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Sardegna outdoor, tra arrampicata, speleologia e canyoning

di - 20/08/2022

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Da 4outdoor magazine #3 il racconto di giorni selvatici nell’isola che (non) c’è: la Sardegna.

 

All’odore bisognerebbe dare più credito. Se non ci fosse la vista a mettergli i piedi in testa, deterrebbe senza dubbio il primato dei sensi. 

L’odore si sente subito, quando si sbarca in Sardegna. Aguzzo le narici cercando di distinguere di cosa si tratta, poi capisco che è un misto tra mare, granelli portati dal vento, mirto e terra. 

Da qualche mese ho voglia di mettere le mani sul granito, merce rara dalle nostre parti, e questa fuga isolana è l’occasione giusta per farlo. Il programma non è troppo definito, si sa che campeggeremo “wild” e che faremo un mix tra arrampicata, speleologia e canyoning, come si nota dalle nostre macchine stracariche di ogni tipo di attrezzatura. 

Gallura: il granito del Nord

La prima tappa è la Gallura, nell’estremo Nord della Sardegna: ci affrettiamo a spegnere i telefoni per non collegarci alla rete francese. Ieri sera in traghetto le previsioni annunciavano forte vento nella zona, però ce la rischiamo lo stesso, e il clima si rivela perfetto. 

Parcheggiamo a Capo Testa e ci ritroviamo immersi tra i blocchi di granito lavorati dall’acqua, dal vento e dall’umidità. Il risultato è un mare di forme, una più strana dell’altra. La roccia ha una grana molto grossa e dà l’idea di avere un grip eccezionale: adocchiamo subito un paio di fessure e ci prepariamo per salirle, armati di friend sempre troppo piccoli. 

Scoprirò dopo poco che queste vie erano proprio quelle che avevo segnato come “ da fare” sulla guida: ci avevo visto giusto. 

 

Ben presto il caldo si fa sentire, e ne approfittiamo per un tuffo. L’acqua è gelata: si sa, quella di Aprile è la più fredda dell’anno. La giornata arrampicatoria continua, ci perdiamo per scendere da una via, malediciamo i friend, gli incastri e le scarpette, ma ne vale la pena. 

Al tramonto ci sediamo su un masso a guardare il sole scomparire; il nostro primo giorno in Sardegna finisce proprio come dovrebbe. Con un po’ di pelle lasciata in parete e un aperitivo fatto in casa vista mare. 

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©Andrea Massagli

La mattina seguente la sveglia suona non troppo presto, neanche il tempo di smontare il campo e abbiamo il naso all’insù, guardando le pareti della Valle della Luna. Seguiamo con la testa le lunghissime fessure, che incutono un po’ di ansia, soprattutto sapendo che non c’è nemmeno uno spit sui 3 tiri della via scelta. 

La Valle della Luna è casa per una delle comunità hippy più grandi d’Europa. Ci avviciniamo alle pareti tra grotte allestite come capanne, angoli con cartelli dipinti e sentieri tenuti perfettamente. Mi godo il panorama “lunare” mentre sono incastrata con il fiato sospeso in una fessura larga quanto la mia coscia (nei punti più stretti).

 

Io e Lu commettiamo l’errore di salire con due zaini: la seconda deve trascinarseli tutti e due su per i camini, rimpiangendo ogni ml di acqua portato. 

Alla fine tra fessure, soste su friend, pantaloni e pelle consumati arriviamo in cima, e ci godiamo la vista sul mare e sulla Corsica. Le sorprese non sono finite qui: facciamo due doppie per scendere dalla via, e quando già abbiamo i piedi per terra la corda si incastra trenta metri sopra di noi, così tocca legarsi di nuovo e andarla a prendere. 

©Andrea Massagli

Tutta questa mancanza di ferro in parete stanca: al terzo giorno ci è venuta voglia di vedere qualche spit, inoltre il cielo non promette benissimo.  Ci spostiamo alla falesia di Monte Tuvu, qualche chilometro nell’entroterra. Inizia a piovere a fine giornata, e non smette per tutta quella successiva. C’è poco da fare, se non un giro in macchina sull’altopiano del Golgo e una gran mangiata di specialità di Sardegna. Il giorno di pioggia è lo spartiacque del viaggio: da adesso in poi cacciamo scarpette e friend nei meandri più inaccessibili delle macchine e tiriamo fuori tute da speleologia, mute e calzari. 

Il Supramonte, regno del calcare

Entriamo a Su Palu insieme agli amici dello Speleo Club Nuoro: senza di loro avremmo fatto ben poca strada. Poco dopo l’ingresso raggiungiamo il rinomato sifone: per vedere le bellezze di Su Palu è necessario immergersi con tutto il corpo in una strettoia piena d’acqua, da cui emerge solo la testa. Dura solo pochi metri, ma le espressioni che abbiamo sul viso in questo passaggio, catturate dal nostro fotografo, valgono più di mille parole. 

©Andrea Massagli

Procediamo poi nella grotta, adesso fuori dall’acqua, tra sale concrezionate e vaschette fossili. Ogni angolo ha qualcosa da mostrare per far parlare di sé, e c’è da stare attenti a dove si mettono i piedi e la testa per non rompere le stalattiti bianchissime che pendono dal soffitto. Scendiamo di nuovo al livello dell’acqua, e seguiamo il fiume (che in alcuni punti mi arriva alla vita) fino alle gallerie di Lilliput. 

 

Mi volto e vedo le lucine degli altri dietro di me, riuscendo a malapena ad avere un’idea delle dimensioni delle gallerie. Anche sparando le torce al massimo tutti insieme, le nostre lucine si perdono nel buio della grotta. 

E’ tutto grande, troppo grande, anche il lago azzurro che intercettiamo a un certo punto del cammino. Mi arrampico su una roccia nel centro, e vedere il mio riflesso combinato con le forme disegnate dalla luce nell’acqua nera fa un effetto strano. 

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©Andrea Massagli

Usciamo tardi, e ci rendiamo presto conto che nel programmare la vacanza ci siamo dimenticati di un fattore: la voglia di fare festa dei sardi. Non facciamo in tempo a mettere piede fuori dalla grotta che si sente già odore di brace, e allestiamo un gran banchetto a base di carne arrosto, formaggio, salame e vino. 

I sardi hanno un’ospitalità particolare: sono così legati alla loro terra da sentire quasi la necessità di condividere con noi le sue bellezze. Il “terzo tempo” continua fino a notte fonda, e la mattina dopo non riusciamo a parcheggiare prima di mezzogiorno. 

 

Andiamo quindi a dare un’occhiata a Codula Orbisi, un canyon in cui l’acqua si è impegnata parecchio per creare forme spettacolari nel calcare, la roccia che qui in Supramonte regna sovrana. 

La forra arriva a Sa Giuntura, il mitico punto dove vari fiumi confluiscono per incanalarsi verso il famoso canyon di Gorropu. Ma quando arriviamo a Pischina Urtaddala, tappa intermedia del canyon, è già tardi e decidiamo di tornare indietro. Rimango con l’amaro in bocca, ma adesso ho un motivo in più per tornare in questa valle del cuore. 

La valle di Lanaitto

E’ buio quando arriviamo in Valle di Lanaitto, e tenere gli occhi aperti alla guida è un’impresa: Giulia, accanto a me, ha detto qualche frase sconnessa e si è addormentata tre chilometri di sterrato fa. Le enormi pareti di calcare splendono sotto la luna, ma avrò modo di osservare meglio il cielo domani sera. Adesso mi precipito a montare la tenda e sprofondo nel sacco a pelo. 

Di buon’ora entriamo a Su Bentu insieme agli amici sardi, questa grotta è forse ancora più bella di Su Palu (e non ha l’inconveniente della doccia fredda). Stalattiti e stalagmiti bianche e colorate ovunque, rocce che brillano, concrezioni che sfidano la gravità e crescono in orizzontale, laghetti, rocce levigate tanto da essere unte. E poi gallerie, gallerie, ancora gallerie enormi e spettacolari. Queste grotte sono un po’ come il paese delle meraviglie: calde, di facile progressione, piene di bellezze.

 

Stavolta usciamo nel tardo pomeriggio e ci mettiamo subito a fare i preparativi per la cena. E’ la nostra ultima sera, e viene fuori una gran festa in pieno stile isolano. 

©Andrea Massagli

La Sardegna è un posto difficile da lasciare. Deve esserci qualcosa nell’aria, qualcosa che dà dipendenza e ti fa pensare che vorresti starci per sempre, su quest’isola. Che siano il granito, il mare, i culurgiones, il vento, le seadas?

Qui non c’è bisogno di tante cose per stare bene. Un po’ di amici, tende da montare nel primo angolino vista mare, voglia di incastrare i bagagli ed esplorare posti che non stanno su Google Maps. 

E voglia di respirare, spellarsi le mani sul granito, tuffarsi nell’acqua di aprile e ascoltare gli odori. 

 

Livornese di nascita ma montanara d’adozione, studia Geologia e sogna di fare la scrittrice. Adora raccontare storie e qualsiasi tipo di avventura, inoltre non sa stare ferma: è facile trovarla su qualche treno diretto verso le Alpi con uno zaino fuori misura da cui penzolano scarpette o piccozze (a seconda della stagione).