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Repubblica Centrafricana, una lezione di vita semplice e primordiale, che da sola vale il viaggio.

di - 28/10/2025

Repubblica Centrafricana - Bonelli
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“Ci sono destinazioni che non sono nel cassetto dei sogni di nessuno, oppure dopo esserlo state, ne sono uscite scoraggiate sia da poco corrette e o mal esposte notizie dei media, sia dalla Farnesina, il Ministero degli affari esteri italiani che ne sconsiglia qualsiasi viaggio a qualsiasi titolo. Una di queste mete è la Repubblica Centrafricana, che dopo un turbolento passato di guerre civili, ora è una tranquilla, povera e trascurata realtà del continente nero.”

testo Dino e foto Dino Bonelli e guardaparco WWF

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Ludovico Orlandi, mente e corpo di BHS Travel

Per sfuggire alla morsa di queste restrizioni arbitrarie, ci vuole un buon senso di realtà mescolato ad un briciolo d’avventura, e a Ludovico Orlandi, mente e corpo della BHS Travel, leader assoluto per l’Italia dei viaggi non convenzionali, queste due virtù non mancano. Sicuro di quello che propone, e altrettanto certo del lavoro che avrei potuto svolgere io per lui, mi chiama per chiedermi se sono disposto ad andare nello Dzanga-Ndoki National Park, estremo ovest della Repubblica Centrafricana, dove vivono i pigmei Ba-Aka, per vedere se ci sono i presupposti per attivare una nuova destinazione turistico avventuriera. Una specie di scouting, dove controllare la sicurezza del paese, i mezzi di trasporto, gli alloggi, il cibo e quindi, per ultime ma non per questo ultime, le bellezze naturali del posto. Ovviamente accetto, e per non andare da solo, coinvolgo in questa esplorazione indirizzata, l’amico, gran viaggiatore e buon runner, Maurizio Icardi.

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“Banghi”

Bangui, che si pronuncia “Banghi”, la sporca e trafficata capitale del paese, dove si atterra e dove spendiamo due giorni in attesa del volo interno privato che ci porterà nella nostra meta finale, non offre un gran che. I soliti affollati e caotici mercati africani, un imbarcadero per i traffici fluviali su piroga, qualche inguardabile scultura in cemento scrostato e scolorito, e una statua bronzea dedicata ai fondatori della Wagner, la famigerata milizia privata russa, che qui contribuì a cacciare i ribelli e quindi a far finire la seconda guerra civile. “Un male necessario” come ci dice un tassista riferendosi a questo esercito di mercenari.

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Le strade…

Per le strade si vedono solo mezzi arrugginiti e malconci, una miriade di motorini con tre, quattro e anche cinque passeggeri, e un gran numero di grossi fuoristrada bianchi con tatuati i loghi delle maggiori organizzazioni umanitarie. Ci sono la WFP (World Food Program), l’UNICEF, la Médecins sans frontières, e l’immancabile UN, l’acronimo di Organizzazione delle Nazioni Unite, con i suoi tanti funzionari e i suoi caschi blu armati. Si capisce che è un paese con grossi disagi e incertezze, ma si respira aria di pace e non si percepisce alcun tipo di pericolo.

L’aereo del WWF

Con un piccolo aereo mono elica della WWF (World Wide Fund for Nature) atterriamo su un lungo campo verde solcato da due strisce di terra come fosse una strada di campagna poco frequentata. Un campo, scoprirò poi correndoci dentro e misurandolo col mio Garmin, lungo 1400 metri.

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“Tutt’intorno, da oltre un ora, si è visto solo il verde maculato e intenso della fittissima foresta pluviale. Siamo in un paradiso naturale di rara vastità. Poco distante dal campo volo, immerso nella selva e allungato sulle rive di un grosso fiume melmoso, il bel Doli Lodge, gestito anch’esso dal WWF, è la sorprendente base logistica delle nostre escursioni.”

“Con un paio d’ore a disposizione prima che s’inneschi l’infuocato tramonto classico d’Africa, calziamo le nostre scarpe da trail running e usciamo a perlustrare le vicinanze di corsa.

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Una corsa senza ritmo, senza pretese atletiche, che alterna strette strade terrose, che attraversano anche l’unico paese della zona, Bayanga, a scoscesi sentieri bordo fiume, dove beccheggiano lunghe piroghe incavate da grossi tronchi, ormeggiate per la notte.”

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Ogni tanto proviamo anche qualche sentiero che si perde nella giungla, ma quasi sempre, visto il soffocamento della flora, ritorniamo sui nostri passi.

…e si corre anche un po’

Altre volte, magari a metà pomeriggio di rientro da qualche escursione, ci facciamo lasciare a qualche chilometro dal lodge e sgranchiamo le gambe su piste rosse che in questa zona smettono di essere lunghi e stretti rettifili scuri affogati nella vegetazione, per riprender colore alla luce del sole. La vegetazione infatti, nei pressi del campo volo e del paese, dove convergono tutte le poche piste che s’inoltrano nella foresta, è sempre molto fitta ma decisamente più bassa.

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Tra gorilla e elefanti

Due delle principali peculiarità naturali dello Dzanga-Ndoki National Park sono i gorilla delle pianure occidentali, simili ai cugini di montagna presenti in altri paesi africani, ma con nuclei famigliari più piccoli e capeggiati da un solo Silverback, il maschio dominante dalla schiena color argento, e gli elefanti della foresta. Questi ultimi, più piccoli, schivi e aggressivi dei cugini della savana, sono molto difficili da avvistare altrove. Per ragioni di tempo, e perché sia lo scrivente che Maurizio hanno già visto più volte i gorilla di montagna, non facciamo questa esperienza, peraltro bellissima e molto consigliata, dedicandoci invece al trekking che ci porta nella depressione paludosa di Dzanga Bai, che in lingua locale significa “Il villaggio degli elefanti”.

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Nel fitto della giungla

Dopo oltre un’ora di macchina, seguendo la guida WWF che ci è stata assegnata, ci infiliamo di buon passo nel fitto della giungla. La zona è molto palustre e sovente s’immergono i piedi in pozze scure o si cammina direttamente nei bassi e placidi fiumiciattoli che accompagnano il nostro percorso. La Dzanga Bai è un’enorme radura incastonata nella selva e rigata da mille camminamenti che da questa sbucano e in questa ritornano. Gli elefanti, infatti, essendo animali abitudinari tendono a seguire percorsi e routine simili ogni giorno, creando veri e propri sentieri. Da un’alta torretta di avvistamento, anche fatta per tutelare i visitatori, contiamo fino a un centinaio di elefanti che pascolano intingendo la proboscide nel fango alla ricerca dei sali minerali di cui quest’area e particolarmente ricca. Nell’immergersi nella fanghiglia argillosa e ricoprendosi volutamente di melma, questi pachidermi prendendo svariate tonalità che li hanno fatti denominare “gli elefanti colorati”.

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Sulla via del ritorno

Dopo un’altra ora di camminata nella giungla infida e fangosa, la lunga e stretta strada color sangue su cui ci aspetta la Range Rover che ci riporta al lodge, ci inviterebbe a fare almeno una parte degli oltre venti chilometri di corsa, ma giustamente la guida ce lo impedisce. Il rischio di trovarsi a tu per tu con qualche elefante, con le imprevedibili reazioni dell’animale e le immancabili spiacevoli conseguenze, è troppo alto. Se si corre, lo si fa vicino al villaggio o al campo volo, dove le possibilità di tale incontro sono decisamente più rare.

I Pigmei

La foresta, quella vera, profonda, malagevole, talvolta buia e piena d’insetti, è un ambiente ostile dove sembra impossibile viverci. Ma non è così. La foresta, se conosciuta in tutte le sue mille piccole sfaccettature, è un’immensa e inesauribile risorsa.

“Lo sanno bene i pigmei Ba-Aka che in questa giungla ci vivono da sempre. Negli ultimi decenni, questo piccolo popolo primigenio si è spostato a vivere in villaggi a bordo fiume, dove pesca e coltiva, ma la sua indole di cacciatore e raccoglitore lo spinge ancora e di continuo, ad inoltrarsi nella selva per battute di caccia di più giorni. Coordinati dagli agenti del WWF che di questi pigmei ne conoscono i movimenti, ci inoltriamo anche noi nella macchia verde per un’esperienza davvero primordiale.”

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“Due giorni e una notte a contatto con le loro abitudini, le loro conoscenze, le loro tradizioni. Gli uomini che vanno a caccia con lunghe lance dalla punta ad arpione, mentre alcune donne, con il solo uso di rami magistralmente intrecciati, fronde e foglie, costruiscono nuove capanne o riparano quelle preesistenti dall’ultima battuta di caccia.”

“Piccole abitazioni semisferiche, simili ad igloo, impermeabili alle forti piogge di stagione, dove i nuclei famigliari passeranno le notti. Altre donne si dividono il compiti di raccolta. Alcune dedite a quella dei frutti, di cui una specie di grande castagna, che loro chiamano Payo, da cui ricavare una farina che mescolata con l’acqua diventa una specie di polenta, altre a selezionare erbe mediche.

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Un ricordo indelebile

Noi, dopo una mattinata a seguire, in rigoroso silenzio, le gesta primitive dei cacciatori, che per inciso non son riusciti a prendere nulla a testimonianza di come in foresta nulla sia scontato, passiamo l’intero pomeriggio con due donne che selezionano erbe mediche.

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Tramite la guida che traduce, di volta in volta scopriamo anche i benefici delle varie foglie raccolte, o delle varie cortecce raspate dagli alberi. Selezionate e stipate nelle loro grosse ceste artigianali, che le donne portano sul dorso ancorandole alla testa, queste erbe saranno poi barattate con altri beni primari al villaggio. Durante il nostro interessantissimo girovagare per la giungla, le due pigmee ci mostrano anche come da certe liane si possa rinvenire acqua potabile, che abbiamo scoperto essere buonissima, mentre da alcune palme si possa estrarre un succo biancastro, dolce, con piccola gradazione alcolica, che, sommariamente filtrato sul posto, diventa il vino di palma. Ovviamente abbiamo provato anche questo.

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I bambini

Nel tempo in cui gli adulti si sono dedicati ognuno alle proprie mansioni, i bambini, rimasti al campo, hanno cercato la legna e acceso un fuoco davanti ad ogni capanna, mentre la notte si è definitivamente impossessata del cielo e lo scuro della foresta è diventato un nero denso di odori e rumori che anticipano la quiete assoluta della notte. Una notte in cui, dicono i pigmei, gli spiriti della foresta faranno loro visita per vedere se sono stati rispettosi della giungla, e di conseguenza se continuare o meno a far avere loro i tanti doni naturali indispensabili per la loro sussistenza. Loro, i Ba-Aka, sanno che la natura va protetta e amata e che solo allora essa saprà ricambiare.

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Daniele Milano: spirito di montagna, anima sportiva. Nato in Valle d’Aosta, cresce tra natura e movimento: prima lo sci, poi l’atletica. Negli anni ’90 scopre lo snowboard e ne diventa voce e protagonista, tra riviste e snowpark. Oggi vive tra Milano e le sue montagne, maestro di snowboard e telemark, cuore editoriale di 4running magazine. Racconta il trail e il gesto sportivo come espressione di equilibrio. “La corsa è il mio benessere interiore per stare meglio con gli altri.”