Home Outdoor Running Europei indoor, ennesima pagina incolore

Europei indoor, ennesima pagina incolore

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E’ ormai un triste rituale, si torna a casa da un grande evento atletico vedendo gli altri festeggiare, gioire, vivendo grandi emozioni per misure e prestazioni che non ci competono: anche gli Europei Indoor di atletica a Belgrado hanno confermato come la crisi dell’atletica italiana sia senza soluzione a breve termine. Dopo le grandi delusioni del venerdì e sabato sembrava scontato avere l’ennesimo “zero” alla casella medaglie, ci ha pensato l’eterno Fabrizio Donato che a 40 anni suonati e con tendini usurati ha ancora trovato il guizzo per strappare un insperato argento nel triplo. Grandissima prestazione di un atleta che non per niente è l’ultimo italiano salito su un podio olimpico, ma è troppo poco, un tovagliolo che non copre l’enorme letto di tristezza che l’atletica internazionale ci propina.

In questo quadro il mezzofondo azzurro perlomeno esce da Belgrado con qualche piccolo segnale, luci fioche ma che fanno sperare, anche perché analizzando le gare più lunghe, che nelle indoor corrispondono ai 3000 metri, si è visto come il parco atleti in gara fosse di prim’ordine, molto più che in altri settori, offrendo anche una sorta di rivincita su un terreno diverso agli specialisti del cross, orientatisi sull’evento in sala anche a causa di un Mondiale di specialità allestito a Kampala in Uganda che difficilmente vedrà molti europei in campo. La gara femminile ha consacrato il talento della scozzese Laura Muir, uno dei primi nomi nuovi emersi nel “dopo Rio”, protagonista assoluta della stagione indoor che torna a casa con due titoli, nei 1500 e nei 3000, gara quest’ultima dove ha saputo stroncare sul ritmo, la sua arma preferita, la turca di origine kenyana Yasemin Can, campionessa all’aperto su 5 e 10 mila, capace di fare il record nazionale in 8’43’46 pur finendo a quasi 8 secondi dalla britannica (8’35”67), ora attesa dalla stagione all’aperto a un confronto con etiopi e kenyane che si preannuncia interessantissimo. In un tale contesto bravissima è stata Giulia Viola, che ne ha approfittato per cogliere il settimo posto col suo personale di 8’56”19. E proprio la questione dei PB è il tasto dolente delle spedizioni azzurre, quasi sempre allestite con atleti autori di grandi prestazioni prima dell’evento ma poi incapaci di migliorarsi quando conta davvero. Un problema psicologico? Forse, è su questo che bisognerebbe ragionare.

Giulia Viola ha dato tutto nella sua finale (foto Giancarlo Colombo/Fidal)

Molto bella la gara maschile, una sorta di prova a eliminazione dove alla fine l’ha spuntata lo spagnolo Adel Mechaal, tipico corridore capace di gestire le difficilissime gare in sala, con curve strette e giri di soli 200 metri dove bisogna anche saper lavorare di gomiti per trovare spazio. Alla fine in 8’00”60 ha battuto per 33 centesimi il norvegese Henrik Ingebritsen, che pure in volata ha pochi rivali. Addirittura fuori dal podio gli ex africani con l’azero di origine etiope Hayle Ibrahimov quarto e il turco-kenyano Ali Kaya che pure aveva dominato gli Europei di cross addirittura nono, dietro anche i nostri. Sinceramente Marouan Razine è piaciuto più dell’atteso Yeman Crippa, precedendolo in classifica (6° in 8’04”19 con il trentino alle sue spalle in 8’05”63) ma soprattutto apparendo più brillante sin dalle batterie. Sono giovani che stanno maturando lentamente, come anche Bouih ottavo sui 1500, la speranza è che la loro parabola vada sempre in ascesa.

La volata vincente di Mechaal (foto Giancarlo Colombo/Fidal)