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Reinhold Messner, intervista

di - 29/08/2022

Una delle ultime serate organizzate da DF Sport Specialist è stata la graditissima occasione per intervistare la più grande leggenda vivente dell’alpinismo: Reinhold Messner, invitato lì per presenziare alla proiezione del film “Fratelli si diventa”, in cui si parla del suo rapporto con Walter Bonatti.

 

Come è cambiato l’alpinismo dai tempi di Bonatti, ai suoi, ai tempi attuali?

Walter Bonatti prima di me e io, che alpinisticamente sono della generazione successiva, abbiamo avuto la fortuna, a livelli diversi, di poter viaggiare. 100 anni prima era impossibile raggiungere l’Himalaya o l’Alaska, a meno di essere davvero ricchi.

Anche per Bonatti sarebbe stato impossibile spostarsi in Himalaya con i propri mezzi, sul K2 venne invitato da Ardito Desio, in una spedizione finanziata parzialmente dallo stato. Solo successivamente fu in grado di organizzare una propria spedizione in Patagonia.

Bonatti fu un alpinista d’avanguardia di livello mondiale che nei 15 anni di attività firmò imprese straordinarie sulle montagne di tutto il mondo, aprendo numerose vie nuove. Io ho seguito un altro percorso, ero un giovane arrampicatore e mi dedicai esclusivamente alla roccia nella prima fase della mia carriera alpinistica. In primo luogo nelle Dolomiti, le mie montagne. Cominciai con il ripetere le vie più lunghe e difficili per poi aprirne di mie. Successivamente, dopo aver parzialmente perso le dita dei piedi e non potendo più raggiungere, su roccia, il livello prestazionale precedente, dal 1970 diventai alpinista d’alta quota. Feci quindi tutti gli 8.000 m, e le Seven Summit. Imprese tecnicamente più semplici ma che allora dovevano essere affrontate in autonomia e non come oggi su vie attrezzate dagli Sherpa, dove chi vi si reca non arrampica nemmeno per un metro, bensì cammina.

Nei 15 anni di attività io feci 60 spedizioni, già per la generazione precedente sarebbe stato impossibile, non ci si poteva recare in Nepal o Pakistan in aereo, bisognava andare in nave. Avvicinamenti che oggi richiedono 2 giorni ai miei tempi richiedevano 2 settimane di cammino. Il 90% degli alpinisti oggi va al campo base dell’Everest in elicottero, scalando la cima con il doppio dell’ossigeno aperto rispetto ad un tempo.

Il pubblico alla serata di DF Sport Specialist con ospite Reinhold Messner- Foto: Gianmario Besana

Dopo aver scalato i 14 ottomila e le Seven Summit ho capito che avrei solo potuto ripetermi, ma a 40 anni ero tropo giovane per sedermi sul divano con una birra in mano. Così diventai un avventuriero alla scoperta del mondo orizzontale, attraversando ad esempio l’Antartide a piedi. Parallelamente cominciai anche ad occuparmi delle popolazioni di montagna: gli Sherpa, gli Hunza.

Dopo 5 spedizioni mi ruppi il tallone e non mi fu possibile continuare questa attività di esplorazione. Avevo circa 50 anni, così cominciai a studiare anche le montagne sacre, per capire l’atteggiamento delle popolazioni locali nei riguardi delle montagne.

Nacque allora l’idea di fondare i miei musei della montagna, un progetto lungo più di 30 anni.

Ora sto creando un museo per gli Sherpa, un museo che donerò a loro e che consentirà ai trekker che passano di là di conoscere la storia dell’alpinismo e la cultura alpinistica, perché credo che l’alpinismo sia un fatto culturale e non un fatto sportivo.

L’alpinismo tradizionale, vissuto da Walter Bonatti sta scomparendo a mio avviso. Il 90% dei rocciatori moderni va in palestra, un’attività bellissima, ma è uno sport.

Il numero dei climber aumenta e alcuni di essi dalle palestre escono nelle falesie ma parliamo sempre di un’attività sportiva, non di alpinismo. L’ingresso dell’arrampicata fra le discipline olimpiche è la dimostrazione che stiamo parlando di uno sport.

Lo sport è misurabile, l’avventura non lo è, perché a parità di luogo cambiano le condizioni.

L’alpinismo è l’arte di sopravvivere in un mondo selvaggio e laddove c’è un’infrastruttura non può esistere l’alpinismo.

Il mondo dell’alpinismo è completamente cambiato e sono felice che oggi si cominci a parlare delle imprese degli Sherpa, grazie a ciò che ha fatto Nirmal Purjia sul K2. Nirmal ha dimostrato che gli Sherpa non sono solo dei lavoratori al servizio degli occidentali ma sono in grado di fare grandi conquiste e probabilmente, a breve, saranno loro a gestire le spedizioni commerciali locali.

Da sinistra: Luca Calvi, Reinhold Messner, Alessandro Filippini. Foto: Gianmario Besana

Ha accennato prima al tema delle montagne sacre. Sappiamo che ha avuto l’occasione di girare il mondo e conoscere popoli, culture, tradizioni. Rispetto alla sua formazione culturale e religiosa, la formazione avuta da bambino, in tutti questi anni è cambiata la sua spiritualità?

Si, è cambiato molto. Le religioni sono per me dei fatti umani. Le religioni sono state create come possibilità per controllare i popoli. Gli dei sono invenzioni, ma ciò non significa che non esista una dimensione al di sopra di tutto.

E’ solo che noi come esseri umani non abbiamo alcuna possibilità, istinto, empatia per conoscere quella dimensione divina. Nessuno di noi conosce quella dimensione e io accetto questo non sapere, non lascio però che sia una religione a suggerirmi il senso della vita.

Sono io ad aver dato un senso alla mia vita, alle mie imprese alpinistiche. L’alpinismo è la conquista dell’inutile ed è solo l’alpinista a dare un senso alla sua impresa.

Divido nettamente fra la necessità, l’utilità e il senso di fare una cosa o di vivere la vita.

Abbiamo il diritto di dare un senso alla vita, siamo solo noi a poterglielo dare.

Sergio Longoni e Reinhold Messner. Foto: Gianmario Besana

C’è una montagna o un’avventura che idealmente le sarebbe piaciuto condividere con Walter?

Le nostre vite avevano tratti in comune ma anche obiettivi diversi. Eravamo alpinisti e uomini di generazioni differenti ma non credo fosse il solo limite al condividere un’avventura.

 

Pensando un po’ a ciò che sta accadendo nel mondo in questi mesi, alle giustificazioni che vengono date da uomini di potere, da uomini politici alle loro azioni. Anche gli alpinisti possono barare o scendere a compromessi ma spesso e nel suo caso in particolare l’impresa alpinistica rispecchia il valore, la morale, e le capacità della persona che l’ha portarla a termine. Lei è stato Euro Parlamentare, quindi ha conosciuto di persona la politica e i politici, che idea si è fatto?

La politica e l’alpinismo sono attività umane, non posso dire che una sia più morale dell’altra, dipende solo da chi e come le pratica, e da chi le giudica.

Vedo la morale con occhio critico, spesso quando un uomo compie un’azione arrivano i moralisti e cercano di distruggerla. Spesso i moralisti non hanno il coraggio di agire e cercano l’errore nelle azioni altrui.

Come dicevo prima l’alpinismo è la conquista dell’inutile, dove siamo noi a dare un senso. La libertà è più ampia dell’utilità. Nell’alpinismo ci sono tantissimi stili e ognuno ha diritto di esprimere il suo e rifiutarne un altro. Io nella mia carriera mi sono dato delle “regole” ma non credo che altri siano obbligati ad adottare le stesse e a seguirle.

Foto: Gianmario Besana

Diplomato in Arti Grafiche, Laureato in Architettura con specializzazione in Design al Politecnico di Milano, un Master in Digital Marketing. Giornalista dal 2005 è direttore di 4Actionmedia dal 2015. Grande appassionato di sport e attività Outdoor, ha all'attivo alcune discese di sci ripido (50°) sul Monte Bianco e Monte Rosa, mezze maratone, alcune vie di alpinismo sulle alpi e surf in Indonesia.