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Bhutan con BHS Travel e Dino Bonelli

di - 03/08/2025

Bhutan - Dino Bonelli
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“Ogni passo mi ha allontanato dal rumore del mondo e mi ha riportato a chi sono davvero, in questo viaggio con BHS Travel il silenzio ha avuto più voce di mille parole e ho ritrovato nella corsa il valore della preghiera, dialogo intimo tra il mio respiro e l’invisibile. I monaci mi hanno insegnato che non serve cercare fuori ciò che si trova già dentro. Questo è ciò che ho imparato.”

Testo e foto: Dino Bonelli

Il Foto-racconto di Dino Bonelli

“Fin dallo sbarco nell’aeroporto di Paro, seconda cittadina del paese, a 40 km dalla capitale Thimphu, si capisce che il Bhutan non è uno stato come gli altri. Perfino la sala d’attesa bagagli non è banale, ma curata e dedicata alle bellezze iconiche nazionali. La spiritualità di questa “Svizzera d’Asia”, appellativo molto occidentale e alquanto rilevante, o “Druk Yul” Terra del drago tonante, come amano chiamarla i suoi abitanti, è percepibile fin da subito.”

Bhutan - Dino Bonelli BHS Travel

Studiato su misura da BHS Travel

Il nostro è un giro turistico itinerante, un tour studiato su misura da BHS Travel, a cui abbiamo chiesto di saltare qualche monastero e/o tempio minore, al fine di recuperare preziosi minuti da spendere per qualche corsa diurna o arrivare in albergo con quelle due ore d’anticipo che ci permettano, là dove possibile, di uscire nuovamente a correre. Il nostro mini gruppo di cinque persone, infatti, è composto tutto da runner e si esce a correre quasi tutte le sere, anche se il meteo non è molto clemente e, ogni volta che si indossano le scarpette da trail running, piove. Nelle due sessioni di corsa in pieno giorno, invece, un paio di schiarite accompagnano le nostre brevi ma salutari sgambate.

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Cercando di capire il Bhutan che scorre al di là dei finestrini del pulmino su cui viaggiamo, ci accorgiamo fin da subito di alcune interessanti peculiarità. Intanto, nonostante si viaggi costantemente tra i 2.000 e i 3.500 metri di quota, siamo sempre immersi nel verde intenso, quello alto, ramificato della selva, infatti nella costituzione della Terra del Drago Tonante c’è scritto che almeno il 60% del Paese deve essere boschivo.

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Poi, guardando le differenti case disseminate su tutto il territorio, indipendentemente dalla grandezza e dal colore di base, scopriamo che le loro caratteristiche comuni, ovvero le finestre in legno e a piccoli archi, le travi sporgenti e altre parti a vista in legno intarsiato e/o finemente decorato a mano, seguono una serie di linee guida ordinate dall’ente preposto. Queste costruzioni, prese sia singolarmente sia nel loro insieme, sono assolutamente contestualizzate all’ambiente e particolarmente gradevoli.

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Lo sguardo, perso tra le lunghe e profonde vallate e le alte montagne, che a nord toccano i settemila metri creando un’invalicabile barriera naturale con la Cina, scruta leggero un mondo quasi d’altri tempi. La sera, a cena, mangiando un’eccezionale varietà di verdure dai sapori sopraffini, scopriamo un’altra peculiarità non da poco: in Bhutan l’agricoltura, terza risorsa del Paese dopo l’esportazione di energia idroelettrica alla vicina India, e il turismo, deliberatamente caro e contingentato, è totalmente biologica. Il palato se ne accorge e se la gode.

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Il Wangdue Dzong

Tra le diverse visite che facciamo, il Wangdue Dzong, dove la parola “dzong” vuol dire fortezza, è uno dei primi a toglierci il fiato per la sua maestosità. Nonostante un cielo plumbeo che non lo fa risplendere come dovrebbe, da fuori si mostra subito possente, integro, bello e piacevolmente in armonia con i colori naturali della primavera che lo circonda.

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Da dentro, invece, la sua potenza visiva si rivela nei tanti cortili su cui si affacciano vecchie e alte palazzine ben conservate, dove le rifiniture in legno, ovviamente anche qui egregiamente intagliate e decorate, la fanno da padrone.

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Ogni fortino ha la sua storia, i suoi portoni, le sue sale e il suo tempio, sempre dedicato a una delle differenti interpretazioni del Buddha, e il Wangdue Dzong non fa eccezione. Il Bhutan è anche noto come “la patria del buddismo” e nel nostro viaggio on the road ne abbiamo continua conferma. Oltre ai templi e ai monasteri, “vihara”, infatti, incrociamo e talvolta visitiamo anche tanti differenti “stupa”, monumenti consacrati a conservare reliquie sacre o a ricordare eventi memorabili della vita terrena del Buddha.

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In un’occasione suggerita da rari raggi di sole che bucano il solito spesso strato di nuvole grigie, fermato il pulmino sul piazzale antistante a un grosso stupa, ci cambiamo rapidamente e ci muoviamo, inizialmente a passo contratto poi, man mano che la gamba si scalda, allungando la falcata, in una corsa salutare.

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Le strade sterrate e i sentieri che percorriamo sono spesso sovrastati da tanti lunghi fili di bandierine variopinte, le preghiere tibetane. Altre volte le preghiere, espresse in mantra scritti sulle stoffe colorate dei drappi, sono issate su alti pennoni. I bhutanesi credono che il vento, passando in mezzo ai vessilli, si carichi delle loro preghiere e le porti con sé benedicendo le persone e le cose con cui viene in contatto nel suo cammino. Mentre corriamo su un single track decisamente stretto e in contropendenza, ci infiliamo in una serie di queste bandierine svolazzanti talmente fitta e bassa da sembrare volerci stringere in un abbraccio, più fisico che spirituale.

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Con quel minimo di destrezza acquisita in anni e anni di trail running, ci svincoliamo dalla presunta stretta, e con un allungo finale da cuore in gola – stiamo correndo ai 3.000 metri di quota – torniamo al monumento da dove eravamo partiti. Lì, alcuni giovani monaci, vedendoci arrivare di corsa, in un inglese sommario ci chiedono cosa stiamo facendo, un gesto, il nostro correre, totalmente incomprensibile ai loro occhi.

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Il regno del Bhutan con BHS Travel

Il regno del Bhutan, dove peraltro l’amato Re, approvando o respingendo le proposte di legge del parlamento, è ancora parte attiva della politica nazionale, è custode, come pochi altri Paesi al mondo, di una propria cultura millenaria.

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I tanti templi, gli stupa, le statue dei Buddha, di cui la più grande, di ben 54 metri d’altezza, è in bella vista sulle colline intorno a Thimphu, piuttosto che le onnipresenti preghiere svolazzanti, sono un segno caratteristico di questa cultura fortemente basata sulla dottrina buddista.

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Ma alcune sculture e alcuni dipinti, molto particolari agli occhi di noi occidentali, sembrano voler mescolare sacro e profano. Sulle pareti di molte case, infatti, soprattutto nella zona di Punakha, nella regione centrale del Paese, appaiono, ben raffigurati e con fantasiosi ritocchi artistici, dei peni.

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Sì, proprio gli organi di riproduzione maschile, che secondo i butanesi allontanano gli spiriti maligni e nel contempo favoriscono la fertilità. Oltre a esser grossi e in bella vista sui muri, questi falli possono essere intagliati nel legno ed esposti su porte e finestre, o raffigurati manualmente su diverse tipologie di cartelli. Per approfittare dello stupore degli stranieri, i negozi di artigianato locale hanno fatto di questi membri uno dei loro punti forti di vendita e se ne trovano, ben esposti, di diversi tipi, forme, materiali e dimensioni. Peni per tutti i gusti insomma, ma non per essere volgari, solo e sempre al servizio del bene e della spiritualità.

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Ma la Terra del Drago Tonante ha un’altra realtà unica al mondo: il Ministero della Felicità. Un apparato che si occupa di promuovere il benessere della popolazione e misurare la sua felicità attraverso la Felicità Interna Lorda (FIL). Questo ministero si concentra su aspetti come pubblica istruzione, sanità, lavoro e tutela dell’ambiente, con l’obiettivo di creare un equilibrio tra i bisogni del corpo e quelli della mente. Creato nel 2011, perché prima alla felicità dei sudditi ci pensava il Re, questo dipartimento ha spinto l’ONU ad attuare la risoluzione 65/309 con cui si invitano i governi a “dare più importanza alla felicità e al benessere nel determinare come raggiungere e misurare lo sviluppo sociale ed economico”. Good job Bhutan!

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Tiger’s Nest, il nido della tigre

Il nostro viaggio con BHS Travel prosegue in uno dei monasteri più fotografati e celebri del Bhutan è il Tiger’s Nest, il nido della tigre, anche conosciuto come Monastero di Taktsang, nei pressi di Paro.

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Iniziato a costruire nel 1692 attorno alla caverna di Taktsang Senge Samdup, dove il Guru Padmasambhava, colui che introdusse il buddismo nel Bhutan, aveva meditato per parecchi mesi, è l’icona culturale del Paese.

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Aggrappato nel bel mezzo di una falesia grigia strapiombante, questo vihara, con annessi nove templi di cui otto aperti al pubblico, è raggiungibile solo a piedi e solo tramite un sentiero, a tratti molto ripido, che in qualcosa più di 3 km prende oltre 500 metri di quota. I pellegrini e il turista tradizionale, anche a causa dell’aria rarefatta, impiegano all’incirca due ore per raggiungere le due terrazze panoramiche, poste a quota 3.120 m, da cui si ammira l’intero monastero in tutto il suo splendore.

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Roby e Alessio, due dei miei compagni di viaggio, e il sottoscritto, rispolverando il nostro buon passo montanaro, ci impieghiamo meno di un’ora. Marco, alleggerito dalla rasatura totale dei capelli fatta fare da un monaco il giorno prima, e Paolo, gli altri due che compongono il gruppetto di runner italiani in tour nelle Terre del Drago Tonante, correndo, ci arrivano in 42 minuti il primo e poco di più il secondo.

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Dalla terrazza, dove ci si riunisce, si scendono ancora parecchi scalini e se ne risalgono altrettanti per arrivare all’unico ingresso, dove un poliziotto perquisisce tutti per scongiurare che entrino telefonini o macchine fotografiche. Giustamente, certe zone sono per gli occhi e per lo spirito, non per i social. Obiettivamente questo monastero è splendido più dall’esterno che nelle sue, pertanto pregiate e super decorate, opere interne. Perché da fuori, sonnolente e sbilenco ma incredibilmente integro, aggrappato alle rocce e testimone attivo di un’edilizia improbabile, abbarbicato nel nulla ma capace di resistente alle intemperie e al tempo, è semplicemente affascinante e solenne, seppur nella sua ricercata, si spera, umiltà.

Le parole di BHS Travel

BHS TRAVEL ADVISOR nasce a fine 2017 dalla grande passione per i viaggi di Ludovico, ereditata da 2 generazioni di esploratori e tour leader. Intrecciando la nostra passione per l’inesplorato e l’avventura con una maniacale ricerca e selezione di itinerari, strutture ed esperienze fuori dall’ordinario, abbiamo dato vita ad un nuovo modo di viaggiare. Al nostro fianco cerchiamo di portare persone che amano l’avventura, e credono in un viaggio più grande degli altri: portare lontano la grande squadra di viaggiatori BHS. Selezioniamo con cura i nostri collaboratori e coordinatori, valutando l’esperienza, la professionalità, e, soprattutto, l’entusiasmo di indossare la nostra maglia”.

Daniele Milano: spirito di montagna, anima sportiva. Nato in Valle d’Aosta circa cinquant’anni fa, Daniele cresce immerso nella natura e nello sport. Prima lo sci alpino, poi l’atletica leggera: il movimento è da sempre il suo linguaggio. Negli anni ’90, la svolta. Lo snowboard lo conquista completamente — non solo come rider, ma come narratore del mondo snow. Coordina Snowboarder Magazine, collabora con testate specializzate e guida la direzione di Onboard Magazine. Dal 2003 è anche una presenza fissa nell’evoluzione dell’Indianprk snowpark di Breuil-Cervinia. Tra penna, neve e sentieri. Maestro di snowboard e telemark, dal 2015 è il cuore editoriale di 4running magazine, dove racconta il trail, l’anima del running, il gesto sportivo come espressione di equilibrio. Correre è il suo modo di essere. Dai campi di atletica vicino casa ai boschi della Valle, per poi trasferirsi a Milano. Oggi vive tra città e montagna, ma è sempre fedele al suo credo: “La corsa è il mio benessere interiore per stare meglio con gli altri.”