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Le Dolomiti invernali di Simon Gietl

di - 28/04/2024

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Alcuni lo chiamano caso, altri destino, ma il punto è lo stesso: la vita, in qualche modo, riesce sempre a portarti nel posto giusto. È così per Simon Gietl, alpinista altoatesino e ambassador Salewa. Nato in Valle Aurina nel 1984, si avvicina all’arrampicata a 18 anni quando, facendo autostop, ottiene un passaggio da un automobilista con la passione per l’alpinismo: i suoi racconti lo affascinano al punto da spingerlo immediatamente alla ricerca dello stesso brivido verticale.

Di Chiara Beretta, da 4outdoor #01 – 2024

La vita ti vuole bene, gli ripeteva la madre quando Simon era ancora uno scolaro scontento e inquieto. «Quando ero un bambino non capivo, ma adesso so cosa voleva dire», racconta l’atleta. A due decenni di distanza da quel fortunato incontro – dopo ripetizioni notevoli, decine di nuove vie aperte nelle Dolomiti e straordinarie spedizioni extraeuropee – Simon Gietl si conferma uno dei maggiori esponenti dell’alpinismo italiano con una propensione per le ascese invernali in solitaria.

Trovare il tempo per sé stessi

All’origine della passione di Simon Gietl per il winter solo c’è il desiderio di rimanere con sé stesso tra le vette che ama, che in inverno sanno regalare una quiete e un silenzio inimmaginabili se si capita da quelle parti durante l’affollatissima estate. «A volte sento il bisogno di stare da solo e per farlo scelgo sempre la montagna. È come un dono che faccio a me stesso», spiega l’alpinista al telefono dalla sua casa tra i monti, dove è in corso la festa di compleanno di uno dei suoi due figli.

La solitudine rigenerante dell’alta quota non ha niente a che fare con l’essere o il sentirsi isolati, così come il freddo delle cenge innevate non cancella il tepore di casa. Lo spiega, in una piccola incursione nell’intervista, la compagna di Simon, Sandra. È lei a sfatare quello che, a suo dire, è uno dei pregiudizi più diffusi sulla loro famiglia: «Molte persone sono convinte che Simon non sia mai a casa, o comunque che ci resti solo per poche ore. Non è così. È un marito e un padre fantastico: gioca con i bambini, fa i mestieri», racconta Sandra. «So che ama fare le sue cose e avere del tempo per sé, ma so anche che poi vuole sempre tornare e rimanere a casa insieme a me e ai bambini, passando del tempo insieme».

Le traversate invernali in solitaria

Simon non ama annunciare i suoi progetti prima di portarli a termine, ma Sandra è una delle pochissime persone con cui ne condivide da subito tutti i dettagli. «In ogni spedizione il momento davvero speciale è l’inizio», racconta l’alpinista. «Non parlo solo di quando prendo la decisione di compiere un’impresa di un certo tipo da solo, ma proprio del primo passo. È lì che comincia tutta la storia». A febbraio 2023 l’altoatesino ha completato in solitaria la prima traversata invernale delle dodici cime del Gruppo delle Odle, nelle Dolomiti. L’impresa è resa ancora più straordinaria dal fatto che Gietl non conosceva nessuna delle dodici cime, a eccezione della Piccola Fermeda, ed è stata preceduta da altre tre spedizioni in inverno in solitaria: la prima traversata delle Tre Cime di Lavaredo nel 2020, l’ascesa del Pilastro di Mezzo, variante Mariacher al Sass dla Crusc nel 2021 e la traversata del Rosengarten nel 2022.

La scelta della via da salire per Simon è sempre una questione di amore a prima vista. Di pancia, potremmo dire. Ma anche di ricerca di una certa sfida con sé stesso dal punto di vista fisico e mentale. «Il desiderio e la motivazione che mi hanno spinto ad attraversare la lunga cresta da solo, e per giunta in inverno, erano legati a diverse ragioni», aveva spiegato Simon subito dopo la traversata delle Odle. «Soprattutto, volevo capire quanto si possano mettere alla prova i propri limiti e fino a che punto il trasporto del materiale e la tecnica di cordata funzionino per più giorni in queste circostanze». Ora che sono passati alcuni mesi, ripensando alla grandiosa traversata dello scorso febbraio Simon ricorda molto bene che la sfida principale è stata seguire la linea giusta, un fatto non scontato su un terreno sconosciuto e per di più coperto dalla neve. «Ho avuto la fortuna di trovarla subito e di passare le prime cime senza problemi e senza dover tornare sui miei passi. Iniziare bene è importante, perché motiva ad andare avanti».

Gietl è partito alle 5 del mattino del 14 febbraio 2023 da Longiarù, senza aver allestito preventivamente alcun deposito di materiale. Ha trascorso la prima notte nel bivacco ai piedi della via ferrata tra Furchetta e Sass Rigais, mentre la seconda notte ha bivaccato tra la Grande Fermeda e la Piccola Fermeda. Il terzo giorno è sceso verso il Seceda ed è arrivato a destinazione al rifugio Baita Pramulin di Selva. «Il percorso è stato arduo e faticoso, ma comunque spettacolare e divertente. Dopo tre giorni di grande tensione e di profonda concentrazione, essere riuscito nel mio intento è stata una sensazione davvero travolgente. Sono grato per aver potuto vivere questo momento intenso – so che non lo dimenticherò mai!».

Gestire il rischio: meno testa, più pancia

Grande tensione e profonda concentrazione: un’accoppiata inevitabile in un’ascesa in solitaria, dove «ogni passo deve essere quello giusto, cosa che è molto impegnativa dal punto di vista mentale». Ma, prosegue Simon, la testa da sola non basta. La strategia per gestire il rischio e la paura è imparare ad ascoltare non tanto e non solo la razionalità, ma soprattutto la pancia, l’istinto. «La testa si può sempre manipolare: anche di fronte a un rischio molto grande ti puoi raccontare delle bugie, puoi convincerti ad andare avanti comunque. Ma le sensazioni della pancia non mentono e non si possono cambiare. Resto sempre in contatto con queste sensazioni e grazie a loro decido se andare avanti o tornare indietro». Niente rischi inutili, insomma: non ne vale la pena.

Quando gli chiedo se questo aspetto è cambiato nel corso degli anni, magari dopo essere diventato papà, Simon inizia a rispondere raccontando un aneddoto della sua infanzia. Un giorno, andando a sciare con la famiglia, si è dimenticato i guanti a casa e il padre, pur accorgendosi della mancanza, non ha detto nulla. Un’intera giornata di sci a mani nude gli ha insegnato indelebilmente a prendersi sempre cura di sé stesso, prima che lo facciano gli altri, e a occuparsi delle piccole e grandi cose che gli servono per stare bene.

Simon Gietl

Cosa mettere nello zaino

Preparare lo zaino per una traversata invernale in solitaria è un’arte: bisogna portare con sé l’equipaggiamento salvavita, ovviamente, ma senza caricarsi eccessivamente. I capi e le attrezzature che accompagnano Gietl nelle sue imprese sono della collezione Ortles di Salewa, pensata appositamente per l’alpinismo. Proprio l’esperienza sul campo e i feedback di Gietl, anzi, hanno aiutato il brand a mettere a punto un equipaggiamento adeguato alle esigenze di qualità, funzionalità e sicurezza di chi frequenta l’alta montagna. «Scelgo sempre uno zaino da 32 litri: se dovessi usarne uno più grande, finirei per riempirlo ancora di più. Preparo tutto l’occorrente con una bilancia e alla fine è lei che decide cosa dovrò portare e cosa no.

La giacca gialla pesa un grammo in meno di quella blu? Vada per la giacca gialla, allora!». Per la recente traversata delle Odle Gietl ha portato sulle spalle uno zaino con dentro un fornello, una corda da 60 metri, dei moschettoni, dei chiodi, alcune provviste, una piccola tenda e un sacco a pelo leggero. Peso totale: 18 kg. «Trovarsi in tenda a fine giornata è uno dei momenti magici di una spedizione: ripenso alla giornata con enorme gratitudine e so che dopo poco potrò dormire. Nel sacco a pelo mi sento sempre come se fossi a casa».