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Fun146 – Venezuela 2012

di - 01/05/2012

TESTO E FOTO DI Pietro Albano

Pietro Albano, giovane freestyler veronese, è scappato dal gelido febbraio milanese, città in cui sta frequentando l’università, per raggiungere Gollito&co. nelle ventosa Isla Margarita in Venuezela insieme ad un gruppo di suoi amici. Manovre freestyle fino allo sfinimento, anche se lo spot presenta qualche difficoltà.

“Ma chi me l’ha fatto fare…?”: questo è quello che mi chiedevo una gelida serata di fine gennaio quando alle 11 e mezza di sera uscivo dalla biblioteca dell’università a Milano, in bici e sotto una fitta nevicata. Ho passato praticamente tutta la sessione d’esami invernale a farmi questa domanda. Il mio dubbio si faceva sempre più concreto ogni qual volta accendevo il computer e vedevo qualche video di windsurf, di cui ero in astinenza ,visto che la mia ultima uscita risaliva a metà ottobre… Quando per un mese e mezzo non fai altro che studiare dalla mattina alla sera e l’unico momento di creatività è nel prepararti la cena, beh lì capisci di quanto hai bisogno di cambiare aria e soprattutto di fare windsurf… ne va della tua salute mentale.
Così mentre cercavo di preparare 4 esami per metà febbraio non sapendo se li avrei passati, compromettendo una mia possibile migrazione al caldo, ho iniziato a curiosare su internet su qualche possibile meta ventosa e soprattutto cercare qualcuno con cui andare. La svolta è avvenuta nella prima decade di febbraio quando ho sentito Jacopo Testa su Facebook con cui avevo già abbozzato molto vagamente per il Sud Africa. Dopo averlo maledetto più volte come consuetudine mi scrive: “Andiamo a Margarita, El Yaque!”. Alquanto stupito per questo cambio repentino di programma, scopro che il progetto era già largamente avviato e dentro oltre a Japo, c’erano già altri tre amici come Paolo Bacchini, Nicola Terenzi e Andrea Melis (che purtroppo alla fine non è potuto venire) più un quarto, Francesco Corti, che non conoscevo; così senza pensarci due volte mi ci sono buttato anch’io.
L’isola di Margarita è la più grande del Venezuela e soprattutto la più turistica. Si trova a 40 chilometri a nord-est dalle coste venezuelane. L’isola è situata nel mar dei Caraibi anche se in alcune spiagge il colore dell’acqua è abbastanza sul marrone. La nostra meta era la Playa di El Yaque, casa di un certo Gollito Estredo. Nei mesi “secchi”, da gennaio a maggio l’isola è battuta costantemente dall’Aliseo e a El Yaque rinforza grazie a un effetto termico. Sono partito il 23 febbraio con Paolo e Francesco, con rientro per il 17 marzo; Jacopo invece ci avrebbe raggiunto una settimana dopo (il poveretto aveva posticipato il suo ritorno dal Brasile).
La compagnia con cui abbiamo volato è stata Ibera, con partenza da Milano e arrivo a Caracas con scalo a Madrid. Il volo è abbastanza economico e il trasporto attrezzatura lo fanno pagare 150 euro a tratta; almeno potevamo portare fino a 50 kg!
Per arrivare a Margarita poi c’è bisogno di un altro volo da Caracas, che abbiamo prenotato con una certa fatica: sui vari siti di agenzie in Internet si trovano, ma costano il quadruplo di quello che paghi comprandolo dal Venezuela. Così curiosando su qualche forum ho trovato il contatto di una italiana che lavorava per un’agenzia di viaggi a Margarita ed è stata lei a comprarci il biglietto risparmiando circa 150 euro.
Comunque sia per quanto riguarda il volo spendendo qualcosina in più c’è la possibilità di comprare un volo unico per Margarita senza dover passare la notte a Caracas, come avremmo dovuto fare noi. Gasati come pochi, a 2 giorni alla partenza mancava un dettaglio abbastanza importante: dove avremmo dormito? Andrea si era informato e aveva trovato una specie di pousada molto economica. Così abbiamo scritto al padrone, un certo Josè, che ci ha offerto un appartamento per 3- 4 persone alla modesta cifra di 680 dollari al mese. Perfetto, risolto anche questo ho iniziato a preparare la sacca da viaggio del windsurf e riempire le vele di adesivi visto che erano tutte bucate (forse sarebbe stato meglio ripararle un po’ prima): mi sono portato 3 vele, 4.2, 4.7 e 5.3 e il 100 litri freestyle che per i miei 78 kili vanno bene un po’ in ogni situazione. Comunque alla fine le vele che ho usato di più sono state la 5.3 e la 4.7.
Arrivati a Caracas ci siamo trovati davanti subito ad una brutta sorpresa: le sacche da windsurf di Paolo e Francesco non erano arrivate mentre per fortuna la mia c’era. Usciti dal “ritiro bagagli” siamo stati letteralmente assaliti da una marea di uomini: chi ci voleva aiutare a portare i bagagli ovviamente in cambio di soldi, chi sembrava essere un poliziotto ma non lo era, chi ci faceva strani segni ma soprattutto moltissimi che ci volevano cambiare i soldi.
In Venezuela la moneta attuale è il Bolivar, che vale circa 5- 6 volte un euro se li si cambia in qualunque sportello di cambio o banca (anche se il ritiro dei soldi dal bancomat non è consigliato visti gli innumerevoli casi di clonazione). Questi tizi in aeroporto, ma che puoi trovare un po’ ovunque in Venezuela, invece ci proponevano un cambio in nero di cui ovviamente eravamo a conoscenza e su cui speravamo: un Euro lo scambiano a 10-11 Bolivar!!!
Il rischio di fregatura non è da sottovalutare, così abbiamo cambiato una piccola somma, prima di trovare qualcuno a Margarita di affidabilità maggiore e con cui cambiare più soldi.
Fatto anche questo, per fortuna dopo qualche minuto abbiamo trovato l’autista dell’hotel che ci ha portato sani e salvi a destinazione.
Il tasso di umidità in quel di Caracas è veramente elevato, e dopo 9 ore di aereo non si riesce proprio a sopportare; ovviamente la nostra camera d’albergo non ne era risparmiata. All’alba ci hanno riportati in aeroporto e alle 8 e mezza eravamo già sull’aereo per Margarita: nota positiva è stato il costo di 9 euro del trasporto attrezzatura. Abbastanza traumatico invece era camminare in aeroporto: la puzza di fritto era ovunque e vedere tutti questi venezuelani fare colazione con impanadas ripiene di formaggio o pollo, ricoperte di ogni tipo di salsa ti fa capire che sei proprio dall’altra parte del mondo. Ovviamente anche io ho provato questo tipo di menu , ma direi che non è stata una grande mossa.
Con lo stomaco sottosopra alle 10 siamo atterrati a Margarita finalmente. Vento e sole non mancavano e per fortuna ancora una volta neanche i miei bagagli.
L’aeroporto non è molto distante da El Yaque così in 10 minuti di taxi eravamo già sullo spot e senza molta fatica abbiamo trovato il nostro appartamento situato più nell’entroterra. La Playa nel suo complesso non è molto grande ed è concentrata per la maggior parte lungo i 600 metri di spiaggia dove palme e piccoli bar/ristorantini si miscelano in un cocktail caraibico a cui fa da cornice il sound tipicamente latino. Sempre sulla spiaggia ci sono tutte le scuole di windsurf dietro le cui si ergono tutti i principali hotel. Sulla strada invece che costeggia la spiaggia alle spalle degli hotel, oltre ad altri ristoranti si possono trovare anche qualche negozio di alimentari con lo stretto necessario e qualche negozietto surf style. Oltre la strada verso l’interno, si trovano diverse case che è possibile affittare. Visti i circa 400 metri che separavano il mare a casa nostra dopo una breve ricerca abbiamo deciso quale sarebbe stato il nostro rimessaggio: era una piccola scuola affianco ad un hotel e al ristorante che si è rivelato uno dei migliori della spiaggia, lo “Sharks”. Per il rimessaggio dell’attrezzatura ci hanno chiesto 25 dollari a settimana e di fianco alle nostre vele teneva le proprie Gollito!
Ok, adesso è arrivato il momento di entrare in acqua. Lo stesso giorno di arrivo, dopo pranzo il vento si faceva già sentire: ho montato subito la 4.7 e sono entrato in acqua. A El Yaque il vento è side shore e si esce mure a sinistra; sopravento ci sono 100 metri di Kite Zone, mentre sottovento il mare è del tutto adibito al windsurf. Devo dire la verità: i 4 mesi di non windsurf si facevano sentire, ma l’acqua calda e gli shorts aiutavano a superare il trauma di non chiudere nessuna manovra. La prima impressione che dà lo spot non è molto positiva: anche se l’affollamento non è particolarmente intenso come per esempio sul Garda, la quantità di chop è notevole. Mure a sinistra è quasi impossibile fare qualche manovra o mettersi in switch con quell’acqua che sembra bollire, a destra anche se nell’inside e davanti alla spiaggia tra i bagnanti il chop si regolarizza, il vento rafficato rende abbastanza difficile il tutto.
Un particolare apprezzabile invece è che si tocca fino a 200 metri da riva.
Comunque sia una volta che ci prendi la mano le session diventano divertenti; anzi, mure a sinistra per chi vuole imparare la shaka direi che è il posto ideale. Poi è praticamente sempre presente uno “swell” di mezzo metro che in alcuni giorni arrivava anche al metro. L’onda non rompe dappertutto ma comunque sia è il top del divertimento: air flaka, ponch, shaka e chi più ne ha più ne metta. Molti pomeriggi per esempio, li passavamo a fare a gara per chi faceva la shaka più alta (quelli erano i nostri “shaka day”). Ora ho capito il perché dello stile sempre imprevedibile e impulsivo di Gollito: qui non si impara a fare i passaggi o a spinnare le manovre, qui si impara a manovrare ignorantemente tra i bagnanti e a saltare mixando salti tipo backloop ecc, alle new move ma fatte sempre a 3 metri dal pelo dell’acqua.
Aprendo una parentesi su Gollito, purtroppo vedendolo fuori dall’acqua bisogna ammettere che oggettivamente è proprio tamarro: non so quante volte l’ho visto sgommare con il suo pick-up per strada e presentarsi in spiaggia pieno di cianfrusaglie attaccate al collo e occhiali stile Kanye West. Ma a parte queste poco importanti apparenze, in acqua non c’è storia. Appena rientrato da un infortunio al braccio manovrava già con i prototipi 2013 e si vedeva comunque che quella era casa sua: faceva le manovre sul bagnasciuga in mezzo a decine di persone che più di tanto non sembravano curarsene, e nei salti era veramente imbarazzante. Da notare che in acqua stava veramente poco: la massima durata di una sua session sarà stata di un’ora senza contare che molti giorni ventosi neanche usciva!
Ritornando a noi, la zona in cui l’ondina si fa un po’ più verticale e rompe è proprio al limite sopravento della zona kite, dove l’acqua non supera il mezzo metro d’altezza; inoltre verso riva si può trovare qualche zona da considerarsi più flat che sottovento, e nonostante il vento rimanga abbastanza rafficato la situazione è più che accettabile.
È bastato osservare 5 minuti Gollito come aspettava il set giusto a riva per poi lanciarsi in aria in mezzo ai kite, per capire un po’ come funzionasse.
Quasi 2 chilometri sottovento alla spiaggia di El Yaque si trova una baia in cui una lingua di terra e l’acqua molto bassa ovunque rende l’acqua completamente flat: è qui che molte parti del famoso video di 3 anni fa di Paskowski “two for ten” è stato girato. All’andata in down wind ci si arriva abbastanza velocemente, ma al ritorno per risalire fino alla playa ci si impiega minimo mezz’ora. Unico neo di questo spot è la puzza di fogna e il fondale che non è piacevole toccare con i piedi: gira voce che qui convergono i vari scarichi di El Yaque cosa che ti sprona ancora di più a chiudere ogni manovra in piedi! Ormai i giorni passavano e noi lentamente avevamo preso il ritmo venezuelano: la mattina ci svegliavamo con calma verso le 9-10 (anche se poteva variare di molto in rapporto alla serata passata) e dopo una sostanziale colazione c’era abbastanza tempo per un buon libro o qualche esercizio di stretching prima che entrasse vento .Poche volte mi è capitato di uscire anche la mattina, visto che di solito il vento rinforza intorno alle 12-13 per poi durare fino alle 17-18. Conviene pranzare verso le 11:30, e mettersi abbastanza energia in corpo per resistere tutto il pomeriggio in acqua; secondo me il top era proprio l’orario di pranzo quando il vento aveva appena rinforzato e in acqua c’era ancora poca gente. Idem per il tramonto, quando si era gli unici in acqua e si prendevano le ultime raffiche e la musica dei vari locali sulla spiaggia che ti accompagnava nei trick! Ovviamente usciti dall’acqua non poteva mancare una buona birra o una Caipirinha sulla sdraio ormai quasi col buio…
La sera molto spesso mangiavamo a casa, ma non ci siamo fatti mancare qualche cena nei ristorantini sulla spiaggia: i prezzi variano dai 7 ai 15 euro e si mangiano degli ottimi piatti di carne o di pesce fresco pescato il giorno stesso. Per quanto riguarda il dopo cena El Yaque non offre molto oltre ai locali sulla spiaggia dove fanno ottimi cocktail a prezzi irrisori. Qui la musica inizia intorno alle 9 di sera per cui le serate non finiscono mai molto tardi come siamo abituati qui in Italia; 3-4 sere a settimana qualche localino prolunga la musica fino a tardi trasformandosi in mini discoteca, oppure ci si poteva spostare sulla strada interna dove si trova il “Piratas”, che la possiamo definire la discoteca di El Yaque. Le settimane in cui invece la festa è giorno e notte sono quelle di carnevale e la settimana santa a Pasqua. Rispetto al resto del paese il livello di sicurezza a Margarita è più alto essendo per lo più una meta turistica, ma bisogna sempre essere consapevoli di essere in Venezuela e la criminalità è frequente, a partire dalle forze dell’ordine, i Guardia National.
Comunque sia i giorni migliori in cui c’è un po’ di più movimento notturno vanno dal venerdì al sabato, mentre i restanti giorni si va a letto relativamente presto. Nei week end la spiaggia si popola e si fa quasi fatica ad entrare in acqua con il windsurf per il numero di persone sulla sabbia. La cosa che colpisce di più è che ogni gruppetino di persone nella playa ha il proprio kit privato da cocktail, composto da svariate bottiglie di Rum e di Coca-Cola e il sacco pieno di ghiaccio.
Già dalla mattina tutti i Venezuelani iniziano a bere e il culmine si ha nel pomeriggio al tramonto quando c’è il delirio sulla spiaggia ed è impossibile non farsi trascinare nella festa! Arrivato alla fine della mia permanenza con qualche manovra in più e mille nuove esperienze di vita, potrei definire questo posto una perfetta palestra per il windsurf. Qui si può trovare il giusto compromesso tra sport, relax e divertimento, visitando un paese che ha stili e cultura molto differenti dall’Europa ma grazie al calore e l’allegria della gente, entri a farne parte fin da subito.

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