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Roberto Mastrotto e l’Adamello UltraTrail

di - 20/04/2022

ADAMELLO

Ingegnere e ultra runner, Roberto Mastrotto vive nella Valle del Chiampo, in provincia di Vicenza. Inizia a gareggiare a 27 anni, quasi per scherzo. In pochi mesi perde una ventina di kg e impara a conciliare il lavoro come Project Manager in azienda con gli allenamenti, dedicando interi weekend ai famigerati “lunghi”. Ecco chi è l’ultimo vincitore dell’Adamello UltraTrail, che abbiamo intervistato nei giorni scorsi.

 

I primi risultati prima di arrivare all’Adamello UltraTrail

Nel 2016 la prima vittoria alla Durona Trail 60 km (bissata nel 2018 e nel 2019 in staffetta). Da lì in poi l’atleta del Team La Sportiva non si ferma più. Vince gare di UltraTrail a livello nazionale con piazzamenti importanti nelle prove dell’UltraTrail World Tour. Nel 2018 la sua prima 100 miglia, 19° all’UTMB. Nel 2019 una grave infezione batterica alle gambe lo costringe a quasi due mesi di immobilità e a molti mesi di convalescenza. Poi Mastrotto lavora sodo, si riprende e torna a “volare” sui sentieri. Il 25 settembre 2021 stravince l’Adamello Ultra trail, finendo la prova in 27 ore 13 minuti e 27 secondi. 

 

 

Abbiamo intervistato l’ultimo vincitore dell’ Adamello UltraTrail, vediamo cosa ci ha raccontato e insegnato una grande verità sull’allenamento e (sulla vita).

 

Come sapevi di aver già recuperato energie per l’Adamello UltraTrail, dopo il ritiro per problemi fisici all’UTMB? 

Ho lasciato Chamonix con tanta voglia di rivalsa, fisicamente ero a posto e mi sentivo in forma. Dopo il ritiro all’UTMB, per una decina di giorni sono stato abbastanza intrattabile. Ero davvero demoralizzato perché per quella gara mi ero preparato bene. Ho pensato così di “sfruttare” la buona condizione per provarci all’AUT. Non nascondo che avessi paura di scontrarmi nuovamente con i problemi di stomaco avuti, poi però ho deciso che preferivo affrontarli definitivamente per capire come gestirli in vista della prossima 100 miglia. 

 

Quanti chilometri hai corso nelle settimane precedenti all’evento? Tu non disdegni di correre molte ore sui sentieri, come capisci qual è il limite da non superare? 

Il grosso del lavoro l’avevo fatto appunto per l’UTMB, con un ultimo blocco di volume a inizio agosto sull’Alta Via n.1 della Val d’Aosta, luoghi completamente nuovi per me. Dopo l’UTMB la priorità è stata quella di recuperare, con qualche richiamo di qualità a ridosso dell’Adamello. Il limite da non superare come carichi d’allenamento l’ho imparato nel tempo, sbattendoci la testa…

 

 

Cosa ti porti a casa dall’Adamello Ultratrail? 

Di giorno gli scorci incredibili offerti da un panorama davvero mozzafiato di montagne che mi erano sconosciute. E’ stata una sorpresa dall’inizio alla fine, e ho scoperto dei sentieri fantastici per correre. Di notte sono stato colpito dalla passione dei volontari, fondamentali per rendere emozionante questa gara. Un’altra bella sorpresa me l’ha fatta mia moglie Elisa. Si è fatta trovare al 100° km, al ristoro di Pontagna, con mio grande stupore e gioia, e mi ha dato tanta carica. Mi ricordo poi quando sono entrato alla Caserma Pornina e ho visto i primi due atleti di testa – Jimmy Pellegrini e Andrea Macchi – seduti insieme a un tavolo. 

È stata una scena quasi surreale. Loro due seduti al tavolo imbandito ,e io che mi sono aggiunto. Sembravamo quasi tre amici che chiacchierano durante una cena. Poi ho preso al volo qualcosa da mangiare, un po’ d’uva, e sono corso via. In cuor mio speravo di non rivederli più lungo il tracciato, e così è stato. In generale sono sempre stato molto in pace con me stesso durante la gara e ho cercato di non forzare mai troppo i ritmi. L’ho vissuta in maniera super zen.

 

Quale è stato il momento più duro della gara? 

Devo dire che da Ponte di Legno a Edolo ho trovato 50 km veramente molto tosti, con rampe importanti e tratti anche abbastanza sconnessi. In particolare ricordo la prima parte della discesa che da Passo Gallinera (2.320 m) porta a Edolo. Lì una distesa infinita di massi più o meno stabili mi ha messo veramente a dura prova, non ci si poteva distrarre un attimo. Pochi km prima mi era anche morta la frontale principale, così ho dovuto utilizzare quella di scorta.

 

 

Quando hai capito che avresti vinto la gara? Lo sapevi già dall’inizio? 

Ho cominciato a realizzare che vi fosse una possibilità proprio quando ho raggiunto a tavola Jimmy e Andrea. Da lì in poi mi sono messo a correre nella speranza di non esser più ripreso,. Stavo bene e ho tenuto il mio ritmo. Non nascondo che, nonostante da Edolo in poi mi tenessero aggiornato sul margine via via in crescita sul secondo, fino a Vezza d’Oglio mi sono girato spesso a controllare che non comparisse l’ombra di Jimmy da dietro. L’ultima discesa ho lasciato andare proprio tutto.

 

Come riesci a preparare una gara come l’Adamello Ultra Trail vivendo in pianura a Vicenza? 

Fortunatamente abito un po’ fuori dal centro, e sono abbastanza comodo per correre sulle Piccole Dolomiti, che si prestano bene a livello tecnico e come tipologia di terreno. In settimana, non avendo sempre tempo di raggiungerle, mi alleno in piano e sui sentieri collinari di fronte a casa, sul Monte Calvarina. C’è una salita da 200 m di dislivello in un 1 km che spesso ripeto fino a riempirmi a dovere i quadricipiti. 

 

Nel 2019 hai dovuto fare i conti con un’infezione batterica alle gambe. Cosa è successo e come hai recuperato?

A febbraio 2019 mi sono svegliato con un dolore alla gamba, dopo essermi regolarmente allenato la sera precedente. In prima battuta pensavo a una contrattura, così ho subito chiamato il mio fisioterapista. Tempo di uscire dal lavoro per andare da lui e già zoppicavo vistosamente. Poche ore dopo avevo 40 di febbre e non riuscivo a camminare. Ho girato due pronto soccorso dove non capivano cosa avessi. Alla fine sono stato ricoverato d’urgenza in malattie infettive per circa due mesi.

Ero bloccato a letto e ho visto sfumare tutte le gare che avevo in programma. In compenso ho avuto tempo per leggere, tanto, anzi tantissimo. La diagnosi è stata di una sepsi da stafilococco aureo alla sinfisi pubica. Questo batterio maledetto mi aveva intaccato tutta la zona adduttori, cominciando a “rosicchiare” anche tendini e osso pubico. I medici mi hanno detto che non sarei più stato in grado di correre, di certo non avrei più gareggiato. 

Ma, si sa, noi ultrarunner abbiamo la testa dura. Dal giorno delle dimissioni, a casa mi son subito messo sui rulli, ma dopo cinque minuti ero già stanco morto e in un bagno di sudore. Cosi è iniziato il mio percorso tortuoso durato molti mesi, caratterizzato da tentativi di tornare a muovermi, a camminare e poi a correre, e da tanti tonfi nel cercare di farlo. Anche qui ho cercato di bruciare le tappe, spesso senza successo. La testa non vedeva l’ora di riprendere a correre, volevo sentirmi libero, mentre il fisico remava contro, pesante come un macigno. Ricordo ancora l’ennesima visita fatta a Mantova, dove la questione veniva risolta con “smetti di correre e dedicati per sempre al divano”. 

Voglio ricordare tutte le persone che mi sono state vicine e che a modo loro mi hanno sostenuto durante il mio “viaggio”. La mia famiglia, e due medici di Treviso e Negrar che mi hanno capito e seguito, mio fratello osteopata, il mio fisioterapista, i miei amici, in particolare Alessio e Rigo, che mi hanno costretto a prendere in mano la bici da corsa, trascinandomi ad affrontare Gavia e Mortirolo con una vecchia due ruote troppo pesante per qualunque persona sana di mente. E ancora Dario Meneghini, che mi ha spinto a riavvicinarmi alle gare partendo da distanze a me sconosciute.

 

Con quali scarpe hai corso l’Adamello Ultra Trail? Eri indeciso tra qualche modello? 

Ho corso tutta la gara con un paio di La Sportiva Mutant, tra le mie scarpe preferite. Pur non essendo propriamente da lunghe distanze, mi ci trovo molto bene. Per le mie esigenze hanno tutta l’ammortizzazione di cui necessito, precise e sensibili sull’avampiede e con un grip pazzesco. A Ponte di Legno ho fatto una breve pausa per svuotarle dai sassolini e per stringerle, non ho nemmeno cambiato le calze. Per sicurezza mi ero messo nel borsone un paio di Akasha 2, che ho testato in estate, nel caso in cui a un certo punto avessi avuto voglia di alternarle alle Mutant.

 

Come ti trovi con l’abbigliamento La Sportiva per il trail running? 

Mi trovo molto bene, sia in gara sia in allenamento, come con i Tempo Shorts o la Complex T-shirt, perfetti per tutte le sessioni di training autunnali o per le gare in montagna dove devo affrontare tratti in notturna.

 

Che programmi hai per il prossimo anno? 

Devo ancora organizzare bene le idee, ma ho una certezza: voglio tornare all’UTMB e chiudere la gara nel tempo che so di valere. Ho la testa dura e so che arriverà il momento giusto.

 

La tua prossima vita… chi sarai e cosa farai? 

Non mi dispiace essere Roby Mastrotto, anche se non sarebbe male avere più tempo da poter passare in montagna: un po’ meno computer e molte più ore su creste e sentieri!

A cura della redazione | foto: Mauro Mariotti

Corro quanto basta, pedalo a giorni alterni, parlo troppo. Nelle pause mangio. Instancabile sostenitrice di quanto lo sport ti salvi. Sempre. Le mie giornate iniziano sempre così: un caffè al volo e il suono del GPS che segna l'inizio di un allenamento. Che corra, pedali o alzi della ghisa poco importa: l'importante è ritagliarmi un momento per me che mi faccia affrontare la giornata nel modo migliore.