Dino Bonelli, quando parla del suo lavoro è come un fiume in piena che racconta, racconta e incanta, scattando immagini indelebili nei luoghi più remoti della terra; Eritrea è la meta di questo ennesimo pregrinare fotografico in giro per il mondo.
Testo e foto: Dino Bonelli
“C’è uno strano silenzio a condire la semplice vita quotidiana di quel popolo che una volta fu colonia italiana, una strana sensazione che inizialmente è quasi un fastidio. Una tranquillità e una spensieratezza, ancor più percepibili nelle zone urbane di Asmara, la capitale, e Massaua, la seconda città del Paese, che sembrano figlie di un tempo lontano.”
Primavera 2024
Primavera 2024, la mia innata voglia di curiosare gli angoli più sperduti del mondo mi porta, accompagnato da alcuni amici viaggiatori, e aiutato dagli indispensabili servizi logistici garantiti dalla BHS travel, vero leader italiano dei viaggi d’avventura, in Eritrea. Allungata sul Mar Rosso, decisamente arida e montagnosa, di per sé, questa che dal 1890 al 1949 fu la più importante colonia italiana, non ha nulla di speciale.
Né in natura né sotto forma artistica, ma la sua storia relativamente recente, per noi italici, la rende unica. Allora, girovagando tra edifici in stile littorio, si trovano i bar Posta, Portico, Aquila, Aosta, Rosina e Alfa Romeo, per citarne alcuni tutt’ora in attività. Il cinema Impero chiuso ma ancora imperiale in centro ad Asmara. L’hotel Bologna continuamente in auge e lo scheletro di quello che fu l’hotel Torino. Il bistrò Alba, il caffè Moderno, i grandiosi resti del Banco d’Italia a Massaua. E la struttura futuristica con tettoia ad ali di gabbiano che copriva il benzinaio della Fiat Tagliero, giusto fuori dai capannoni dismessi che ospitavano la produzione di auto, ad Asmara. Di fronte alla Fiat, la decadente e sghimbescia scritta Olivetti promuoveva il negozio di macchine da scrivere, mentre a fianco il bar Gianna continua e fare ottimi caffè con una logora Cimbali appoggiata su un fatiscente bancone in legno. A pochi metri da questo, una fumosa sala biliardo, sempre piena di uomini ben vestiti, è un’istantanea opaca dei tempi passati.
Se vuoi viaggiare con BHS Travel, VAI QUI!
Eritrea
“Conosciuta con il nomignolo di “Corea del Nord africana”, l’Eritrea è uno stato multilingue e multiculturale di maggioranza musulmana e cristiano-ortodossa, composto da nove diversi gruppi etnici.”
Martoriato da guerre di ogni tipo, tra cui qualche scaramuccia con la vicina Etiopia è ancora in corso, questo Paese ha nei carri armati, arrugginiti e scarnificati, abbandonati qua e là, i brutali totem del suo passato. Molti di questi pezzi d’artiglieria, raccattati in ogni dove e impilati in una sorta di cimitero, ora adibito a museo a cielo aperto nei pressi dell’aeroporto della capitale, sono il giro di boa della nostra prima corsa in Eritrea.
Dall’albergo in cui soggiorniamo, con il pulmino della guida davanti a mostrarci la strada, percorriamo un paio di lunghi viali semi deserti. Fiancheggiamo la stazione dei treni oramai dismessa. E con i vagoni a svigorire alle intemperie e, dopo uno zigzagare tra vie e viuzze, eccoci circondati da pile di mezzi di chiara natura militare. Corriamo guardandoci intorno, stupiti e stupefatti. E anche un po’ con il fiatone, visto che Asmara è a 2.330 metri sul livello del mare, e non ci siamo ancora abituati. Sulla via del ritorno, con il sole che si sta abbassando sull’orizzonte portandosi dietro luci e calore, passiamo davanti alla Fiat Tagliero che allarga le sue ali da gabbiano nelle tenui tinte del tramonto.
Poi si fa notte… E la notte chiama la cena, con i suoi piatti tipici. Tra cui lo Tsebhi: uno stufato di differenti carni, servito con injera, un pane piatto di teff, grano o sorgo, e hilbet, un impasto che normalmente è di fave e lenticchie.
La corsa tra i sicomori
Un’altra bella corsa, questa volta più lunga e a un ritmo meno turistico. La facciamo a un centinaio di chilometri da Asmara in direzione sud, nella valle dei sicomori. Questi maestosi alberi allargano le loro fronde a creare enormi zone d’ombra. Dove uomini e animali trovano riparo sia dal feroce sole estivo sia dalle violente piogge torrenziali nella stagione monsonica. Sotto uno di questi vi è pure una bassa e lunga scalinata arcuata, in cemento, con un piccolo spazio piano di fronte. Una specie di fresca sala d’assemblea per la politica locale.
Qui a correre, oltre al sottoscritto che si diletta pure a immortalare il gesto tecnico degli altri, ci sono gli amici Roberto Cravero, Maurizio Icardi e Alessio Meineri. Mentre Paolo Bressy, che di solito è il più attivo e costante nello svolgimento dello sport a noi caro, inabilitato da un fastidioso mal di stomaco, salta la sessione. Si corre principalmente per la strada sterrata che attraversa in lungo tutto il parco, passando di fianco o addirittura sotto a tanti e diversi sicomori.
Ogni tanto ci si avventura su sentieri, tracciati da capre e cammelli. Che si perdono in una vegetazione rada, che comprende anche piante grasse di vario genere. A volte si allunga la falcata tra saliscendi rocciosi, altre la si controlla sugli stretti terrapieni che separano alcuni campi arati. Alla fine, come sempre, ci si ritrova tutti a raccolta. Con Luca, la preparata guida BHS, che nella circostanza sembra vestire i panni del running coach, a dettarci i tempi del proseguimento del nostro tour. Mentre noi, ascoltandolo, strecciamo i muscoli, reduci da una bella e dinamica corsa di una ventina di chilometri.
Il mercato di Keren e i ruderi di Massaua
Dopo il sud e dopo una visita al variopinto mercato di Keren, a nord della capitale. Dove ad attrarci è soprattutto l’area di compravendita dei cammelli.
Dall’altopiano di Asmara, fulcro di tutte le strade, si scende sul Mar Rosso, a Massaua.
La vecchia capitale coloniale, ora rudere di se stessa e della bellezza che la caratterizzava. Ci imbarchiamo per una delle 128 isole madreporiche, basse e sabbiose, dell’arcipelago di Dahlak, paradiso incontaminato dove il nulla è veramente nulla. Pernottiamo qui per due notti su un lembo di sabbia ricoperto di cespugli. Non un albero, non una casa, non un segno di vita, circondati dal mare turchese, ricco di pesci, che invita al bagno.
Corriamo anche qui, un po’ di sera e un po’ la mattina, lungo il perimetro dell’isola di due chilometri e mezzo. Corriamo sulla sabbia e sovente in contropendenza. I polpacci e le caviglie sono i primi e risentirne, ma lo spirito spinge le gambe al loro dovere. L’isola è tranquillità, è silenzio, è pace.
Ad Asmara, ritorno alla quiete
Ma la quiete di cui parlavo all’inizio, lo strano silenzio che ci ha avvolti e allibiti fin da subito, è un altro. E lo ritroviamo dappertutto, anche gli ultimi giorni, tornati ad Asmara. La tranquillità percepita in giro è la conseguenza della mancanza assoluta di Internet. Sì, in tutta l’Eritrea Internet non c’è, non esiste, e c’è anche pochissima ricezione della rete telefonica, peraltro riservata solo ai residenti.
“Questa limitazione fa sì che in giro non si sentano suonerie, nessuno parla inebetito agli auricolari, e nessuno è focalizzato a digitare sullo schermo del telefono.”
Un contesto inizialmente fuorviante, che con il passare dei giorni si tramuta in situazione piacevole e per noi anche disintossicante. La gente, libera dalla schiavitù informatica e dalla dipendenza da social, si guarda ancora negli occhi, si ferma a parlare e saluta con il sorriso. Sembra di esser tornati indietro di 20-30 anni. Poi, girando lo sguardo intorno e vedendo gli edifici e le insegne che li decorano, scopriamo che forse l’immaginario passo a ritroso lo abbiamo fatto di almeno 70 anni. Che bello!