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Sui sentieri delle Piccole Dolomiti: la mia TDH

di - 01/08/2019

83 chilometri con 5000 metri di dislivello nelle Piccole Dolomiti. Una gara che nella sua prima parte si corre nel silenzio della notte, con i piedi illuminati dal fascio di luce della frontale. Un’organizzazione impeccabile. Un’esperienza unica. Parliamo della Trans d’Havet, la gara di ultra trail che si è svolta il 27 luglio nel vicentino.

Arrivo, anzi, arriviamo (Edoardo, Ombra ed io) a Valdagno nel pomeriggio di venerdì, dopo esserci rinfrescati e riposati a lungo al Pian del Fugazze, punto di metà gara dell’indomani. Fa caldo e il cielo romba promettendo il classico temporale serale che però incredibilmente scampiamo. Ritiriamo il pettorale e scopro con piacere che non ci viende data la classica busta con gadjet pieni di plastica che normalmente finiscono nel secchio, ma solamente una maglietta dello sponsor CMP. Perfetto, mi piace questo stile minimalista.

Cerco con accuratezza un posto per il furgone che spero l’indomani sia all’ombra, perchè Ombra, il mio cane, verrà salvato dai pisolini e babysitterato in mattinata da alcuni amici. Correre con il pensiero che lui non possa star bene è fuori discussione.

Trovato il posto e mangiata la classica pasta in bianco torniamo al palazzetto, ascoltiamo il briefieng che ci conferma che la seconda metà del percorso è stata cambiata per paura di temporali, e saliamo sui pullman che ci portano verso la partenza che sarà a Piovene Rocchette.

Sento molte persone che conoscono già questa gara lamentarsi per il cambiamento di percorso, perchè così non si salirà al Carega e non si correrà nel vero e proprio cuore delle Piccole Dolomiti. Io so solo che preferisco non prendere temporali.

Si parte

Piovene Rocchette, mezzanotte. Vedo parecchie facce amiche, accendo la frontale e partiamo nella notte. La mia prima notte di corsa. La salita verso il monte Summano è emozionante: i partecipanti sono in silenzio quasi a non voler disturbare il buio (avete presente quando a letto vi viene da parlare a bassa voce?) e in alcuni tratti il sentiero si apre mostrando la bellezza delle luci delle città in basso. La salita è lunga e la croce del Summano è enorme. Da qui parte una discesa un po’ tecnica, di quelle che se avanti hai qualcuno che corre con il freno a mano tirato, non passa mai.

La notte prosegue tra un ristoro e un altro, dove siamo sempre accolti da dei volontari super. Mi accorgo che sto partecipando a una gara molto sentita nella zona e dalla gente del luogo, tanto che sento più parlare in veneto che in italiano. Il mio accento romano diciamo che qui stona un pelo, ma per fortuna non parlo tanto quando corro.

L’alba, con le sue luci incredibili, arriva proprio quando stiamo concludendo la discesa dal Monte Alba e arriviamo al ristoro del Passo Xomo. Appena mi fermo sento che c’è qualcosa che non va, mi sento debole e mi sento svenire. Scopro più avanti che al passo si sono ritirati in molti.

Da qui, comincia il mio personale inferno, ma questa è un’altra storia.

La strada delle 52 gallerie del Pasubio è bellissima. Le gallerie sono veramente 52 e quando esci dal buio sei catapultato in questo anfiteatro di roccia che a quest’ora della mattina è sfumata di  rosa, arancione, rosso. Riesco a rendermi conto della bellezza del posto ma non ad apprezzarlo appieno. Mi riprometto di tornarci.

ph Nadia Pietrobelli

Arriviamo al Pian delle Fugazze e qui siamo a metà gara. Mancano solo 40 km. Risaliamo nel bosco verso la sella del Cornetto e da qui in discesa verso a Campogrosso. È da questo punto che il percorso cambia rispetto all’originale e prosegue in discesa verso Recoaro Terme. Fa caldo, veramente caldo e al ristoro di Recoaro vedo la navetta dei ritiri quasi come un miraggio nel deserto.

ph Nadia Pietrobelli

Da qui, inzia l’ultima ed infinita salita di 1200 m per 12 km. Arriviamo al ristoro avvolti dalle nubi e in lontananza si sente il rumore dei tuoni che stanno scendendo in quota. Penso che la scelta del cambio percorso sia stata presa a ragione.

Finalmente un po’ di discesa: la prima parte è un lungo traverso nel bosco e dall’ultimo ristoro invece si scende tra campi e strade bianche fino in paese.

Sul percorso è ancora pieno di volontari che nonostante siano lì da ore ed ore hanno ancora un enorme sorriso stampato in faccia e sempre qualche parola di conforto. All’ultimo ristoro mangiamo del melone esageratamente fresco e buono.

ph Alice Maddalena

Gli ultimi chilometri li corro tutti. Ormai è andata e si pensa solo all’arrivo. Ci sono Ale e Sara che dopo essersi occupati tutto il giorno di Ombra sono ancora qui ad aspettarci. C’è tanta macedonia, qualche parola detta al microfono che non riesco a capire, c’è Edoardo che è stato accanto a me tutte queste ore, e finalmente posso fermarmi.

Perchè la Trans d’Havet?

Ho scelto la Trans d’Havet come mia prima 50 miglia perchè mi era stata consigliata come una gara super, ed in effetti lo è.

A caldo la prima cosa mi viede da dire è che è dura, veramente dura. Bella, tecnica e dura. Forse non andrebbe fatta come gara per sdoganare la distanza, ma la tentazione era troppo grande e non ho saputo resistere.

Chissà, sarebbe bello un giorno tornarci con più esperienza e cosapevolezza per godersela tutta, potendo correre anche sul percorso originale.

Complimenti all’organizzazione impeccabile e ai volontari più simpatici di sempre. E a tutti quelli che l’hanno corsa.

P.S. Quest’anno la gara era  valida come Campionato Italiano di Trail e i nuovi campioni di trail lungo sono Giovanni Tacchini e Francesca Pretto, bravi voi!

Grazie a Masters e ai suoi bastoni Tre Cime Carbon che mi hanno permesso di alleggerire le gambe su questi 5000 metri di dislivello!

Eva è nata e cresciuta a Roma, dove ha studiato giurisprudenza per capire che è una persona migliore quando non indossa un tailleur. Ha lasciato la grande città per lasciare che il vento le scompigliasse i capelli sulle montagne delle Alpi e presto ha scoperto che la sua passione per l’outdoor e scrivere di questa, poteva diventare un lavoro. Caporedattrice di 4outdoor, collabora con diverse realtà del settore outdoor. Quando ha finito di lavorare, apre la porta della baita in cui vive per sciare, correre, scalare o per andare a fare altre gratificanti attività come tirare il bastone al suo cane, andare a funghi o entrambe le cose insieme.