Partito per la prima volta per l’Himalaya a 21 anni con il fratello Felix, ha fatto dell’alpinismo la sua vita. I 14 ottomila sono solo uno degli obiettivi raggiunti dal fortissimo alpinista spagnolo, di origini basche. Il suo è stato un alpinismo esplorativo, in cui ha cercato di superare i propri limiti con onestà e raziocinio. Abbiamo incontrato Alberto Iñurrategi durante una bella serata di “A tu per tu con i grandi dello sport” organizzata da DF Sport Specialist, ecco cosa ci ha raccontato.
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Intervista ad Alberto Iñurrategi
Ciao Alberto, quando e come hai approcciato l’arrampicata e l’alpinismo?
Ho iniziato ad arrampicare a quindici anni dopo aver abbandonato il football. L’approccio è stato molto da autodidatta in compagnia di alcuni amici, non frequentavamo nessun corso, semplicemente andavamo ad arrampicare. L’alpinismo invece l’ho approcciato grazie a mio fratello. Felix era di un anno e mezzo più grande e studiava a Pamplona. Essendo vicino ai Pirenei, aveva iniziato a scalare lì e quando iniziò a portarmici fu amore a prima vista.
Sei stato il quarto alpinista al mondo e il secondo spagnolo ad aver scalato tutti i 14 ottomila senza ossigeno supplementare. Fin da subito ti eri posto questo obiettivo e perché?
No per nulla, non ci avevo assolutamente pensato. Nell’ambiente dell’alpinismo l’ottomillismo è considerato un’attività piuttosto commerciale, ma arriva un punto, in cui ne hai fatti dieci e cominci a pensare, ok facciamoli tutti e togliamoci il pensiero, così nessuno più ci metterà pressione per completarli. E così è stato, dopo aver completato la lista è arrivata la libertà.

I tuoi obiettivi li hai sempre raggiunti in stile alpino?
No, non sempre. Lo stile alpino è sicuramente lo stile più puro ma sceglierlo comporta anche parecchi rischi. Per questo motivo a seconda delle situazioni in cui mi sono trovato o via via scelto, quale compromesso accettare.
Con tuo fratello Felix hai scalato i primi dodici 8.000, poi durante la discesa dal Gasherbrum II lui ha perso la vita. Questo incidente ha cambiato e in che modo il tuo vivere l’alpinismo e vedere la montagna?
E’ chiaro, la perdita del mio compagno di cordata, di mio fratello, è stata una tragedia in tutti i sensi. Ed è stato l’evento che mi ha obbligato a rivedere il mio approccio all’alpinismo. La nostra era una squadra in cui ci completavamo, lui era quello che teneva i contatti con i media, le relazioni, la comunicazione, mentre io ero quello più focalizzato sugli aspetti pratici e la parte fisica. Perciò alla sua scomparsa mi sono dovuto totalmente reinventare, assumendo anche ruoli che non mi erano congegnali.
Ci hai raccontato che hai sempre cercato di scalare nel modo più puro possibile, compatibilmente con la volontà di non correre rischi inutili. Anche sui colossi Himalayani hai cercato di non affidarti a sherpa e corde fisse, utilizzando un equipaggiamento leggero.
Le possibilità di successo scalando vette da 8.000 m in questo modo si riducono drasticamente, cos’è per te il fallimento?
L’incertezza è il motore che mi ha spinto per anni a fare alpinismo. L’incertezza di raggiungere o meno un obiettivo e il cercare di raggiungerlo nel modo più pulito possibile, il fallimento non è altro che una variabile del processo, qualcosa che aumenta il desiderio di scalare.
Fallire è fondamentale, è ciò che ci consente di crescere, migliorare, diventare resilienti. Il fallimento è un’opportunità preziosa non una sconfitta.

Queste emozioni di cui parli, in generale hai preferito condividerle con qualcuno o ti è piaciuto anche viverle in solitudine?
Senza alcun dubbio mi è piaciuto vivere l’alpinismo con dei compagni di cordata. Solo una volta nel 2010 mi è capitato di scalare da solo, perché il mio compagno era tronato indietro. Mi capita di andare in montagna da solo e godermi la solitudine ma non in spedizione, quelli sono per me momenti da condividere.
Tolti i 14 ottomila, come hai scelto i tuoi obiettivi?
Ho sempre cercato la novità, l’estetica di una via, la crescita del livello tecnico, l’esplorazione di regioni che mi erano sconosciute, su questi punti si sono basate le mie scelte.
Progetti?
Nooo, mi sono ritirato. Ora lavoro per Ternua. E’ stato il mio sponsor per 33 anni, siamo cresciuti assieme e mi ha supportato nella mia attività alpinistica. Il mio ego è in pace, è venuto il momento di fare un lavoro da ufficio.