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Marmolada: un sogno diventato realtà

di - 19/08/2021

marmolada

Dal #3 di 4outdoor magazine l’articolo di Federica Campi sulla sua avventura in Marmolada

Testo e foto di: Federica Campi

Vi racconterò questa storia dal principio perché era un sogno durato più di un anno e ogni singolo giorno ha svolto un ruolo fondamentale.

Nel 2019 ho avuto il piacere di andare in Trentino, come ogni anno durante il mese di Agosto. Ero in buona forma fisica e le gite in Val d’Aosta e Piemonte con il CAI erano state un ottimo allenamento per arrivare a maturare lo stato fisico e mentale per fare bene.

Insomma, era arrivato il momento di provare a superare il confine della comfort zone e provare ad esprimersi in qualcosa di più complicato. Così, nel giro di una settimana, sono passata dal non aver mai fatto una ferrata a farne due: entrambe di carattere storico e culturale. Avevano oltretutto un non so che di speciale, essendo entrambe caratterizzate dall’essere tracciate in mezzo alle trincee italo-austriache.

La seconda esperienza poi ha avuto un sapore ancora più speciale perché, oltre ad essere di grado medio-difficile, era anche posta di fronte ad uno scenario incredibile, quello della Marmolada.

Così, tra trincee e ponti tibetani è cominciato a maturare un pensiero in me: dalla ferrata delle Trincee e dal rifugio Padon stavo sognando ad occhi aperti verso la Ferrata della Cresta Ovest in Marmolada che, con un po’ di fatica, mi avrebbe portata a Punta Penia, 3.343 m.

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Da quell’Agosto 2019 sono successe un po’ di cose, tra cui il subire un’operazione chirurgica ed una pandemia globale che ha bloccato il mondo intero. Ma entrambe le cose non hanno fatto altro che rafforzare sempre di più i sogni che già covavano dentro di me.

Obbligata come tutti a restare bloccata in casa, ho potuto leggere molto di montagna ed alpinismo (tra cui anche il libro di Carlo Budel “La sentinella delle Dolomiti”), vedere foto e video di grandi esploratori (tra cui Bonatti, Messner e Barmasse). Così, la voglia di salire a Capanna Penia, e mangiare uno strudel a 3.343 m, è cresciuta sempre di più fino ad esplodere.

In quel periodo di snervante inattività mi sono avvicinata anche alla disciplina dello Yoga, che ha radicalmente cambiato la mia vita sia dal punto di vista fisico che mentale.

La componente fisica ha aumentato la forza muscolare, la flessibilità e l’equilibrio, mentre quella spirituale ha rafforzato la capacità di stare concentrata sul momento presente, non far vagare i pensieri ed infine anche far crescere la tenacia e la consapevolezza del necessario bilanciamento tra mente e corpo.

Alla fine del lockdown ero insomma pronta a riprendere in mano la mia vita, con più forza mentale, uno spirito nuovo ma la voglia di sempre di esplorare nuovi orizzonti, soprattutto sui monti e le vette, tanto desiderati nei mesi precedenti.

Agosto 2020 per me aveva un solo nome e un solo obiettivo: Marmolada.

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Per poter andare a trovare Carlo Budel a Capanna Penia e potermi deliziare di uno strudel assieme alla mia compagna di scorribande.

L’avventura prende forma e il giorno 11 Agosto, assieme alla mia amica Francesca e a Giovanni, la nostra bravissima guida alpina, cominciamo la salita. Per rendere l’esperienza ancora più magica, avevamo deciso di dividerla in due tranche: salendo dapprima al Rifugio Ghiacciaio della Marmolada a 2.727 m, per gustarci un’ottima cena condivisa in rifugio, guardando un meraviglioso tramonto ed una alba da togliere il fiato, per poi ripartire la mattina del 12 Agosto.

I 700 m che dividono il Lago Fedaia dal Rifugio erano diventati quindi l’ultimo ostacolo che ci separava dal nostro sogno: con l’approccio da Yogi, avevo deciso di godermi ogni singolo metro ed ogni minuto del mio tempo per portare con me quelle emozioni e ricordi come indelebili.

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Il giorno successivo alle 5.30 scendo dal letto prima della sveglia, il colore rosa del cielo entra all’interno della camerata, distogliendomi dal sonno, già alquanto movimentato e leggero. Sarà la tensione della prima ascesa alpinistica, quella che ogni alpinista sogna e ricorda per sempre: insomma, un momento del genere non va sprecato a letto insonne ma vissuto fino in fondo.

L’aria fresca del mattino mi accoglie subito con severità e dolcezza, manca ormai davvero poco alla partenza e la destinazione è sempre più vicina ma ciò oltre all’euforia crea anche tensione, amplificata dal ginocchio che, sembra farlo apposta, ha ricominciato a fare molto male.

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Tempo di fare video e foto ad un’alba spettacolare, di fare colazione al volo e siamo in partenza!

La tensione aumenta sempre di più e la prima ora di camminata scorre veloce, forse non è nemmeno un’ora: nel giro di breve vedo Sasso Piatto, Sassolungo, Sass Pordoi e la cima Vernel davanti a me. Poi, poco dopo, ecco il ghiaccio, per la prima volta devo usare ramponi e piccozza.

La tensione svanisce totalmente non appena faccio il primo passo su questo terreno: ogni parte del corpo ha trovato il proprio equilibrio, l’armonia dei movimenti e l’adrenalina dello spirito si sono fusi fino all’imbocco della ferrata. Tempo di riporre piccozza e ramponi e via: solo la parete attrezzata rimane fra me e Carlo Budel.

La ferrata scorre bene: tutte le difficoltà tecniche della Ferrata delle Trincee sembrano lontane per il mio corpo ora forse più flessibile e pronto a movimenti con ampie estensioni delle gambe; affianchiamo trincee austriache molto suggestive e l’unica difficoltà forse è il fiato, che a quota 3.000 m comincia a farsi sentire, ma l’entusiasmo è davvero pazzesco e tra foto e colpi d’occhio incredibili, il tempo scorre rapido: non sono neanche le 11.00 e già vediamo la croce: in brevissimo percorriamo l’ultimo tratto ghiacciato che ci separa.

Siamo in cima! Siamo in vetta! Vediamo Carlo! Vedo un panorama mozzafiato!

Pensieri confusi si amalgamano tra di loro: rido, piango, fotografo, sono felice, chiamo la mia famiglia…sono un turbine di emozioni positive ed è solo pura gioia!

È solo immensa soddisfazione!

Ci avviciniamo a Capanna Penia, parliamo con Carlo, mangiamo lo strudel più buono della nostra vita e giuriamo di rivederci presto!

Nonostante ciò, l’avventura non è ancora finita: dai grandi alpinisti ho appreso che la vetta è solo metà del percorso e che molti infortuni e tragedie sono successe proprio non in fase di ascesa ma in discesa. Con rispetto e con la tensione giusta, ci avviciniamo alla via Normale del ghiacciaio Marmolada, che noi percorreremo in discesa dopo un breve tratto di ferrata. Qui rimane solo una vera difficoltà: a causa del riscaldamento globale, il ghiacciaio si è ridotto di un metro e mezzo rispetto a Giugno 2020 per cui ora, per passare dalla ferrata alla Via Normale, è necessario calarsi in corda doppia per un tratto di 10 metri.

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Ecco, forse sono i dieci minuti peggiori dell’intera avventura: forse perché non sono preparata mentalmente o forse perché non me lo aspetto; fatto sta che qui la paura della prima calata in doppia salta fuori un pochino, anche se è solo questione di pochi minuti. Non appena tocco il ghiaccio, c’è solo da rimettere i ramponi e afferrare la piccozza: ora è tutta in discesa, nel vero senso della parola.

Sono la prima della cordata e devo seguire le tracce di chi è salito in precedenza: non è particolarmente difficile però la stanchezza comincia a farsi sentire. Ne abbiamo per poco più di un’ora ma la prospettiva del pranzo al Rifugio Pian dei Fiacconi è ormai reale e ci rallegra.

Finiamo di percorrere tutto il ghiacciaio, riponiamo tutta l’attrezzatura negli zaini e infine scendiamo le ultime centinaia di metri di dislivello: è finita!

Ce l’ho fatta, ho conquistato la Marmolada: il mio sogno si è finalmente realizzato!

I pensieri si rincorrono confusi e sono un turbinio di gioia, felicità, euforia, stanchezza, stordimento, fame e brividi.

Nel giro di breve ci ritroviamo al rifugio con una zuppa fumante di Gulash davanti: gli occhi che brillano e le fotografie che scorrono avanti e indietro.

Ancora oggi che scrivo questo articolo sento l’emozione vibrante nel descrivere l’esperienza ma, sono consapevole che è stato solo l’inizio di un’avventura più grande!

Nuovi sogni prendono forma e ora ho un elenco di vie e cime che voglio salire: i 4.000 m rimangono ancora un sogno ma non lo vedo più così lontano.

Sogno il Monviso, Punta Gnifetti, guardo il Cervino con occhi a cuore e forse, chi lo sa, prima o poi qualcosa si realizzerà davvero.

Solo una cosa è certa: l’importante è mantenere l’entusiasmo e la passione di adesso, curare la forma fisica e la mente perché solo da solide basi e radici forti, si possono scalare montagne e superare i propri limiti e paure.

Credici sempre e segui i tuoi sogni, chiunque tu sia!

Namastè