Un’edizione così, i Mondiali Marathon non l’avevano mai vissuta e l’esito finale, con due volate mozzafiato al termine di prove ricche di colpi di scena, ha premiato la scelta di allestire la rassegna iridata su un percorso come quello della Rothaus Hegau Mtb Marathon molto diverso da ogni altra classica. Il tracciato di 89 km sulle colline del Lago di Costanza, in Germania, si è confermato estremamente filante, quasi un percorso da stradisti il che ha favorito la gestione della gara in maniera molto diversa, con tattiche molto più vicine alle corse in superleggera. Ma rispetto a queste la Mtb ha sempre molte più incognite e anche il Mondiale di Singen lo ha confermato e per incoronare un campione del mondo chiede talento e saggezza tattica, non è un caso se a vincere sono stati Alban Lakata, 38enne austriaco già iridato nel 2010 e 2015 e quattro volte argento, e Annika Langvad, 33enne danese alla sua quarta vittoria dopo quelle del 2011, 2012 e 2014 e che abbina la maglia iridata nella Marathon a quella già in suo possesso nel cross country.
Le strategie di gara degli italiani hanno subìto un colpo già alla partenza, quando una caduta ha messo fuori gioco due pedine importanti come Francesco Failli e Damiano Ferraro. Inizialmente sono stati due pezzi da novanta come il ceko Kuhlavy e il colombiano Paez a rendere la gara dura, ma tutti i grandi rimanevano a un tiro di schioppo e nel folto gruppo di testa c’erano anche gli azzurri Mensi, Cominelli, Ragnoli e Casagrande, chiamato a fare il regista in corsa. Un ruolo fondamentale che però è venuto meno prima di metà gara quando il toscano perdeva irrimediabilmente contatto per un problema tecnico.
La melina terminava allo scoccare delle due ore quando La salita di Kreuzer dava il là alla coppia della Protek, formata dal campione uscente portoghese Ferreira e dall’ex iridato greco Ilias, con loro si staccavano Kuhlavy, Rohrbach (SUI), Gaze (NZL), Geismayr (AUT) e gli olandesi Becking e Van der Poel che si trovava così in una situazione ideale. Paez e Ragnoli erano a 46”, ma il treno buono era partito e sull’ultimo vagone si agganciava Lakata che man mano riusciva a scremare il gruppo. A gtiocarsi il titolo rimanevano lo stesso Lakata supportato da Geysmayr e Ferreira e il gioco di squadra austriaco faceva il resto. Titolo a Lakata, onore delle armi a Ferreira e bronzo a Geysmair tutti con lo stesso tempo, Kuhlavy che a Singen aveva vinto l’Europeo nel 2015 era quarto a 2’42” precedendo allo sprint Van Der Poel e Rohrbach. Gli azzurri affondavano, il primo era Ragnoli, su un percorso non certo adatto alle sue caratteristiche, 22° a 6’05”, 43° Cominelli a 13’08”, 46° Mensi a 13’32”, due posizioni dopo Rabensteiner a 15’24”, 54° Colonna a 15’37”, 78° Longa a 21’42”, 94° Casagrande a 24’51”.
Le donne erano chiamate a giocarsi tutti in 80 km. Dopo il primo giro di 31 km, davanti erano ancora in 18, il che significa che la corsa non era neanche iniziata, ma intanto Mara Fumagalli aveva già dovuto chiudere la sua gara mentre Jessica Pellizzaro era 32esima a oltre un minuto. Nel gruppo di testa però c’era Maria Cristina Nisi che si difendeva con i denti su un percorso muscolare poco favorevole al suo fisico minuto. La selezione avveniva negli ultimi 20 km, ma alla fine rimanevano davanti la Langvad e l’intramontabile tedesca Sabine Spitz, 46 anni, che solo in volata s’inchinava alla più giovane avversaria, mentre il bronzo a 8” andava alla 44enne norvegese Gunn-Rita Dahle-Flesjaa, all’ennesima medaglia di una carriera ineguagliabile, e guardando la carta d’identità del podio femminile ci si accorge come il ricambio generazionale fra le donne sia qualcosa ancora di là da venire. Ancora una delusione per Jolanda Neff, la svizzera campionessa uscente solo quarta a 11”. Alla fine la Nisi si confermava la migliore della spedizione azzurra cogliendo un 12° posto a 3’05” all’altezza delle sue possibilità, 32esima la Pellizzaro a 14’13”.