Golden Trail World Series, Ledro Sky, siamo tornati a correre sul ripido con Paolo Dellavesa e Salomon, una gara da fare, ma soprattutto da raccontare a tutti voi!



L’emozione di correre con i migliori al mondo
Mentre pensavo a come iniziare questo pezzo, una considerazione sul nostro sport mi ha portato via una manciata di minuti. “Ma in quali altre discipline, un amatore può disputare una gara con i migliori professionisti al mondo?”. La risposta è semplice: La corsa. L’ho chiesto anche all’intelligenza artificiale e mi ha detto il Triathlon, il poker e l’equitazione.

Il privilegio di essere tra pochi
Insomma, poche realtà e anche difficilmente paragonabili. Nessun non professionista potrà correre per esempio una Classica di ciclismo con Tadej Pogačar o giocare a Wimbledon con Jannik Sinner. Pensiamoci, noi corridori, a quanto siamo fortunati a poter prendere parte a delle gare con loro. Nello stesso giorno, sullo stesso percorso.

Golden Trail World Series, livello tecnico “spaziale”
La finale delle Golden Trail World Series è forse uno dei contesti con il livello più alto a cui si possa partecipare. Certo ci sono UTMB, Western States e poche altre. Ma per questa non servono lotterie e doti (quasi) sovraumane. “Sono “solo” 21 km e 1700 metri di dislivello positivo, anche se il mio Garmin ne indica 1800, ma ci arriviamo dopo…”

GTWS, un po’ di storia
Nato nel 2018 da un’idea di Salomon, il circuito ha rivoluzionato l’approccio al trail running, rendendolo spettacolare per il pubblico e attraente per gli atleti élite. La ricetta è semplice, prendere alcune delle gare più iconiche al mondo, leggasi ad esempio Zegama o Sierre-Zinal, e creare un circuito in cui solo i migliori 30 in classifica generale possono accedere alla finale, che cambia ogni anno. Un mix esplosivo di talento, emozione e paesaggi mozzafiato. A questo numero di partenti si sommano quelli come noi che possono scegliere di correre “insieme” a questi cavalli di razza.


Valle di Ledro, il quadro di un impressionista
Quest’anno i riflettori si sono accesi in Valle di Ledro, su una versione potenziata del classico percorso della Sky trentina. Ci troviamo a nord-ovest del lago di Garda, al confine con la Lombardia. Un territorio che sembra uscito da un quadro impressionista, con i colori dell’autunno che si specchiano nelle acque del lago. Rispetto alle gare più classiche qui, uomini e donne corrono separati. Queste ultime al sabato in una giornata con un sole che faceva quasi venire nostalgia dell’estate appena salutata…

Domenica mattina, quicklace tirati e via!
Il giorno successivo è quello della mia Ledro Sky, finalmente. Il cielo è coperto, l’aria frizzante. Nubi basse, folate di vento e foglie. Stringo il quicklace delle mie Salomon e via sul lungolago a scaldarmi. Negli attimi che precedono la partenza, normalmente entro nella mia bolla di concentrazione e isolamento. Ma qui è diverso, incrocio tutti i migliori atleti al mondo e mi diverto a riconoscerli. Ci sono tutti. Sono euforico come un tifoso che va allo stadio, quasi in soggezione nel condividere con loro quei gesti così simili nel pre-gara. Allunghi, mobilizzazione, regolazioni dell’attrezzatura.

Con il cuore in gola
Parto con il cuore in gola. Il primo chilometro è in pianura ma è tutt’altro che una sfilata, sono a 3 e 30 al km e subisco solo sorpassi. Mai vista così tanta foga. Capisco subito che devo usare un altro approccio. Quasi contemplativo. Scorgo Madalina Florea (fresca vincitrice del circuito femminile), con i suoi capelli rosa, in piedi su una roccia a tifare sventolando un campanaccio. Poi si comincia a salire, il sentiero si inerpica subito con decisione, e la pendenza si fa sentire. Sono oltremodo fuori soglia. “massì, vediamo finché tengo”. Avevo pensato di approcciarmi a questa gara in modo disteso ma poi, allo start, la vena si è chiusa.

Un terreno vario
Come sempre. Il terreno è vario, alterna tratti corribili a sezioni tecniche dove ogni appoggio va pensato. Il pubblico è all’altezza. Gasatissimo. Dopo un insidioso traverso erboso tocco la prima croce di giornata, quella del monte Caret a quota 1793m. Esco dalla vegetazione ma sono ancora immerso nelle nuvole, che rimangono basse e contribuiscono a quel clima epico che calza a pennello in una giornata così. Dopo un velocissimo passaggio al primo ristoro, il dislivello fatto è già di 1100 D+ circa, ma ora inizia il bello.

Il Senter delle Greste
Il Senter Delle Greste, come lo chiamano da queste parti, è una sezione di gara incredibile. Si sale, appunto, su creste affilate come coltelli. Correre su questo filo è un esercizio di tecnica che riesco a mettere in atto a malapena. Ma mi diverto e l’adrenalina di quei passaggi mi fa sentire un piccolo Kilian.
La folla di Cima Parì
La salita verso Cima Parì è la più dura: un drittone senza curve ci porta a quasi 2.000 metri di quota. Il fiato corto, il cuore che batte forte. Buco le nuvole e due ali di folla mi acclamano, urlano tutti il mio nome e la fatica tutta d’un tratto sembra essere svanita. In quel momento sono in trans agonistica, la stanchezza è stata sciacquata via dalle grida della folla e dalla cornice maestosa delle alpi trentine. Che finalmente si mostrano. Pelle d’oca!
“Salta!”
Sulla cresta verso Cima Sclapa il vento mi sferza il viso, intravedo anche il lago di Garda. Mi sembra di vivere in un mondo parallelo quando un volontario mi riporta sulla terra con un perentorio “Salta!”. Non mi faccio domande e spicco il volo tra due rocce, effettivamente, non poi così vicine tra loro. Il rapporto che ho con i sentieri tecnici è buffo, sono la cosa che più mi piace del trail ma anche quella dove vado peggio. Pazienza, è bellissimo. Quando inizio la discesa cambia ancora scenario e le emozioni si tramutano nuovamente. Corro dentro a fenditure nella roccia dove passo a malapena, a volte striscio addirittura le spalle sulla roccia viva.
Nel ricordo della Grande Guerra
Sono le trincee della Grande Guerra. Un luogo commovente, che mi catapulta con la mente ad immaginare quando questi passaggi sono stati costruiti e utilizzati. Provo un grande senso di stima e gratitudine. Un ambiente sacro. Quello che non cambia è la connotazione tecnica che anche in discesa è altissima. Non può essere altrimenti visto che in poco più di 2 km si perdono quasi 650 metri di dislivello. Praticamente un vertical in discesa. Promessa di mal di gambe per giorni dopo la gara. Supero una manciata di atleti di slancio, dimenticando di tenere qualcosa per il finale. Già, perché gli ultimi chilometri non sono per nulla facili, si risale di quel poco che basta per mettere in croce le gambe. Poi di nuovo giù. Di nuovo su. Proprio quel genere di vallonato spacca-gambe ben nascosto da un’altimetria che sembrava decisamente più gentile.
Stringendo i denti verso il traguardo
Stringo i denti e mangio l’ultimo gel. È ora di tornare sul lago in poco meno di tre ore. Ma oggi il tempo, quello cronometrico, non conta. Entro nell’ultimo chilometro con la consapevolezza di aver corso una gara con i migliori di questo sport. Per la verità già tutti al meritato terzo tempo. Elhousine Elazzaoui vince gara e circuito, un vero fuoriclasse degno rappresentante della squadra di quello che qui, ha fatto bello e cattivo tempo, ovvero Kilian Jornet.



Grazie Golden
La Golden Trail World Series non è solo un circuito. È una narrazione collettiva, un viaggio che unisce atleti, territori e storie. La Ledro Sky, con il suo fascino ruvido e autentico, mi ha regalato un’esperienza che va oltre la competizione. È stato un privilegio esserci. Con me ha corso quel ragazzo che sogna, che si allena al buio e con la pioggia. Che crede nella corsa come scuola di vita. Per vivere momenti come questo, di luce infinita. La Ledro Sky è stata tutto questo.
