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Flaka

di - 12/05/2014

Andrea, vent’anni, al secondo anno di osteopatia alla SOMA di Milano, scrive per divertimento e fa windsurf per passione. Questa rubrica nasce da un’ idea, quella di descrivere le manovre che più caratterizzano il nostro sport, non attraverso tecnicismi, come si fa solitamente per spiegare la tecnica per chiuderla, ma con una linea più lavorata, che metta in risalto le emozioni di praticare il windsurf. Iniziamo con la mitica Flaka.

 DSC_0117 (2)Stefano Lorioli in Flaka a Coluccia (@Surf Amo)

Flaka
Si certo, ormai questa manovra è obsoleta al cospetto di Burner, Ponch, Kono o altre manovre moderne, evolute. Al massimo la si vede come manovra complementare, o con grandi salti: l’air-flaka; ma credo che questa sia rimasta una delle più avvenenti. Ora cercherei di darle un appropriato contesto, si, uno di quegli spot esotici, uno a caso. Per mia limitazione questa manovra riesco ad immaginarla solo in uno di questi posti: meravigliosa spiaggia di terra gallurese, poco distante dalla più blasonata Porto Pollo. È pomeriggio inoltrato, in quella mezz’ora in cui il sole, calando, lascia la sua traccia sul mare, regalando un abbagliante luce che si rifrange direttamente sulla retina, quasi a oltrepassarla. Flaka, il suo nome è una lineare mutazione di quella che è la taka, da cui deriva. Ma nella mia testa richiama inconsciamente un aggettivo spagnolo, flaca, scritto con la c, che trasdotto direttamente diventerebbe magra, leggera; con questo aggettivo Neruda tracciò una delle linee più profonde ed appassionanti della poesia del novecento. Tornando al windsurf, la flaka è realmente una manovra leggera, eterea, una sospensione nell’aria a cui il surfer si oppone con il suo corpo, spingendo la vela attraverso il vento. Per chiunque abbia visto questa manovra per più di due volte risulterà inconfondibile il modo di approcciare il salto: una rapida andatura al lasco, a disegnare una curva larga sull’acqua, la vela che si porta posteriormente, e poi lo stacco. Il movimento è simile a quello dei ballerini, che in un cambio di appoggio da una gamba ad un’altra, disegnano in aria una figura meravigliosamente aggraziata. La vela si porta nel vento, gonfiandosi dalla parte ‘sbagliata’, mentre la punta della tavola attacca la superficie dell’acqua, levando degli spruzzi bassi. Ciò che viene dopo è pura inerzia, poesia, che si scarica in una rotazione, una mezza piroetta che riporta il surfer sulle mura da cui aveva precedentemente staccato la manovra, e che in spiaggia risulterà come una trottola che si muove elegantemente sul velluto.

TESTO DI Andrea Tarantino

fotoAndrea Tarantino

Ciao a tutti, sono Fabio Calò (ITA-720), ho iniziato a fare windsurf all’età di 13 anni e da quel momento è diventata la mia più grande passione, poi la mia vita e il mio lavoro. Campione Italiano Wave nel 2013 e 2015. Vivo a Torbole sul Garda e respiro l’aria del windsurf 365 giorni all’anno.