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Red Bull Rampage 2025: adrenalina, gloria e ferite. Il prezzo del freeride

di - 24/10/2025

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L’edizione 2025 della Red Bull Rampage sarà ricordata non solo per la vittoria storica del rookie Hayden Zablotny, ma anche per il numero impressionante di infortuni che ha colpito atleti e atlete, sia durante le prove che in gara. Un bilancio che apre riflessioni profonde sul confine tra spettacolo e sicurezza.

Durante le prove, ben otto rider hanno subito infortuni gravi, costringendoli al ritiro. Tra questi, cinque donne su dodici partecipanti alla seconda edizione ufficiale femminile:

  • Casey Brown: frattura della piatto tibiale (ginocchio) per la canadese dopo una caduta sul drop “Princess Killer”.
  • Vaea Verbeeck: frattura della clavicola, due costole rotte e pneumotorace dopo un impatto violento su un drop tecnico per la canadese.
  • Chelsea Kimball: commozione cerebrale su uno step-down nella zona alta del percorso per la statunitense.
  • Harriet Burbidge-Smith: l’australiana ha subito un trauma alla spalla durante le prove.
  • CJ Selig: infortunio non specificato su una hip per l’americana, già dolorante da una contusione al tallone.

Queste assenze hanno ridotto il campo gara femminile a sole sette rider, con Robin Goomes che ha conquistato il suo secondo titolo consecutivo.

Nel settore maschile, tre infortuni hanno segnato la competizione:

  • Aiden Parish: frattura del femore per lo statunitense durante le prove su un drop da 20 metri.
  • Adolf Silva: lo spagnolo ha vissuto una caduta devastante su un doppio backflip, con grave trauma alla schiena e perdita di coscienza.
  • Emil Johansson: dislocazione dell’anca per lo svedese dopo una caduta fuori traiettoria, fermandosi a pochi centimetri da un dirupo

La Rampage 2025 ha mostrato il volto più crudo del freeride: talento, coraggio e rischio estremo. Se da un lato la competizione continua ad affascinare per la sua spettacolarità, dall’altro emerge la necessità di un dibattito serio sulla sicurezza e sull’evoluzione del format.

– Leggi anche: Il rookie Hayden Zablotny conquista la Red Bull Rampage 2025

La vera progressione è saper dire ‘oggi no’

Alla luce di quanto emerso dalla Red Bull Rampage 2025 e dalle riflessioni condivise da rider professionisti e appassionati, è evidente che il mondo del mountain biking sta attraversando una fase di profonda consapevolezza.

L’adrenalina, la spinta alla progressione e il desiderio di superare i propri limiti sono da sempre parte integrante della cultura MTB, ma oggi si affaccia con forza una nuova domanda: quanto vale davvero il rischio? Anche le cosiddette “piccole” lesioni possono lasciare strascichi duraturi, influenzando non solo la performance, ma la qualità della vita stessa.

E se ex atlete come Miranda Miller – campionessa del mondo DH nel 2017 – iniziano a parlare apertamente delle conseguenze fisiche e psicologiche degli infortuni, è segno che il dialogo sta cambiando.

Con scelte come quelle di Loic Bruni, leggenda della discesa, al round finale di Coppa 2025 a Mont-Sainte Anne, che ha fatto molto discutere. Caduto al mattino durante le prove, a rinunciato alla run finale, quando era alla partenza.

Non si tratta di rinunciare alla sfida, ma di ridefinirla. Di riconoscere che il valore di una corsa non si misura solo in trick e drop, ma anche nella possibilità di tornare in sella il giorno dopo. Di capire che la vera forza non è ignorare il dolore, ma saperlo ascoltare. E che il coraggio non è solo “mandare tutto”, ma anche saper dire “oggi no”.

Il mountain biking è uno sport meravigliosamente sfaccettato: può essere esplorazione, resistenza, tecnica, gioco. Può essere un modo per connettersi con la natura, con gli altri, con sé stessi. E forse, proprio in questa varietà, sta la chiave per renderlo più sostenibile, più inclusivo, più umano. Perché vivere la bici non significa solo spingersi oltre, ma anche sapere quando rallentare. E in un mondo che corre sempre più veloce, questa potrebbe essere la vera rivoluzione.

– Leggia anche: Red Bull Rampage 2024, quinta vittoria per Brandon Semenuk

Oltre il punteggio: quando la giuria dimentica il rischio umano

Un tassello importante nel racconto della Rampage recente è senza dubbio la run di Brendan Fairclough nel 2024. Il rider britannico ha firmato una delle linee più creative e tecniche viste quell’anno: un percorso fluido, spettacolare e ricco di stile, culminato con il celebre backflip sopra un canyon che ha fatto esplodere il pubblico. La sua interpretazione della montagna è stata letta da molti come un ritorno all’essenza del freeride, più legata alla creatività e alla scelta della linea che alla pura spettacolarità dei trick.

Eppure, nonostante l’impatto visivo e l’originalità, Fairclough si è visto assegnare soltanto l’11° posto, il peggior risultato della sua carriera alla Rampage. Una decisione che ha sollevato polemiche e acceso il dibattito sul sistema di giudizio: da un lato la giuria che continua a premiare quasi esclusivamente la difficoltà tecnica e il rischio “oggettivo” dei trick, dall’altro una community che ha percepito la sua run come una delle più autentiche e memorabili dell’edizione.

Il punto è proprio questo: l’attuale metro di valutazione sembra ignorare il rischio reale che gli atleti affrontano, concentrandosi troppo sulla spettacolarità del gesto e troppo poco sul coraggio e sulla visione che stanno dietro a una linea. La Rampage, così, rischia di trasformarsi in una gara dove conta solo “mandare tutto” a ogni costo, senza riconoscere chi interpreta la montagna con creatività e fluidità.

Quella run resta comunque un manifesto: non sempre il punteggio racconta la verità di ciò che accade sulla montagna. A volte, la memoria collettiva degli appassionati vale più di una classifica. E forse il futuro del freeride dovrebbe ripartire proprio da qui: dal riconoscere che il valore di una run non è solo nel trick più folle, ma anche nella capacità di raccontare la montagna con stile, visione e rispetto per i limiti umani.

[foto cover: Bartek Wolinski / Red Bull Content Pool]

Cristiano Guarco - 4bicycle - portrait 211127

Ciao a tutti, sono Cristiano Guarco, appassionato da una vita di mountain bike ma anche del movimento ciclistico in ogni sua forma. Da circa 20 anni ho fatto della mia passione la mia professione, una grande fortuna raccontare questo mondo, per parole e immagini, che tanto mi ha insegnato e continua a insegnare ma anche ispirare.