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Puerto Vallarta By Utmb | Il racconto

di - 08/03/2023

Dopo UTMB e TorX, Oliviero Alotto è andato in Messico per una gara di endurance trail tra le più dure al mondo: la Puerto Vallarta By Utmb. Scopriamo insieme la sua avventura! 

 

18, quel numero che sa di partenza…

Lo start della Puerto Vallarta By Utmb è previsto per le 18 da San Sebastian del Oueste, paese a 1.200 metri sul livello del mare. Viaggiamo in bus da Puerte Vallarta per raggiungere la partenza, lasciamo un clima molto caldo e decisamente umido. La strada che ci porta in montagna è molto bella, passa attraverso una fitta e verdissima “jungla”.

La cerimonia di apertura è molto emozionante, una sorta di rito laico con incensi e benedizione dei corridori, poi il classico conto alla rovescia e si parte.

 

Si parte subito in salita 

Dopo un chilometro attorno al paese si inizia subito a salire, affrontiamo una salita di 1.200 metri di dislivello in meno di 6 km che ci conduce al punto più alto di tutta la gara.

E’ il tramonto, una vista incredibile sulle montagne sottostanti tra il rosa del sole che sparisce e il buio che avanza, un tappeto di nuvole e la veduta su stupende vette.

Accendo la frontale e inizia la notte. Qui fa buio presto e albeggia tardi, la frontale ci terrà compagnia per tantissime ore. Procediamo per un po’ tra i boschi, per poi prendere le prime lunghe discese di strade sterrate in cui si corre bene e anche abbastanza veloce.

 

 

Acqua e cibo, fondamentali

Cerco di mangiare regolarmente i miei gel, e bevo molto. Sono decisamente concentrato sul giorno successivo, visto che sono previsti più di 30 gradi e un alto livello di umidità. E’ indispensabile arrivarci ben idratati: acqua e sali a ogni ristoro.

 

37k, ecco il ristoro

Giungo al ristoro del 37esimo km sul Lago. Poi ricominciano le salite nei boschi; anche qui la vegetazione è fittissima,  ma caratterizzata principalmente da conifere, per il poco che il buio mi permette di vedere. Tanti invece i rumori, sembra di essere continuamente immersi tra uccelli di ogni tipo che nella notte cantano e animano questa vegetazione. Superiamo qualche rarissimo paese dove incontriamo i ristori, mentre rifletto su come in qualsiasi gara lunga, in qualunque parte del mondo, il ristoro ti possa dare gioia.”

Ancora una discesa, che oserei definire eterna, di quasi 20 km, seguita da una breve ma molto impegnativa salita, ci porta alla base vita di metà gara nella città di Mascota. Qui le salite sono decisamente brevi per chi è abituato a frequentare le Alpi, con dislivelli minimi in confronto, ma risultano ripidissime, come pure le discese, che spesso sono assolutamente non corribili e ti portano via ore e ore. Quando si è da soli è molto difficile, perché non sai come stai conducendo la gara, e la tentazione di mollare tutto, senza credere in quello che stai facendo, è fortissima.

 

 

190 chilometri, durissimi

E’ forse questa la fatica più grande di questa cento miglia, che risulta alla fine essere 190 km. La difficoltà di trovarsi a impiegare tantissime ore in più del previsto, e di conseguenza sentirsi spesso non efficaci nella corsa. Bisogna impegnarsi molto di testa, e questo è decisamente difficile quando si è da soli, perché non sai come stai conducendo la gara, quindi la tentazione di mollare senza credere in quello che stai facendo è fortissima.

Invece andiamo avanti! Pochi minuti di pausa in base vita e si riparte. Ci attende subito una bella salita, dopo pochi km ci superano i partecipanti alla 100 km. Sì, perché in contemporanea con la nostra gara si sono svolte anche la 100 km, la 50 e la 20. Personalmente credo sia una formula molto corretta quella di organizzare prove di tante distanze, così da dare a tutti la possibilità di trovare la sfida più consona alle proprie capacità.

 

E siamo nuovamente in alto

Arrivati in cima, ancora un panorama stupendo che ci mostra all’orizzonte la foresta, che nelle ore successive andremo ad attraversare. Siamo a questo punto nella fase più calda della giornata e ci troviamo su una strada lunghissima senza alberi che ci riparano.

La strada è molto bella e sarebbe perfetta per correre e guadagnare un po’ di tempo, ma il caldo non lo permette, o meglio io preferisco alternare corsa a cammino  così da non patire troppo le temperature.

 

 

… un caldo infernale

Sono le ore più calde del giorno, supero i cento km fatti e si ricomincia a salire. Entriamo definitivamente nella giungla con la sua verdissima vegetazione. L’umidità è inferiore a quella che immaginavo, questo mi permette di procedere a ritmo lento ma costante. Ai ristori cerco di fare pause brevissime, c’è il primo fiume da guadare, ne approfitto per togliere scarpe e calze e abbassare un po’ la temperatura corporea. Al termine di una lunga salita il sole inizia a calare, è ormai sicuro che mi aspetta ancora buona parte della seconda notte.

 

E sopraggiunge la notte…

Quando accendo la frontale sto affrontando diverse discese lentissime, mi sembra di nuovo di non procedere mai. Le discese sono lente e portano via davvero molto tempo. Ci vuole tanta testa per concentrarsi a capire che in realtà la gara non sta andando male, e che quindi non ha senso far prevalere i pensieri negativi. Per fortuna sto correndo da molto tempo con Geneviève Yeakel, élite americana fortissima e molto simpatica, in testa alla gara femminile da tante ore.

 

 

Un occhio ai vegani…

Chiacchieriamo di continuo e il tempo passa molto più velocemente. Al ristoro per la prima volta trovo da mangiare qualcosa per me. Sono vegano, e in quelli precedenti ho scovato davvero poco di adatto e che servisse come carburante. Mi sono nutrito solo a gel, come sempre alternandoli ai sali, ma me ne sarebbero serviti il doppio vista la scarsità di carboidrati ai ristori. Qui mangio riso e tortilla (una sorta di piadina di mais appena fatta, ottima!). Ci raggiunge Cat Bradley, la riconosco subito e non mi pare vero di correre almeno un’ora con lei. 

Dopo un po’ decido di accelerare, sicuramente aver mangiato mi ha dato una certa energia; trovo diversi tratti corribili e riesco a tenere un buon ritmo per un po’ di ore. Questo fa sì che anche l’umore ne tragga giovamento.

Andare veloci dopo 160 km di gara ti fa acquisire sicurezza, e sappiamo bene quanto la testa faccia in queste prove. Definire il giusto passo, capire che si può fare di più, e farlo, è un passaggio delicato fondamentale, che fa la differenza. Qui il terreno è di nuovo a tratti su di una pista sterrata veloce e su sentieri lentissimi, impervi e tecnici… a dir poco eterni.

 

Il sonno giunge lieve…

Inizia a farsi sentire a tratti il sonno, mi trovo quasi sempre da solo, canto per tenermi sveglio, e quando supero qualcuno gli chiedo se ha dei gel da regalarmi perché li ho finiti. Come sempre, nei trail ci si aiuta volentieri e tutti mi donano qualcosa.

Ancora una lunghissima salita su una pista molto facile mi conduce al penultimo ristoro. I ristori nelle prove di ultra scandiscono il tempo, ti permettono di vedere la gara lunghissima come qualcosa di affrontabile. Pensare che mancano 10 km al punto successivo è molto più facile che pensare che ne mancano 190 alla fine.

Qui bevo, cerco di mangiare qualcosa, ma di nuovo trovo solo qualche barretta per me, che a questo punto poco serve: per performare ho bisogno di carboidrati a rilascio rapido, zuccheri insomma.

 

Sono stanco, voglio il traguardo

Mi annunciano 10 km di discesa tecnica, mentalmente non ne posso più, fisicamente sto ancora molto bene, sonno a parte, ma le gambe reagiscono anche alle salite più ripide. Unico problema i piedi fradici, nell’ultimo tratto ho attraversato almeno dieci torrenti, fantastici perché mi rinfrescavano e in ognuno potevo sciacquarmi anche la faccia. Adoro l’acqua fredda, mi permette di trovare sempre nuove energie. I piedi bagnati da ore, però, temo che inizieranno a dare fastidio. Comincio la discesa e, come previsto, li sento essere per nulla felici delle ore a mollo. Anche questi km nel bosco passano, lenti ma passano. Tante discese e un’eterna salita che conduce all’ultimo ristoro. Da qui ultimi 11 km di discesa. Tutta solo discesa. Tutta corribile, tutta tra asfalto e terra battuta. I piedi sono completamente cotti, ma ormai si va avanti per forza di inerzia.

 

 

El Malecon, una vibrazione e la conclusione di questa Puerto Vallarta

L’ultimo km è sul “malecon”, il lungo mare viene chiamato così in Sud America e, nonostante la notte, anche grazie alla festa locale de Los Muertos, tantissima gente festeggia il nostro arrivo. Finalmente vedo l’arco, mancano 500 metri, tantissima gente mi attende. Passo sotto il traguardo dopo 35h13’, soddisfatto. Avrei potuto fare molti meno errori, e probabilmente ci avrei messo meno tempo, ma la progressione finale mi ha permesso comunque di chiudere in una buona posizione.

Sempre stupendo passare le ore nella natura, il tempo è scandito così unicamente dal sole che cede il passo alla luna e alle stelle.

Di Oliviero Alotto  |  foto: archivio UTMB

Corro quanto basta, pedalo a giorni alterni, parlo troppo. Nelle pause mangio. Instancabile sostenitrice di quanto lo sport ti salvi. Sempre. Le mie giornate iniziano sempre così: un caffè al volo e il suono del GPS che segna l'inizio di un allenamento. Che corra, pedali o alzi della ghisa poco importa: l'importante è ritagliarmi un momento per me che mi faccia affrontare la giornata nel modo migliore.