Ruth Croft ha scritto una pagina di storia all’UTMB Mont-Blanc, tappa finale delle UTMB World Series, diventando la prima neozelandese a vincere la 100 miglia di Chamonix e la prima donna in assoluto a completare la tripletta OCC–CCC–UTMB.
Testo: Daniele Milano Pession | foto courtesy UTMB e Amazfit
OCC-CCC-UTMB, il triplete di Ruth
Un’impresa titanica, resa ancora più epica dalle condizioni meteo estreme: neve in quota, pioggia battente per gran parte della gara e un freddo pungente che ha messo a dura prova tutti gli atleti. I numerosi ritiri illustri hanno reso l’edizione 2025 ancora più imprevedibile, con continui ribaltamenti di classifica su tutte le distanze.
Abbiamo avuto l’onore di intervistare Ruth a Chamonix, pochi giorni dopo la sua vittoria. Ecco le sue impressioni post-gara.

L’intervista a Ruth Croft
Intervistare Ruth Croft pochi giorni dopo la vittoria all’UTMB Mont-Blanc di Chamonix è stato per noi fantastico, le domande che avremmo voluto porle erano veramente tante, abbiamo così cercato di toccare gli argomenti per noi più interessanti. Sperando così di acvere ovviametne centrato anche i vostri dubbi e le vostre curiosità.
Daniele Milano – Ruth, innanzitutto complimenti. Hai scritto una pagina di storia qui a Chamonix: prima neozelandese a vincere l’UTMB, e prima donna a completare la tripletta OCC–CCC–UTMB. Un’impresa che va oltre lo sport. Come ti senti, ora che hai avuto qualche giorno per metabolizzare tutto?
Grazie! È stato incredibile, soprattutto per il supporto che ho ricevuto, in particolare dalla Nuova Zelanda. Hai ragione: il trail running è molto più di uno sport. Ho sempre pensato alla corsa come qualcosa di individuale, ma qui ho capito quanto possa essere un veicolo per unire le persone. È proprio ciò che ho vissuto quest’anno a Chamonix.

Quest’anno hai scelto di partire forte, con un approccio più aggressivo rispetto al 2022. Hai detto che era l’unico modo per avere una chance. Cosa ti ha spinto a cambiare strategia?
L’anno scorso sono stata troppo conservativa. A metà gara, Katie (Schide, che poi vincerà la gara) aveva già accumulato un vantaggio di un’ora e mezza. Nel 2024 Katie ha fatto una gara straordinaria, e sapevo che non sarei riuscita a recuperare quel distacco. Così ho capito che, se volevo davvero avere una possibilità di vincere, dovevo restare agganciata al gruppo di testa fin dall’inizio. Per questo ho deciso di partire in modo più aggressivo.
La notte di gara è stata durissima, con condizioni meteo estreme, al limite della sopportazione umana, che hanno costretto molti atleti al ritiro. Tu invece sei rimasta lì, concentrata, e più il tempo peggiorava, più sembravi andare forte. Come hai gestito quei momenti? Hai mai pensato di mollare?
È stata davvero una notte difficile. La pioggia, il freddo, la neve in quota… tutto sembrava congiurare contro di noi. Ma in qualche modo, più le condizioni peggioravano, più trovavo una sorta di forza interiore. Non posso dire di non aver avuto momenti di dubbio, ma non ho mai pensato seriamente di mollare. In quelle situazioni cerco di restare nel presente, concentrarmi su un passo alla volta. Ho imparato che, se riesci a non farti travolgere dal contesto esterno, puoi trovare risorse che non pensavi di avere.

Il sorpasso su Courtney Dauwalter è stato un momento chiave. Lei è una leggenda dell’ultra trail. Cosa hai provato quando l’hai superata?
Ho un enorme rispetto per Courtney. Ha fatto tantissimo per il trail running, soprattutto per la visibilità femminile nello sport. Avere atlete come lei e Katie mi ha spinto a migliorare. Quando l’ho superata, ero molto concentrata sulla mia corsa. Sapevo che mancava ancora tanto, quindi ho continuato a seguire le mie sensazioni. Mi sentivo bene e ho deciso di fidarmi di quel momento.
Con questa vittoria completi la trilogia UTMB, avendo vinto in passato OCC e CCC. È un traguardo che pochissimi hanno raggiunto. Cosa rappresenta per te?
Non è mai stato il mio obiettivo principale, era più un “bonus” in cima a tutto il resto. Ho iniziato a correre in Europa nel 2015 con la CCC, poi ho fatto la OCC nel 2018 e 2019. Negli ultimi tre anni, l’UTMB è stata la gara che mi ha motivata di più. Mi sono concentrata solo su quella, senza pensare alla tripletta, che ho ottenuto ad agosto.

Hai corso in tutto il mondo, ma sembri avere un legame speciale con Chamonix. Cosa rende questa gara diversa dalle altre?
Chamonix mi ha sempre accolta con calore. Vengo qui ogni anno dal 2015, anche per gare come la Marathon du Mont-Blanc. Ma ciò che rende l’UTMB unica è il profilo del percorso, il fatto che attraversi tre Paesi, e soprattutto la possibilità di condividere l’esperienza con amici e famiglia. Questo crea una connessione profonda e rende la gara molto più significativa.
Come ti sei preparata per affrontare 170 km e oltre 10.000 metri di dislivello, sapendo che le condizioni sarebbero state estreme?
Non sapevamo che le condizioni sarebbero state così dure fino alla settimana prima. L’anno scorso era molto caldo, e non ero preparata. Quest’anno ho fatto più allenamenti in condizioni calde, ma anche tutto il mio percorso di gare di avvicinamento è stato pensato per arrivare pronta all’UTMB. Sono giunta in Europa a maggio, ho passato un mese a Chamonix, e con il mio allenatore Scott Johnson abbiamo lavorato in modo molto specifico sul percorso di gara.
Ci sono stati momenti di crisi durante la gara? Se sì, come Ruth Croft ha superati?
Sì, il primo è stato a Col du Bonhomme, sotto la pioggia. L’anno scorso avevo già avuto difficoltà lì, forse perché si corre di notte e ci vuole molto prima di vedere la propria crew. Tanti chilometri correndo di notte non sono stati facili per me e inoltre non ho una buona visione notturna. Poi a Les Chapieux ho trovato tanta gente, e questo mi ha aiutata a rilassarmi. Un altro momento difficile è stato dopo Champex-Lac, dove mi sentivo davvero male e mi chiedevo se sarei riuscita ad arrivare a Chamonix. Così ho spezzato la gara in piccoli obiettivi: prima Trient, poi Vallorcine. Questo mi ha aiutata a rendere tutto più gestibile.
Nei momenti di maggior difficoltà, hai una routine mentale, un mantra, qualcosa che ti aiuta a rimanere lucida?
Pratico molta meditazione Vipassana. Ci sono delle sessioni chiamate “sittings” di forte determinazione, dove per un’ora non puoi muoverti. L’obiettivo è osservare le sensazioni senza reagire. Porto questo approccio anche nella corsa: invece di resistere al dolore, cerco di osservarlo, riconoscerne l’impermanenza. Questo mi aiuta a non trasformare il dolore fisico in sofferenza mentale.
Sei un’atleta che non ama troppo i riflettori, ma sei diventata un’icona per tanti. Cosa ti motiva a continuare a correre a questi livelli?
Non è che non mi piaccia, ma non mi viene naturale. In Nuova Zelanda c’è il “tall poppy syndrome”: chi spicca viene spesso criticato. Per questo molti di noi crescono cercando di non attirare l’attenzione. Sto tentando di superare questa mentalità, ma ci vuole tempo.
Quando non sei in gara, come si rigenera Ruth Croft? Hai dei rituali o passioni che ti aiutano a staccare?
Di solito, alla fine della stagione o dopo una gara importante come l’UTMB, pratico la meditazione Vipassana. In effetti, martedì parto per l’India per un ritiro di meditazione silenziosa di 10 giorni. Lo faccio ogni anno dal 2018. Vipassana è una forma di meditazione in cui non si legge, non si scrive, non si parla, niente telefoni o computer. Si medita per 10 ore al giorno, per 10 giorni consecutivi. Trovo che mi aiuti a uscire dalla dimensione fisica, dalla struttura e dalla disciplina che ho dovuto mantenere fino alla gara. Mi permette davvero di rallentare e fare un lavoro interiore. Credo sia fondamentale trovare questo tipo di equilibrio.
Tu sei sponsorizzata da Amazfit, come ti sei trovata con il nuovo T-Rex Pro 3?
L’Amazfit T-Rex Pro 3 è sicuramente uno degli strumenti più importanti che ho utilizzato in gara. Carico sempre la traccia GPX prima della partenza, e trovo davvero utile poter visualizzare la pendenza delle salite, sapere a che punto mi trovo e quanta distanza manca alla fine della gara o a tappe intermedie. Sono informazioni che uso costantemente mentre corro, perché sono fondamentali per adottare la miglior strategia di gara possibile.
Per questa edizione dell’UTMB ho anche collaborato con un data scientist per sviluppare un piano di gestione del ritmo. Mi ha fornito i tempi intermedi da rispettare per ogni punto di ristoro, e il T-Rex è stato fondamentale per seguirli. Ho mantenuto il piano fino intorno al 30° chilometro. Poi, quando le condizioni meteo sono peggiorate drasticamente, mi sono concentrata solo sulla sopravvivenza durante la notte. Una parte molto importante del piano era anche il controllo della frequenza cardiaca: volevamo che restasse sotto i 157 battiti al minuto, soprattutto nella prima parte fino a Courmayeur. Per questo ho utilizzato la fascia cardio e mi sono affidata all’orologio per monitorare tutto.
Grazie Ruth Croft!
Poter intervistare un’atleta di così tanto spessore agonistico è stato per noi davvero un onore. Ruth, al di là di tutta la grinta che mette in ogni sua gara, è una persona esattamente come tutti noi. Dubbi e paure, come per ogni essere umano, fanno parte del suo quotidiano, ma è proprio qui che emerge preponderante la sua vera natura, ovvero quello di una grande campionessa che nello sport come nella vita, riesce sempre ad arrivare al traguardo.





