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Di pareti e non solo: Q&A con Nina Caprez

di - 18/03/2024

Da 4Outdoor #02 del 2024, l’intervista di Elena Casolaro a Nina Caprez, fortissima scalatrice ma anche viaggiatrice, performer, e da poco mamma.

Big walls, prime salite importanti e gradi supersonici: ma la storia di Nina Caprez non è fatta solo di pareti. L’arrampicatrice svizzera classe 1986 è ultimamente alle prese con altre sfide; prima fra tutte, l’arrivo della figlia Lia, e poi una sensibilità per i temi sociali che ha portato la sua passione per la scalata in giro per il mondo a bordo di un veicolo speciale, Andrea. 

Abbiamo fatto due chiacchiere con Nina, tra una tappa e l’altra del tour europeo del suo spettacolo “Corpses Extremes”, e ci ha raccontato come le va la vita.  

Ciao Nina, come sta andando il tour? 

Bene! Adesso sono in Verdon a scalare, ma siamo all’interno di un tour di sei mesi in giro per l’Europa. ‘Corpses Extremes’ è una performance di arte in movimento, abbiamo una parete di arrampicata come sfondo, è tutto molto arioso e volante. È incredibile come si possa entrare in contatto con migliaia di persone, emozionarsi e far provare al pubblico il coinvolgimento, la paura, la relazione con la natura. Mi piace molto questa evoluzione, portare l’arrampicata sul palco, e si vede che anche le persone ne sono toccate. 

A quali progetti ti stai dedicando in questo momento? 

Adesso il mio principale obiettivo è provare a bilanciare il lavoro con la vita privata, cercare di far quadrare tutto. Mi sono resa conto che nel 2023 non ho passato abbastanza tempo ad arrampicare outdoor: è una questione di organizzazione, spesso tendo ad andare in palestra perché è più facile e più veloce ma la roccia mi dà tanta energia. In due parole, provo ad essere una brava mamma e una brava compagna per Jeremy. 

Qual è la cosa più bella dell’arrampicata secondo te?

Il fatto che in parete non ci sia nulla tranne il presente: non si può pensare al passato, né al futuro. C’è una grande intensità, sei lì e cerchi solo di stare attaccato alla roccia. E poi mi piace molto anche il fatto che non puoi nasconderti, non puoi mentire a te stessa quando scali. 

nina caprez
Foto Jeremy Bernard

Cosa è successo alla tua carriera quando è arrivata Lia?

È cambiata: del resto tutto si evolve continuamente. Prima l’arrampicata era tutto, adesso la priorità è la mia famiglia, ci sono dei compromessi e ci vuole un bell’impegno ad incastrare tutto. Mi sono anche chiesta cosa voglio e di cosa ho bisogno veramente: ad esempio, per me è importante scalare in estate, e potermi dedicare al 100% a qualche progetto. Jeremy lo sa, quindi troviamo un equilibrio, lui si occupa di nostra figlia fino a quando non ho chiuso il progetto, e poi il resto è un compromesso. Adesso sono molto più efficiente, riesco a concentrarmi molto di più. 

Anche il mio ruolo come atleta professionista si è evoluto: quando ero giovane spingevo sempre sull’acceleratore, cercavo di finalizzare tutte le mie energie sul progetto.  Ora non ho tempo né forza di farlo, ma è fondamentale comunque lavorare sui sogni nel cassetto: credo che il mondo sarebbe molto triste e nessuno farebbe figli, se diventare genitori significasse essere troppo stanchi per sognare. Io faccio molto caso a cercare di capire cosa è esattamente quello che mi manca. Mi mancano le vie lunghe, essere sola sulla parete, sentire l’aria e la libertà. Non mi manca, invece, la ricerca del grado sempre più alto. I miei limiti ora sono più… limitati. 

Che mi dici del progetto ‘Andrea’?

Il progetto Andrea è nato quando a me e Jeremy è venuta l’idea di utilizzare l’arrampicata come mezzo per creare una comunità, in luoghi dove le opportunità non sono molte. Volevamo combinare il viaggio, l’obiettivo sociale e lo sport, e questo si è concretizzato in un veicolo che abbiamo equipaggiato noi stessi con una parete di arrampicata mobile. Volevamo qualcosa da costruire dal nulla, una cosa nostra, non un progetto sponsorizzato o cose del genere. Semplicemente, ci mettiamo on the road e rimaniamo aperti alle opportunità che ci si presentano. 

È bellissimo vedere quanto riusciamo a dare alle persone, i bambini sono così contenti quando scoprono l’arrampicata. Cerchiamo di essere più sensibili possibile, e di trascorrere del tempo con le persone che nella vita sono state meno fortunate di noi, sulla roccia o sulla nostra paretina, insegnando quello che sappiamo e condividendo emozioni. Quando siamo stati con i rifugiati sono rimasta molto colpita da quanta felicità si possa creare, in parete non ci sono differenze di razza, condizione sociale o di vita: ci si diverte e basta. 

Foto Jeremy Bernard

A settembre ti trovavi appunto in Marocco con il veicolo Andrea, la tua famiglia e la au-pair Pauline quando c’è stato il terribile terremoto che ha sconvolto il Paese. Che è successo in quel momento?

Al momento esatto del sisma era impossibile andare sul posto perché le strade erano distrutte. Abbiamo dunque aiutato a distanza raccogliendo fondi e materiali da campeggio e utilizzato i nostri contatti per farli arrivare nei luoghi più colpiti. Dopo un mese siamo andati in Atlante per tre settimane, e abbiamo piazzato la nostra parete in tre luoghi diversi. Siamo riusciti a regalare qualche piccolo momento di felicità ai bambini, a farli giocare di nuovo, dato che le scuole, le case, tutto era distrutto. Poi siamo andati a Marrakech a fare compere, acquistando tutto quello che serviva a portare un po’ di aiuto, e siamo tornati in Atlas. 

Mia figlia Lia era felicissima, è stata praticamente tre mesi sempre all’aria aperta, a giocare con altri bambini, si è divertita un mondo. Anche Pauline, la nostra au-pair, era molto contenta: quello che voleva era proprio far parte di una famiglia poco convenzionale dal punto di vista del lavoro e della vita in generale, e partecipare a un progetto umanitario. A vent’anni, è stata una bella esperienza anche per lei. 

Quali progetti hai nel prossimo futuro?

Prossimamente vogliamo far evolvere il progetto Andrea, stando in viaggio per un tempo più lungo. Per farlo abbiamo bisogno di cambiare mezzo, trovandone uno che si adatti meglio alle esigenze nostre e di Lia. 

Dal punto di vista dell’arrampicata, per quest’estate ho in mente di scalare ‘Voyage au Buristan’, un progetto sul Pic de Bure. Si tratta di una parete di 600 metri con difficoltà alpinistiche elevate. Spero di arrivarci in forma, e che faccia bel tempo, realizzerei un sogno! 

Livornese di nascita ma montanara d’adozione, studia Geologia e sogna di fare la scrittrice. Adora raccontare storie e qualsiasi tipo di avventura, inoltre non sa stare ferma: è facile trovarla su qualche treno diretto verso le Alpi con uno zaino fuori misura da cui penzolano scarpette o piccozze (a seconda della stagione).