Il triathlon italiano è pronto a fare il salto di qualità e a oltre trent’anni dalla sua nascita cominciare a raccogliere soddisfazioni a livello internazionale. E’ in quest’ottica che la Federazione, all’indomani dei Giochi Olimpici di Rio ha deciso d’investire su uno dei più grandi allenatori della storia della specialità, il canadese Joel Filliol che ha portato i suoi atleti ai vertici mondiali sia come capo allenatore di una struttura federale, sia soprattutto come tecnico personale. A lui si chiede non solo di far crescere i nostri atleti per portarli a competere per la vittoria nei grandi eventi, ma soprattutto di ristrutturare tutto il sistema tecnico del triathlon per far sì che si sviluppi una vera e propria scuola italiana di alto livello. Filliol ha accettato quella che forse è la più difficile scommessa della sua carriera, iniziata quand’era ancora un ragazzino: “Ho iniziato a fare triathlon a 11 anni nelle gare giovanili canadesi chiamate “King of Steel”. Sono progredito abbastanza per entrare nella nazionale canadese partecipando a due edizioni dei Mondiali di duathlon e a quelli di triathlon del 1996. Non ero certamente un campione, ma queste esperienze mi sono servite tantissimo per allenare.
Quali sono stati i passi più importanti della sua carriera?
Nel 2001 ho lasciato la Victoria British Columbia per entrare a far parte del National Triathlon Centre a Toronto, diventando capo allenatore nel 2005 e lavorando con Simon Whitfield portandolo alla sua seconda medaglia olimpica a Pechino. A quel punto avevo bisogno di cambiare e partii per l’Inghilterra per assumere la carica di capo allenatore della federazione britannica, dopo due anni ho però capito che la mia aspirazione era curare personalmente la preparazione dei miei atleti, così nel quadriennio olimpico di Rio ho raccolto con i miei ragazzi 38 podi alle World Series e portato quattro atleti nella Top 10 olimpica.
Perché ha scelto di diventare il capo allenatore della Federazione italiana?
E’ una nuova sfida, dove posso mettere a frutto quello che ho imparato in altre strutture federali e sistemi molto diversi. Il triathlon italiano si sta evolvendo e credo che ci siano tutte le possibilità per ottenere grandi risultati.
Qual è il reale valore del triathlon italiano rispetto alle grandi scuole anglosassoni?
Diciamo che negli ultimi anni il triathlon italiano è rimasto allo stesso livello, mentre intorno si è profondamente evoluto. I risultati, la preparazione e tutto quel che gira intorno ad essa devono essere tesi a ottenere il massimo nei grandi eventi e bisogna lavorare per ottenere la massima prestazione in essi. I nostri allenatori ed atleti devono imparare a prendere decisioni e sviluppare programmi per essere competitivi al più alto livello, non accontentandosi mai. Attualmente non abbiamo molti allenatori che lavorano quotidianamente con gli atleti e per raggiungere i massimi livelli dobbiamo spingere su questo.
Tutti i migliori triathleti attuali sono molto forti nella corsa a piedi: non pensa che nell’evoluzione delle gare le frazioni di nuoto e ciclismo abbiano perso peso?
Il livello della corsa per vincere negli ultimi anni è sicuramente cresciuto, ma egualmente quello delle altre due discipline per arrivare all’atto finale nelle prime posizioni è aumentato. Per essere competitivi al massimo livello è necessario essere ben bilanciati nelle tre discipline, senza dimenticare l’importanza della tecnica e della strategia che nel ciclismo hanno ancora tanta importanza. Per vincere bisogna essere completi, il principio non è cambiato.
A suo giudizio quanti triathlon possono essere preparati nel corso di una stagione?
Una cosa che ho subito notato al mio approccio con il sistema italiano è che gli atleti azzurri gareggiano troppo, soprattutto nelle gare nazionali e questo inficia le loro prestazioni di vertice. Alcune uscite devono essere unicamente viste come prove di preparazione. Servono tempo ed energie per allenarsi bene per i grandi appuntamenti e troppe gare interferiscono con la preparazione. E’ possibile gareggiare spesso, ma così è molto difficile concentrarsi sull’allenamento come necessario.
La struttura italiana è ben congegnata, soprattutto a livello giovanile?
Abbiamo un largo numero di giovani praticanti, ma non sono molti quelli di alto livello. Non è tanto importante la quantità di atleti, ma la capacità della struttura di individuare e supportare quelli con le maggiori possibilità per emergere. Bisogna che i migliori tecnici siano a disposizione dei migliori giovani atleti per farli crescere. I campioni sono intorno a noi, tutto quel che dobbiamo fare è allenarli nella maniera migliore.
Il suo lavoro è orientato verso Tokyo 2020, che cosa si aspetta?
Il nostro obiettivo è portare gli atleti di vertice a competere per le prime 8 posizioni nelle finali del Grand Prix e alle Olimpiadi. Un secondo ma molto importante fine è quello di portare un team al completo a Tokyo, considerando anche la novità della staffetta mista. Perché ciò avvenga abbiamo bisogno di un più elevato numero di atleti di vertice che possano competere nelle World Series. Per questo dovremo lavorare di pari passo per costruire atleti di vertice e allenatori alla loro altezza. Un lavoro duro è quello che ci aspetta, ma sono molto ottimista.
I DATI SALIENTI
Luogo e data di nascita: Cornwall (CAN) il 23 febbraio 1978
Precedenti incarichi: campo allenatore della nazionale canadese e britannica
Principali risultati dei suoi atleti: Simon Whitfield (CAN) medaglia d’argento ai Giochi Olimpici 2008, Mario Mola (ESP) campione del mondo 2016
Principali atleti allenati: Simon Whitfield (CAN), Tim Don (GBR), Richard Murray (RSA), Mario Mola (ESP), Katie Zaferes (USA)