per l’emozione.

Improvvisamente, hanno cominciato ad arrivarmi messaggi, fin a quel momento bloccati dall’assenza di linea. Era forse un segno del destino? Forse avrei dovuto condividere questo paesaggio con qualcuno? Cosi ho chiamato la mia famiglia, avvisando che stavo bene e che stavamo vivendo un momento magico. Poi ho chiudo e abbiamo proseguito, ancora più leggeri e con il cuore colmo.

Non erano neanche le 9.00 del mattino e mi sentivo già colma di gioia.

Foto: Federica Campi

Gli effetti del cambiamento climatico

Da lì a poco, arrivavamo al passo della Fradusta, 2.680 m, e poco lontano vedevamo la neve.

Il cuore ci si è fermato, ma per un motivo diverso dall’ammirazione. Per chi non lo sapesse, il ghiacciaio della Fradusta era considerato il secondo delle Dolomiti per importanza e grandezza, solo dopo la Marmolada. Quello che neanche un secolo fa era l’esempio da manuale di un ghiacciaio alpino, ora è solo un cumulo di neve, sporca e grigia.

A rendere questa scena, già di per sé terribile, ancora più toccante, era il suono ed il fragore dell’acqua. Solo fino ad un attimo prima, si trovava allo stato solido ed ora, inesorabilmente, si stava sciogliendo in direzione del laghetto semi-arido sottostante, ormai più simile ad una pozza o uno stagno. Ancora non ero consapevole della sua precedente vastità, avrei visto le immagini solo una volta tornata di sera a casa. Il paragone tra l’immagine scattata del lontano 1923 e quella di oggi, mi avrebbero lasciata senza parole… e piena di preoccupazione.

Noi, forse protagonisti di un film, improvvisati attori sulla Luna, davvero non potevamo fare nulla per impedire questo scempio?

Questo pensiero, cupo e sfiduciato, mi ha accompagnata in direzione del Passo delle Lede, 2.695 m.

Foto: Federica Campi

Un incontro particolare

Poco prima di raggiungere il Passo, abbiamo fatto un incontro molto particolare. Un signore australiano, sulla cinquantina, stava girando l’Europa da solo. In quel preciso istante stava percorrendo l’intera Alta Via N°2 delle Dolomiti, da Bressanone a Feltre, in solitaria. La sua tappa successiva sarebbe stata proprio il rifugio Treviso; dunque, buona parte del percorso l’avremmo condivisa.

Se da prima abbiamo camminato tutti e tre assieme, poi noi abbiamo accelerato il passo perdendolo di vista. Ci saremmo incontrati di nuovo solo al Bivacco, dove ci saremmo fermati per una pausa pranzo con vista.

 

La discesa lungo la storia

Poco dopo esserci salutati, abbiamo raggiunto il Passo delle Lede. Da qui comincia un’infinita discesa verso la Val Canali, con 1.645 m di dislivello negativo. Una gioia per le rotule insomma. Peraltro, se almeno fosse stato un normale sentiero avrei potuto lamentarmi solo per la sua lunghezza. Invece, appena abbandonato il passo, ci buttavamo a sinistra per un ripido ghiaione, non prima di aver notato con terrore, sulla destra, il punto di ricongiunzione con il famoso sentiero 711.

La discesa non dava tregua, il tracciato è franoso: bisogna fare molta attenzione.

A turbare questo già precario equilibrio, si aggiungeva anche un nuovo incontro dalla direzione opposta. Di nazionalità albanese e felice di aver incontrato finalmente escursionisti italiani, un tizio ci chiedeva informazioni. Voleva a tutti i costi tagliare la strada ed i tempi, e scendere dal sentiero 711 per arrivare prima al Pradidali. Lo abbiamo vivamente sconsigliato, a favore di un giro più sicuro e panoramico, visto che non sembrava nemmeno molto esperto. Non so se, alla fine, ci abbia ascoltati. Dopo aver ripreso a camminare, mi sono girata indietro vedendolo scomparire sul Passo.

 

Bivacco Minazio e tragedia Neptune

La discesa verso il Bivacco Minazio sa di storia.

Il 19 luglio 1957, a quota 2.650 m, un aereo statunitense si schiantò tra queste montagne, dopo aver perso la rotta. Abbiamo anche scoperto che un secondo aereo, pochi giorni dopo, sempre sorvolando queste zone, si schiantò a sua volta. Non è raro dunque notare, mentre si cammina, resti di rottami ed artiglieria militare arrugginita, e non nascondo che fa un po’ effetto. Una targa celebrativa, posta dalla sezione CAI Padova nel 1966, ricorda tutti i morti di questa tragedia.

Dopo il tour all’interno di questo bivacco dai colori accesi, purtroppo un po’ disordinato, ci fermavamo a riprendere fiato e mangiare un panino. Davanti a noi si intravedeva, là sotto, il Rifugio Treviso, ancora troppo lontano e con le parvenze di un puntino.

Nel frattempo, il nostro “amico” australiano ci aveva raggiunti, entrando anche lui nel bivacco e affermando che non avrebbe mangiato lì ma direttamente a destinazione. Non aveva fretta di arrivare presto al rifugio.

Solo dopo aver proseguito ed aver terminato quell’infinita discesa, mi sono chiesta se il nostro australiano fosse riuscito a scendere, senza fretta, ma almeno sano e salvo. Noi stessi una volta ripartiti da soli, abbiamo pensato (ingenuamente) di essere abbastanza vicini alla meta.

Foto: Federica Campi

L’atteso finale e la gioia infinita

Invece no, una devastante discesa, a tratti anche attraversando i guadi asciutti del torrente, diventava più un downclimb su rocce e radici.

Abbiamo incontrato anche ragazzi in salita con zaini giganteschi, che ci guardavano con gli occhi da fantasmi per la fatica. Riflettevo se, al posto loro, avrei trovato la forza per proseguire oltre. In due ore, finalmente toccavamo quasi la vallata. Per poi scoprire, amaramente, che il nostro sentiero per tornare al Cant del Gal, era franato e di conseguenza limitato al traffico, anzi, proprio chiuso.

Non senza un pizzico di rabbia, e ormai le ginocchia distrutte, tanto da non frenarmi in una stupida scivolata, abbiamo dovuto rivedere i piani.

Si trattava di proseguire al bivio e seguire la direzione Rifugio Treviso, proprio come se avessimo percorso l’Alta Via Delle Dolomiti 2 anche noi. Grazie alla mappa di una app sul cellulare, Outdooractive, siamo velocemente riusciti a capire come ricollegarci poi al punto di partenza.

Ma non prima di aver messo i piedi nel fresco dell’acqua del torrente. Che sensazione unica: quel gelo che toglie il fiato, ma che riempie il cuore. Così, stanchi per la discesa e un po’ provati per la durezza delle Pale di San Martino, in un’ulteriore mezz’ora abbondante, siamo riusciti a tornare alla macchina.

Alla fine, posso confermarlo! Mentre ci toglievamo gli scarponi, con gli occhi ancora lucidi per la gioia e con le mani a battere un cinque entusiasta, abbiamo capito che è tutto vero!

Le Pale di San Martino ci hanno donato molto più della fatica fatta.

 

Diplomato in Arti Grafiche, Laureato in Architettura con specializzazione in Design al Politecnico di Milano, un Master in Digital Marketing. Giornalista dal 2005 è direttore di 4Actionmedia dal 2015. Grande appassionato di sport e attività Outdoor, ha all'attivo alcune discese di sci ripido (50°) sul Monte Bianco e Monte Rosa, mezze maratone, alcune vie di alpinismo sulle alpi e surf in Indonesia.