Matteo Della Bordella, con Silvan Schüpbach e Symon Welfringer, è riuscito nell’apertura di “The Alien Face” (7a max) nuova via lungo la parete sud del Baintha Kabata in Karakorum, 6250 m. Dopo un mese di attesa del bel tempo, i tre hanno concluso la spedizione con questa bella salita, realizzata in due giorni di scalata. “Abbiamo sfruttato gli unici due giorni di semi bel tempo, dopo oltre un mese di lunga ed estenuante attesa” commenta Matteo Della Bordella. “Due giornate fantastiche, che ci hanno permesso di rientrare in Italia con il sorriso sulle labbra e una via tecnica e verticale”.
Baintha Kabata
Cos’è il Baintha Kabata e cosa significa? In Udru significa “figlio dell’Ogre”, ed è il nome che gli hanno attribuito suoi primi salitori, Colin Haley e Maxime Turgeon, nel 2008. Due alpinisti che, proprio come Della Bordella, erano partiti con l’obiettivo di tentare il pilastro sud-est dell’Ogre. Anche Haley e Turgeon si sono però trovati ad attendere una buona finestra meteo, che non essendo mai arrivata li ha portati a propendere per questa aguzza montagna alla testata del ghiacciaio Choktoi
The Alien Face
La cordata Della Bordella-Schüpbach-Welfringer ha attaccato a sinistra rispetto alla via di Haley e Turgeon, portando a termine la salita in appena due giorni e coprendo uno sviluppo di circa mille metri. “La parete si è subito rilevata difficile, ma la scalata è stata eccezionale” spiega Matteo. “Una roccia stupenda che ci ha rapidamente portati fino a 6000 metri, dove abbiamo bivaccato intagliando una piazzola in un nevaio”. Da qui sono poi ripartiti all’alba, completamento la scalata. “La seconda giornata è anche stata la più impegnativa, prima con una bella arrampicata in fessura e poi con un tiro di 7a, il più duro, che ci ha portati in vetta”.
Nel tratto centrale, ma al momento non è ancora stato possibile verificarlo, la via ricalca per circa 150 metri l’itinerario dei primi salitori.
“Una via nata dal nostro desiderio di montagna, dalla voglia di tornare all’azione dopo tutta quell’attesa chiusi nelle tende ad ascoltare il suono dell’acqua o della neve ticchettare sul telo” conclude Matteo. “Abbiamo vissuto un ambiente severo, dove le dimensioni sono difficilmente paragonabili. Di sicuro vorrei tornare a mettere mano sulla roccia dell’Ogre, ma non sarà certamente la mia prossima spedizione”.