Pubblicità

Davide Grazielli: chi è il fondatore di Destination Unknown e atleta del Team SCARPA

di - 08/09/2022

Destination Unknown

Davide Grazielli è Co-fondatore di Destination Unknown e atleta del Team SCARPA. Il nostro direttore, Daniele Milano Pession, ha avuto il piacere di incontrarlo. Ne è venuta fuori una storia di trail molto particolare, diversa, fuori dal coro.

 

“Dai voce ai tuoi sogni: noi siamo qui per aiutarti, giorno dopo giorno.”

Ho conosciuto Davide qualche anno fa a Chamonix, durante uno dei miei primi viaggi stampa. In quegli anni ero ancora un neofita del mondo outdoor, che sarebbe poi diventato in breve tempo parte integrante e fondamentale della mia carriera professionale. Di Davide ricordo l’assoluta semplicità e spontaneità nel presentare se stesso. Persona estremamente affabile, di quelle che ti mettono subito a tuo agio, istintivamente empatiche, vere. 

Dalle sue parole avevo intuito che la corsa, in tutte le sue accezioni, era per lui molto più di una ragione di vita, quasi un mantra. Era sempre presente, un metronomo naturale che scandiva perfettamente le sue giornate. Mi aveva raccontato della sua attività di coaching, della passione che ci metteva, di come aveva iniziato e delle sue “strane” gare di corsa Oltreoceano con dei nomi che non avevo mai sentito. 

 

Ciao Davide e benvenuto su 4running! So che non sei un grande amante dei dispositivi GPS… ci dai qualche indicazione in più su chi sei, dove vivi, cosa fai?

Anni 48. Vivo a Pieve Ligure. Un grazioso paesino del Levante Ligure, nonché centro nevralgico del famigerato Tempio delle Miglia assieme alla mia compagna di vita, di corsa e di lavoro Maria Carla. Nella vita faccio correre gli altri, oltre a cercare di correre ancora anche io. A tempo perso scrivo su siti e riviste di corsa, e ogni tanto insegno al Politecnico di Milano. 

 

 

E allora partiamo proprio da ducoaching.com. Un grande progetto che ormai ti vede coinvolto 365 giorni all’anno!

 

Sì, dopo essermi fatto le ossa con i classici amici e i primi rivali di corsa che mi chiedevano aiuto, ho capito presto che, per diventare un buon allenatore, bisognava farlo seriamente, a tempo pieno. Una sera Mari mi ha detto chiaramente che, invece di analizzare workouts e pianificare blocchi alle 10 di sera, era doveroso dare a chi si fidava di me il massimo. Ho salutato il mio precedente lavoro e mi sono buttato. Ha fatto la differenza. Mi ha permesso di investire tempo (e risorse) nella mia formazione, che ritengo essenziale per chi allena, e specialmente in una disciplina giovane come la nostra, dove c’è tanto da scoprire. If you go, go big.

 

Tra i fondatori di Destination Unknown c’è anche Maria Carla, la tua compagna e, anno dopo anno, l’attività si sta ingrandendo. Una gran bella soddisfazione.

Sì, una grande soddisfazione, è vero. L’idea di Destination Unknown è nata da me, Mari e Paco, ma all’inizio era davvero un salto nel vuoto. Quando ho dovuto costringere Paco ad aiutarmi anche nel coaching, mi sembrava già un passo incredibile. Oggi che siamo in sei allenatori di due nazionalità e gestiamo circa 150 persone in tre continenti, dovrei forse esserci abituato, ma continua a sembrarmi folle. Ha significato tanto per me potermi confrontare con persone fidate, è un processo di crescita continua, interna ed esterna. A volte vorrei che Paco, che purtroppo ci ha lasciato lo scorso ottobre in un incidente di arrampicata, potesse vedere cosa abbiamo combinato partendo dai nostri incontri semiclandestini.

 

Oltre che essere un coach accreditato, con tanto di diploma FIDAL, tu sei innanzitutto un atleta. Che importanza ha per un allenatore indossare anche il pettorale in gara?

“Sono stato un atleta” sarebbe la risposta giusta. Ma in realtà non è così, se la corsa fa parte della tua vita sei un atleta a 20 anni come a 70. I risultati vanno e vengono, sono buoni da collezionare su una mensola, ma poi li dimentichi. La voglia di metterti alla prova, il piacere di gustare il processo di avvicinamento a una gara o a un’idea, quello è il punto. Credo che per un allenatore di lunghe distanze avere avuto un’esperienza personale è importante perché devi avere la prospettiva per capire quei momenti che capitano sempre in una gara di 5-10-20-40 ore. Se non ci sei passato, è difficile immedesimarsi, comprendere come reagiscono il corpo e la mente.

 

Spesso ti incontriamo agli eventi importanti come coach di Destination Unknown per i tuoi allievi. Quanto è fondamentale secondo te seguirli anche in gara? Ti capita di correre insieme a loro e di portarli sino al traguardo?

Allenando per la maggior parte del tempo a distanza, è essenziale per noi creare dei momenti in cui con l’atleta si crea il rapporto. Cerchiamo di organizzare Camp, di fare dei Tour in giro, ma soprattutto di esserci con Destination Unknown alle gare. È una fatica assurda e un grosso investimento di tempo e di risorse, ma ci piace vivere assieme agli atleti il momento gara, fa parte del nostro modo di rapportarci con loro. Ho anche fatto da pacer a qualcuno, e spesso qualcuno di loro lo fa per me, gustandosi il piacere subdolo di vedermi ridotto ai minimi termini.

 

Chi ti ha come allenatore dice che, prima di essere coach, sei un amico, un amico vero, con cui poter condividere grandi emozioni e non solo risultati agonistici…

Mi fa piacere, perché quel momento in cui finalmente si chiude il cerchio e si arriva alla fine di un processo è emozionante anche per me. Qualche collega a volte mi riprende perché il coinvolgimento emotivo spesso offusca la freddezza che bisogna avere nel prendere certe decisioni. Ma io non sono fatto così, ho bisogno di condividere qualcosa, per dare io il 100% e l’atleta il 110%. Ciascun atleta che ho allenato mi ha lasciato qualcosa, e gliene sono grato.

 

Ad ascoltarti parlare, sembra proprio che il tuo rapporto con tutto ciò che è outdoor sia assolutamente esperienziale, come tanti piccoli viaggi che fai con il corpo e con la mente, indipendentemente dallo sport che stai praticando.

Sai, cerco sempre di glissare su questo punto perché mi rendo conto che correre, andare in bici, sciare o arrampicare, alla fine, sono gesti meravigliosamente inutili e non ci rendono meglio o peggio di altri. A volte vedo quasi una glorificazione di chi fa certe attività, a scapito di altre. Ma è stupido, ciascuno può trovare profondità in cose diverse. Anzi, a volte noto una standardizzazione dell’esperienza outdoor che rende la cosa molto noiosa. Però, è chiaro che c’è una ricerca interiore in quello che facciamo, anche solo la possibilità di estraniarsi per ore dalle distrazioni della vita di tutti i giorni e ritornare a bisogni semplici. Muoversi, pensare ad alimentarsi, andare avanti e non farsi troppe domande. Essere essenziali è qualcosa che ci capita davvero troppo di rado nel mondo di oggi. Lo trovo liberatorio.

 

Hai creato Destination Unknown insieme a Maria Carla, tua compagna di vita. Una grande fortuna riuscire a conciliare passione, affetti e lavoro!

Dovresti chiederlo a lei, perché ti garantisco che non mancano i momenti di tensione e non è facile condividere tutto. È difficile ritagliarsi una vita privata, e io non sono già bravo di mio a farlo. Per la corsa, intesa come allenamento, gare e ora allenamento, ho sacrificato tante cose, inutile negarlo. Ma mi ha reso quello che sono e non cambierei niente. E sono assolutamente consapevole che non avrei costruito quello che è Destination Unknown senza una persona a fianco. Poi, spesso faccio di testa mia comunque, ma quel confronto e supporto sono essenziali.

 

Senza usare troppe metafore, non sei una persona che ama particolarmente stare fermo, sei sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Cosa bolle in pentola per questa stagione? Gare, eventi, attività di Destination Unknown?

Non so se quest’anno riuscirò a preparare una gara, gli impegni e i progetti di Destination Unknown stanno crescendo e necessitano di tempo e risorse per essere attuati. Sto correndo, ma con l’idea di gustarmi ogni passo senza forzare. Nel frattempo ho scoperto la bici per fare viaggi o scorribande, e anche quello mi tiene impegnata la mente. Forse è l’anno che provo un evento in quell’ambito, tanto per vedere com’è. Come attività di DU, il primo focus è stato la  Lavaredo con circa 60 persone. Abbiamo fatto un Camp dedicato alle gare di Cortina e in questi mesi abbiamo fatto webinar e incontri dedicati a quello. Siamo stati ovviamente a Chamonix. In autunno Camp di chiusura anno. Stiamo dedicando energie anche alla newsletter, che è aperta a tutti ed è un po’ un nostro modo per ridare indietro qualcosa alla scena che tanto ha dato a noi. Ci sono riflessioni, articoli, schede di allenamento e tante altre cose, si chiama TRUE COMMITMENT, e se volete iscrivervi basta andare sul sito e cliccare sul banner.

 

Tu hai avuto l’opportunità di confrontarti più volte con la realtà americana delle gare di trail e di lunga distanza. Meglio gli States o l’Europa?

Inutile dire che il mondo americano mi affascina, c’è un modo di vivere le cose molto più tranquillo, molto più rilassato, ma altamente professionale. La mia storia di runner come la mia formazione di allenatore sono state influenzate molto da quello che succede negli States. Non c’è un meglio, ma è bello confrontarsi con cose diverse, se c’è la possibilità. Anche aver gareggiato tanto in Inghilterra mi ha fatto scoprire una realtà diversa ma affascinante.

 

Qual è la gara che ricordi più volentieri e perché?

La Western States. E mi sentirai sempre dare questa risposta perché è la gara che mi ha rapito e che mi ha aperto le porte ad amicizie che ancora oggi sono molto importanti per me. E poi è la tradizione, la storia, per uno come me che ama le cose vecchie e polverose, non c’è cosa più bella al mondo. Ogni volta che ne parlo, mi vengono i brividi.

 

Ormai da diversi anni hai al tuo fianco uno sponsor prestigioso, SCARPA. Ce ne parli?

È un rapporto nato quando SCARPA era davvero agli albori nel mondo trail e che è per me motivo di grande orgoglio. In SCARPA mi sono sempre sentito parte di un gruppo e ho sempre ammirato come tutti prestino sempre una grande attenzione alla persona in primis. Per me SCARPA è casa, un posto dove ritrovare persone con cui ho condiviso tanto e con cui sono cresciuto.

 

Che ruolo hai in azienda? Mi hai parlato di prototipi di scarpe, di progetti di suole.

Vabbé, con l’arrivo di Marco De Gasperi è difficile mettersi a parlare di scarpe, perché in tanti anni ho conosciuto poche persone con la sua esperienza e la sua sensibilità in materia. Ma, siccome è anche umile, sta a sentire le impressioni di tutti noi atleti. C’è davvero un grosso sforzo a creare una linea completa, che possa soddisfare esigenze diverse. E i risultati secondo me si vedono. Ha un team di ragazzi in gamba, ma lui è davvero bravo a guidarlo.

 

Quanto ti gratifica poter collaborare con un brand come SCARPA al quale poter dare feedback continui sul prodotto? Un po’ come Valentino Rossi in Yamaha o Alain Prost in Ferrari…

Hahahahahha! Diciamo che nel team ci sono atleti molto più titolati di me nel dare indicazioni, ma è innegabile che fa piacere vedere che, anno dopo anno, le nostre osservazioni vengono prese in considerazione. Magari non nell’immediato, ma c’è sempre quella spinta a crescere, a dare qualità. A creare qualcosa di solido che ho voluto trasferire anche nel coaching. La prima volta che sono stato ad Asolo mi hanno portato in fabbrica a vedere la linea di produzione. C’era la passione, l’orgoglio, l’attenzione a fare qualcosa di bello, di funzionale. Mi sono innamorato, e da allora cerco di mettere la stessa cura in quello che faccio, di portare un know-how quasi artigiano in una nuova dimensione.

 

Quali sono le tue “Shoe Best choice” e perché?

Per le gare, negli ultimi due anni ho sempre usato la Spin Infinity. Una scarpa comoda e ammortizzata abbastanza da proteggere, ma non da ingombrare, neutra ma non sorda, e con una suola di qualità. Affidabile, che su una 100 miglia è esattamente quello che voglio. Se invece sono in montagna vera e mi voglio divertire, la Ribelle è la mia scelta. Quest’anno, nonostante i miei ritmi non siano più quelli di una volta, mi ha divertito vedere l’evoluzione da prototipo a prodotto finito della Kima. C’è dietro un lavoro enorme per adattare la piastra in carbonio e i materiali dell’intersuola al mondo trail, e constatare come sono stati risolti i vari problemi è stato emozionante.

 

C’è una frase in cui ti identifichi come persona e che può essere da sprone a chi vuole iniziare a correre?

Sarei famoso per le mie frasi a effetto che rifilo agli atleti al momento giusto, ma mi sembra più bello lasciarvi con due citazioni famose di Paco. La prima è che “ogni giorno che non vivi, muori”. La seconda, strettamente correlata, è: “Continua a correre, testa di cazzo”.

 

Destination Unknown coaching

Destination Unknown nasce quasi per gioco, ma si prende molto sul serio da subito. Ha cercato di portare un approccio nuovo e fresco nel mondo del coaching. Un filosofia che strizza l’occhio alle evoluzioni provenienti da Oltreoceano ma senza dimenticare le radici nel mondo dell’atletica e della grande scuola italiana del fondo. Gli allenatori di DU non si vergognano di ispirarsi ad altre discipline, hanno sempre tempo per parlare di allenamento davanti a un caffè e credono fermamente nel confronto e nell’essere aperti. DU è per tutti quelli che non rinunciano a inseguire un sogno, che sia una vittoria o sconfiggere i cancelli. DU è per quelli che non hanno paura a mettersi in gioco e hanno voglia di imparare. Ma, più di tutto, DU è per quelli a cui piace condividere qualcosa. 

 

Dove puoi trovare Destination Unknown

Puoi trovare DU qui e seguirci grazie alla newsletter True Commitment. Oppure puoi incontrarci alle gare o alle serate aperte che organizziamo in giro o con l’aiuto delle società e crew di amici. In ogni caso, se ci incroci anche solo su un sentiero, fermaci, che ci fa sempre piacere conoscere persone nuove! 

Di Daniele Milano Pession | foto: archivio personale

Corro quanto basta, pedalo a giorni alterni, parlo troppo. Nelle pause mangio. Instancabile sostenitrice di quanto lo sport ti salvi. Sempre. Le mie giornate iniziano sempre così: un caffè al volo e il suono del GPS che segna l'inizio di un allenamento. Che corra, pedali o alzi della ghisa poco importa: l'importante è ritagliarmi un momento per me che mi faccia affrontare la giornata nel modo migliore.