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Dove fare sci alpinismo e Splitboard in Val d’Ossola: Alpe Devero

di - 20/03/2023

Da 4outdoor #05 2022 – di: Andrea Massagli

Ci sono valli nelle nostre Alpi che racchiudono un’infinita bellezza come la Val d’Ossola. Il rumore del silenzio, il vento che ti smuove l’anima, i colori e le forme delle montagne che cambiano durante il giorno e le stagioni. Mi sembra quasi di descrivere un quadro o una storia fantasy, e invece è tutto vero. Esistono paradisi come l’Alpe Devero e per chi ama l’inverno come me, quando tutto diventa bianco, è il momento di lasciarsi andare nella natura.

 

Per caso in Val d’Ossola

Sono stato fortunato a scoprire uno di questi luoghi spersi tra queste montagne. Fui catapultato in questa parte di mondo nel 2017. Stavo con una ragazza mezza pisana e mezza piemontese, con metà famiglia che vive in una valletta sopra la Val d’Ossola.

L’Alpe Devero

Siamo all’Alpe Devero, una piana glaciale al confine con la svizzera. In questo luogo si incontrano diverse tipologie di frequentatori della montagna. Si passa da turisti giornalieri tutti acchittati ad alpinisti puzzolenti arrivati con un solo zainetto e pochissimi ricambi. L’alternanza di queste fazioni è legata alla stagione e alle condizioni della neve.

Questa piana si trova a 1.634 m nell’area protetta del Parco Naturale Alpe Veglia e Alpe Devero, a nord della famosa D di Domodossola, in Piemonte. Per arrivare qui c’è una “comoda” strada ricca di tornanti, cascate e pareti a strapiombo che ti accompagnano, fino ad entrare in due gallerie scavate direttamente nella roccia, un portale ad un mondo magico. Un salto indietro nel tempo e un luogo dove il tempo rallenta. Si vede e si sente l’aria di una montagna remota, dove le tradizioni sono sempre presenti anche se vissute da poche persone ormai.

La strada viene pulita dalla neve ma capita, considerando il posto abbastanza impervio, che valanghe blocchino il percorso per svariati giorni. Nella stagione in cui ho lavorato al rifugio CAI Capanna E.Castiglioni, ha nevicato particolarmente e per almeno due o tre volte io, Imran (un ragazzo pakistano che lavora li) e pochi altri siamo rimasti isolati in questa valle. Semplicemente un sogno.

 

Durante il lavoro mi alzavo spesso alle 4:00, 5:00 di notte per andare a vedere l’alba più in alto possibile per poi scendere direttamente con lo snowboard e alle 9:00 essere al lavoro. Gli inizi di giornata così sensazionali erano rari, ma mi davano una botta di vita esagerata, vedere le cime illuminate di rosa con l’aria freddissima (anche -21C°) ti smuove qualcosa dentro, sono “semplicemente” emozioni da provare, e impossibili da spiegare.

I giri scialpinistici in queste zone sono infiniti e per tutti i livelli. Si possono fare escursioni da togliere il fiato anche in mezza giornata.

Qui in questa valle ho cominciato a fare scialpinismo o snowboard alpinismo (come lo vogliamo chiamare), ciaspole ai piedi (personalmente c’è un rapporto di odio) e tavola legata allo zaino, scarponi da snowboard lenti e via a rincorrere gli scialpinisti. Riuscire a stare allo stesso passo dei miei amici, tutti sciatori, non era proprio banale, ma col tempo è stato un buon allenamento e ora, con la splitboard, ne vedo i frutti e salgo che è una meraviglia.

Lago di Codelago

Monte Cazzola

Una delle uscite più gettonate è il Monte Cazzola. Si sale al margine delle abitazioni, per il ripido bosco di larici (questi alberi sono l’unica conifera autoctona Italiana ed europea a perdere gli aghi in inverno), con alcuni passaggi stretti sopra un torrente. Da qui si vedono le tracce delle potenti valanghe che ogni anno scendono nei soliti punti (anche se la possibilità di nuove valanghe non è mai zero). Si sale senza grandi difficoltà passando anche da un piccolo e caratteristico alpeggio (Alpe Misanco). Ad un certo punto il bosco comincia a diradarsi e lo spettacolo cresce esponenzialmente, ci ritroviamo circondati da vette imponenti bianchissime e lucenti. Si vede l’anticima prima della nostra meta che ogni volta mi frega, dopo di lei un’altra altra bella rampa e si sale a zig zag per abbattere un po’ la pendenza. Piano piano la pendenza cala e comincia a delinearsi la forma a panettone del Monte Cazzola (2.330 m), ci siamo! In cima bisogna fare attenzione perché ci sono delle fratture nel terreno, sotto di esse si trova infatti un sistema di grotte (mi riprometto di andarci visto che sono speleologo).

Siamo tutti in vetta. Finalmente facciamo una pausa di contemplazione. Tutto intorno a noi montagne e altre montagne sempre più alte, per non parlare delle valli a strapiombo sottostanti, rimango senza parole. Quando il freddo comincia a farsi sentire facciamo cambio di setup da salita a discesa, pelli tolte, scarponi stretti e pronti a scendere. Si parte con alcune parti ventate e dei sastrugi allucinanti, il ghiaccio ci ricorda di fare attenzione. Subito siamo nella fresca e cominciamo a disegnare linee sinuose incrociandoci l’uno con l’altro, trovando salti e facendo slalom tra i pochi larici che ricominciano a spuntare. Da qui si diramano tante possibili alternative, tutte che entrano nel bosco largo ma che diventa sempre più pendente e stretto, il divertimento sale e le gambe sono caldissime, stiamo volando! Si scende come se non ci fosse un domani fino ad arrivare di nuovo all’alpe.

 

Corona Troggi

Altre mete scialpinistiche più emozionanti e suggestive sono la Corona Troggi e il Monte Cobernas. Per arrivarci le possibilità sono numerose e ogni volta riusciamo a fare una traccia diversa. Si può passare vicino a laghi dai colori indimenticabili (lago di Codelago, Lago delle Streghe), in mezzo a pascoli (tra cui l’enorme alpe Sangiatto), su strade trattorabili o tracce escursionistiche. I larici spogli sono onnipresenti e le loro forme e fantasie sono uno spettacolo incontrastato. Anche le tracce di ungulati, volpi e lepri ci accompagnano sempre per tutto il viaggio.

La salita non presenta difficoltà quindi si va spediti fino a raggiungere la base della Corona Troggi, chiamata cosi perché ha la forma di una corona. Si parte con una bella pendenza zizgando fino ad arrivare a 50, 100 metri dalla vetta, dove diventa assai ripido e probabilmente ventato e quindi optiamo per metterci i ramponi e lo snowboard o gli sci in spalla. Si continua a salire dritti, poco a sinistra del crinale a strapiombo. I gracchi con il loro canto metallico sono sempre in cima ad aspettarci, volteggiando intorno a noi. Ombre nere che danzano nel cielo seguendo il fischio del vento. La natura.

Sangiatto e Cobernas sullo sfondo

Arrivati! Siamo su una vetta stretta con il precipizio su due lati, sotto 600 m totalmente verticali si scorge il Lago di Agaro. Da qui siamo di nuovo nel mezzo di un anfiteatro circondato da monti pazzeschi, la vista sul Pizzo Diei e sul Cistella ci tolgono il fiato. Si mangia qualcosa al volo e prima che si alzi il vento o che smolli troppo la neve, ci prepariamo e si riparte. La discesa la facciamo dalla cima e il godimento è totale. Bisogna sempre fare attenzione ai cambi di neve e a qualche cambio di pendenza improvviso ma per il resto è magia, sei libero di disegnare quello che vuoi.

Dopo una breve discesa si torna all’Alpe Sangiatto e da qui si può decidere se procedere e continuare a scendere, c’è una variante in mezzo ad un bosco che solo i local conoscono ed è una figata pazzesca, scendi dritto in mezzo ai larici fino ad arrivare al torrente sotto l’alpe Devero. In alternativa si può andare verso il monte Cobernas, ancora più imponente.

 

Monte Cobernas

Per salire sul Cobernas si può passare da canali abbastanza stretti ma non impegnativi. Durante la salita mi si è staccata una pelle della splitboard (svariate cause tra cui la mia sfortuna cronica) e alla fine ho dovuto mollare ed aspettare i miei compagni di avventure mentre continuavano a salire, approfittandone per fare qualche foto. L’attesa in solitudine su questo valichetto di fronte al Cobernas e al suo alpeggio mi ha donato una pace che avevo provato raramente in vita mia. Le ombre dei larici che piano piano si muovevano scandivano il tempo e io me lo assaporavo.

Monte Cobernas

Pizzo Bandiera

Il mio giro preferito rimane il Pizzo Bandiera (2817), circa 1.200 m di dislivello, partendo direttamente da casa (quando abitavo nel rifugio). Questa cima fa parte del gruppo del Cervandone, un imponente tremila abbastanza tecnico e soprattutto ancora per me inviolato. Partenza di buon ora (le 6:00 circa) da dietro il rifugio E. Castiglioni. Il primo tratto attraversa l’Alpe Campello in direzione dei Piani della Rossa, piccole baite sparse in questo bosco fatato di larici, in pieno stile piemontese. Si prende una traccia costeggiando un ruscello, a volte coperto dai residui di una valanga, a volte ancora da coprire (quindi occhio) e ci si affaccia, passando con traversi poco ripidi tra rocce, sui Piani della Rossa. L’ambiente cambia e davanti a noi si apre una conca glaciale enorme, con una morena che sembra quasi disegnata. Questa è una chiara traccia dell’antico passaggio dei ghiacciai che hanno formato tutta la valle. Si entra nella morena e la vista diventa sempre più grandiosa ogni metro che ci si avvicina alla cima. Per arrivare alla nostra meta si sale un pendio abbastanza ripido che porta su una cresta affilata, dove c’è da prestare attenzione ad eventuali cornici. Ramponi e piccozza in questo tratto (breve ma intenso) sono consigliate. Camminare su quella cresta è sempre magico, alzi lo sguardo e sei in cima al mondo, davanti a te una distesa a perdita d’occhio di profili bianchi dalla profondità pazzesca. Appena ti giri però, ti rendi conto che anche dietro di te ci sono dei giganti di roccia, bisogna essere allenati per arrivare più in alto.

Il pizzo Bandiera è un cucuzzoletto circondato all’80 % da discese e dirupi. Il drop è dove vuoi tu, dove lo immagini. I miei amici sono scesi da dove eravamo saliti, io invece ho deciso di scendere direttamente dalla cima verso la morena. Ho valutato bene le possibilità, sia mie che delle condizioni della neve, e ho scelto una traccia immaginaria che mi sembrava stupenda.

Monte Bandiera

Cambio di setup e siamo pronti, ci salutiamo e ci diamo appuntamento qualche centinaio di metri sotto.

Sono carico, sono solo e sono estasiato da quello che mi circonda, il bianco, il silenzio, l’infinito.

Droppo, neve perfetta, ottimo, prime due o tre curve quasi obbligate e abbastanza arrabbiate e poi si allarga. Meraviglia, non ci era passato nessuno, è sempre una sensazione forte essere il primo a disegnare una linea. Curve bellissime e tante, scendo qualche centinaio di metri e comincio a fare slalom tra i sassi fino a reimmettermi nella morena dove ho aspettato gli altri. In quei momenti non penso troppo ma mi lascio guidare dal flow, cerco di sfruttare la conformazione della neve per godere e assecondare ogni variazione del terreno. Appena arrivano gli altri si riparte e via una tirata unica fino al rifugio passando tra rocce, traversi e ponti di neve sul torrente!

Una birra fresca e una fetta di torta (fatta da me). Mi vengono davvero i brividi a rivivere queste emozioni.

Insomma che dire, potrei continuare a raccontarvi mille avventure su questo luogo magico che mi ha stregato. Passare del tempo all’Alpe Devero è come vivere in una bolla di sapone dove le priorità della vita cambiano come cambia il tempo. Si ricomincia a godere delle piccole cose e ci si sente liberi. Ho già programmato di tornarci quest’anno appena nevicherà, voglio salutare tutti i miei amici e salire su qualche vetta che non ho ancora raggiunto.

 

 

Inoltre voglio capire come si sta evolvendo una situazione particolare a cui sono veramente interessato. All’Alpe Devero negli ultimi anni si sta discutendo dell’implemento e del collegamento del piccolo impianto di risalita (1 seggiovia e 2 skilift a gasolio, non sempre attivi) con il comprensorio di San Domenico, la valle accanto. Questo progetto sta creando diverse fazioni e pareri, facendo nascere una discussione ancora più generale riguardo all’utilizzo/sfruttamento delle montagne. Questo tema è molto attuale considerando i cambiamenti climatici (vedi scioglimento dei ghiacciai e vedi diminuzione delle precipitazioni nevose) e sta sviluppando dibatti importanti anche con assemblee, mostre ed incontri per informare la popolazione di quello che sta succedendo intorno a noi, tramite interventi di ricercatori e alpinisti.

Questo tipo di informazioni dovrebbero raggiungere tutti i fruitori della montagna, per consentirci di continuare a vivere in maniera sostenibile questi luoghi, che in tante culture sono considerati sacri e intoccabili.

Diplomato in Arti Grafiche, Laureato in Architettura con specializzazione in Design al Politecnico di Milano, un Master in Digital Marketing. Giornalista dal 2005 è direttore di 4Actionmedia dal 2015. Grande appassionato di sport e attività Outdoor, ha all'attivo alcune discese di sci ripido (50°) sul Monte Bianco e Monte Rosa, mezze maratone, alcune vie di alpinismo sulle alpi e surf in Indonesia.