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Valanghe, non si è mai troppo preparati!

di - 14/01/2021

valanghe mammut

Valanghe, non si è mai troppo preparati! Question & Answers Maurizio Lutzenberger ITW

Dal #5 di 4outdoor Magazine l’intervista di Marco Melloni a Maurizio Lutzenberger – promoter Mammut.

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In qualità di guida alpina esperta e soccorritore, ti trovi di fronte a situazioni critiche. Puoi raccontarci le tue esperienze?

Le valanghe, fortunatamente, sono un evento abbastanza raro. Per questo direi che è difficile parlare di esperienza, sia come guida che come soccorritore.

Da guida, specialmente quando mi trovo a far traccia, sono alla continua ricerca di indizi che possano farmi luce sulla situazione della neve. Cerco di interpretare al meglio la morfologia del terreno, provo a interpretare i processi che hanno trasformato il manto nevoso. Insomma è un continuo soppesare percezioni. Positive o negative che siano.

Anche se non capirò mai con precisione quanto lontano mi sono mosso dalla tragedia, provo sempre soddisfazione nel trovare soluzioni accettabili per la gioia e la sicurezza dei miei clienti. Anche se sono costretto a ripiegare su un altro itinerario o addirittura a rinunciare. Io credo che una buona guida non debba essere un esperto di valanga, bensì essere un esperto dell’incertezza.

Ricordo come diversi anni fa, durante una gita ebbi percezioni che rispecchiavano perfettamente le mie conoscenze di allora. La neve era morbida ma coesa, vicino alla traccia si formavano fessure profonde, qualche piccolo lastrone innescato a distanza, la luce diffusa, la consapevolezza di essere solo. Sentivo che era l’occasione per cercare di imparare di più. In alto la situazione sembrava migliorare, il pendio mi sembrava meno ripido e anche la visibilità sembrava buona.

Mi fermai su un dosso, decisi di rinunciare, non so bene perché, non avevo paura. Tolsi le pelli e cominciai la discesa in prossimità della traccia di salita.

Dopo alcune curve, persi improvvisamente il controllo degli sci piantando, come si dice in gergo, una “mina” clamorosa. Rialzandomi capii presto che, in assoluto silenzio, tutto il versante era collassato riempiendo la valle sotto di me. Il dosso su cui mi trovavo mi ha salvato, mi ha regalato una seconda chance.

L’illusione di riuscire a percepire il pericolo andandogli vicino era di colpo svanita. Quel giorno ho capito… di non aver capito niente. Fortunatamente senza pagare alcun prezzo.

Non si può imparare direttamente dalle valanghe perché prima o poi ti uccidono. Bisogna riuscire a conoscerle standone lontano. Davvero una bella sfida. A questo proposito, successivamente ho cercato di mettere in atto la citazione di Alfred Sheinwold :

“Impara dagli errori degli altri perché non vivrai abbastanza a lungo per commetterli tutti”

Il rapporto con l’incidente di valanga per un soccorritore è quasi sempre frustrante. Non esiste infatti nessun intervento così tempo-dipendente come quello su valanga. Una lotta contro il tempo dove la macchina dei soccorsi si muove quasi sempre da perdente. Devo ammettere che non ne parlo volentieri. I miei ricordi più vivi sono sempre legati a quei momenti in cui scavando, si comincia a intravedere il corpo, all’insistente speranza che tutto quello che hai imparato fino a quel momento, non sia vero, che il sepolto abbia potuto sopravvivere, che la “dea bendata”  sia riuscita a baciarlo all’ultimo momento.

Anche se i telefoni cellulari e gli elicotteri hanno velocizzato molto i tempi di risposta del soccorso organizzato, chi è completamente sepolto sopravvive solo se i compagni riescono ad intervenire in modo rapido e coordinato.

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Il tempo significa vita quando si cercano i sepolti. Cosa significa esattamente?

La neve oltre a ostruire le vie respiratorie esercita sul torace una pressione enorme impedendone la dilatazione. Si viene definitivamente immobilizzati, non è più possibile nessun aggiustamento. Non ci si può mettere comodi. Dagli studi di Hermman Brugger  sappiamo che tra i travolti completamente sepolti, dopo circa 15 minuti 9 su 10 sono ancora in vita. Allo scadere di questo tempo l’asfissia porta alla morte 1 persona ogni 5’. Solo chi ha le vie respiratorie libere e dispone di spazio sufficiente a dilatare il torace ha la speranza di sopravvivere oltre i 40’. Alla luce di queste realtà si evince facilmente che la procedura di ricerca e disseppellimento deve essere messa in atto immediatamente e solo chi è ben preparato e coordinato ha speranze di riuscire a salvare i propri compagni.

 

La preparazione per la stagione dello sci alpinismo inizia già prima della prima nevicata. Come ci si può preparare?

Prepararsi alla ricerca con apparecchi A.R.T.Va. senza la neve sembra davvero difficile. Tuttavia esistono stratagemmi utili e anche divertenti. Basta prendere un prato bello grande, ben delimitato e lontano dai centri abitati, distribuire 2-3 apparecchi chiusi in una custodia (non si devono vedere le spie luminose) e farli cercare dai vostri compagni, di notte! Se il campo è davvero grande la fase di ricerca del primo segnale dovrà essere ben organizzata e, sebbene gli apparecchi moderni risolvano agevolmente la ricerca multipla, non sarà sempre facile coordinare i ricercatori nel modo più efficiente possibile. Si avrà a volte l’impressioni di essere più veloci da soli. In questo gioco non è possibile esercitarsi nella fase di ricerca fine che deve essere eseguita con gli apparecchi sepolti a profondità sufficiente.

Quando arriva poi la prima neve, anche se non è ancora molta, la si potrà accumulare.

Dopo aver posto un apparecchio in uno zaino abbastanza grande o un borsone lo si può ricoprire con la neve. In 15’ di spalatura si accumula una quantità sufficiente di neve da avere 1m di copertura sullo zaino e un diametro dell’accumulo di 4-5m. Dopo 1 oretta la neve si sarà anche compattata. Qui ci si può esercitare nella ricerca fine che si conclude con il sondaggio ortogonale alla superficie. In seguito, quando la neve sarà più abbondante si potrà completare la procedura aggiungendo anche la fase di scavo che viene spesso trascurata sebbene occupi normalmente la porzione maggiore del tempo a disposizione.

Valanghe mammut

Perché allenarsi alla ricerca in valanga in modo regolare è così importante?

Il cosiddetto autosoccorso in valanga è una procedura standardizzata da seguire senza indugio in modo lineare. Una procedura senza bivi condizionali che non tollera variazioni per così dire “in corso d’opera” e tantomeno improvvisazioni. Un musicista che non tocca il suo strumento per un anno sa bene che non sarà pronto per un gran concerto dove non può permettersi di sbagliare.

Purtroppo in questo caso manca la motivazione… se ti comperi un paio di sci nuovi non vedi l’ora di provarli, se ti comperi un apparecchi A.R.T.Va. nuovo speri di non doverlo usare mai!

 

È davvero possibile allenarsi per una situazione eccezionale come il seppellimento sotto una valanga?

Tecnicamente si! Se si raggiunge la consapevolezza che l’incidente di valanga può capitare a chiunque e che nel giro di pochi attimi la situazione può diventare drammatica, allora la motivazione cresce, e può diventare anche passione. Nei corsi di formazione delle Guide Alpine o nei corsi Eurosecuritè per i maestri di sci, vedo in pochi giorni, giovani riuscire a mettere in atto la procedura in modo impeccabile. Dal punto di vista psicologico la situazione di stress che propone l’incidente di valanga richiede delle risposte soggettive che non tutti sono in grado di dare. Eseguire le procedure corrette sotto grave stress è un compito che si risolve solo con l’allenamento, con quella sicurezza interiore che si acquista solo con l’esercizio continuo.

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Quanto è importante l’attrezzatura giusta e quali fattori giocano un ruolo decisivo per un esito positivo?

Se vuoi vincere una gara dove la posta in gioco è altissima, dove si può perdere molto, non devi essere ben preparato, di più, devi essere al top! E al top dovrà essere anche la tua attrezzatura. Una pala metallica robusta, con un manico di sezione ovale,

allungabile. Una sonda lunga, leggera, facile da montare, sufficientemente rigida. Un apparecchio A.R.T.Va. deve essere affidabile ed essenziale. Al giorno d’oggi l’apparecchio di ricerca deve disporre assolutamente di tre antenne ed essere in grado di separare i segnali in modo affidabile consentendo la soluzione di seppellimenti multipli complessi. Un ampia portata di ricezione consente inoltre di velocizzare la fase di ricerca del primo segnale specialmente su grandi accumuli e quando i soccorritori sono pochi.

L’apparecchio con cui si raggiungono i risultati migliori sarà comunque sempre quello che si conosce al meglio.

Si, purtroppo l’anello debole della catena dei soccorsi siamo ancora noi.

 

Quali lezioni personali hai imparato in tutti i tuoi anni di lavoro di soccorso alpino?

Fortunatamente diversi incidenti di valanga vengono risolti velocemente dai compagni, senza conseguenze e senza l’intervento del soccorso organizzato. Dove interviene il soccorso, si osserva che in genere emergono due problemi fondamentali: la reazione allo stress (più precisamente distress) e/o la mancanza di una leadership. Ho conosciuto alpinisti di altissima caratura messi in ginocchio da uno stato di agitazione tale da non permettergli di coordinare correttamente la procedura o da essere addirittura paralizzati. Si sa che le reazioni a queste situazioni si manifestano secondo le famose 3 “F” : Fly (fuga), Freeze (Immobilità) o Fight (lotta). Solo chi riesce a lottare ha la possibilità di riparare all’ultimo momento agli errori fatali commessi. Inoltre, osservando come si sono organizzati i gruppi coinvolti in un incidente, ho capito che ciò che veramente non ha funzionato nell’autosoccorso non sono stati gli apparecchi A.R.T.Va., le sonde o le pale. É venuto semplicemente a mancare un leader autorevole in grado di istruire, coordinare e motivare i componenti del gruppo. Senza un Leader diventa difficile capire quanti sono i sepolti, mettere gli apparecchi in ricerca, cercare, scavare, fare Triage…

Dobbiamo smettere di pensare che le valanghe travolgano sempre e solo gli altri. Esse richiedono conoscenze, rispetto, e anche una certa dose di fortuna.

Spesso, dopo un incidente, anche se è avvenuto fuori della mia zona, raccolgo informazioni e vado a dare un’occhiata sul posto per cercare di capire quali percezioni potevano aver avuto le persone coinvolte, per capire lo scenario che hanno vissuto prima e dopo l’incidente. Ogni volta mi chiedo in silenzio “Saresti caduto anche tu in questa trappola?”. Qualche volta mi rispondo “mi sa di si!”… ”forse sono solo più fortunato”

BIO: http://www.mauriziolutzenberger.com/ita/maurizio/