Pubblicità

Un nuovo focus sul mondo dell’allenamento

di - 12/05/2023

allenamento

Nuovi paradigmi di fisiologia, terzi occhi e intelligenza artificiale: Daniele Lucchi ci introduce a inedite conoscenze e teorie, con tanto di dati scientifici alla mano

A scuola, dalle elementari fino all’università, ci raccontano che il nostro corpo è una macchina affascinante che funziona con regole più o meno ferree. La cellula è una specie di centrale energetica ben organizzata. È una specie di mondo molto ben delineato, senza ombre eccessive, in cui buoni e cattivi sono facilmente individuabili.

 

Ma è veramente così?

Una serie di concetti su cui però ci sarebbe parecchio da ridire… Già anni fa, per passare gli esami di abilitazione ad allenatore di atletica leggera (prima) e triathlon (poi), ho dovuto convalidare (io come tanti altri) delle inesattezze piuttosto macroscopiche, basate su studi scientifici e idee di più di 50 anni fa. Qui si sostiene che i sistemi energetici sono 3: AEROBICO, ANAEROBICO LATTACIDO (con produzione di lattato) e ANAEROBICO ALATTACIDO (senza produzione di lattato). Una favola che mostra come un atleta che parte per una corsa consumi fosfocreatina solo nei primi secondi di attività, per poi passare a un consumo di zuccheri fino a due minuti circa e poi, a sistema aerobico attivo, di zuccheri e grassi da lì in avanti.

 

P-NMR – risonanza magnetica nucleare del fosforo e sensori NIRS

Peccato che chi ha avuto la possibilità reale di osservare questi processi a livello biochimico con tecnologie contemporanee (esempi: la P-NMR, ovvero la risonanza magnetica nucleare del fosforo, e i sensori che sfruttano la spettroscopia del vicino infrarosso, NIRS – Near Infrared Spectroscopy), scriva cose differenti. Cioè che tutti i sistemi siano attivi contemporaneamente da subito, accesi istantaneamente dall’ossigeno (l’attore principale), con ruoli importanti, e totalmente da rivalutare, sia della fosfocreatina, sia del lattato (sempre presente nel corpo umano come “carrier” energetico, anche quando siamo immobili a letto!). Quindi tutto l’esercizio è aerobico e lattacido insieme: di anaerobico non c’è proprio un accidenti di niente. 

Questo significa quanto meno rivalutare la lingua che inquadra le classificazioni degli sport e dei mezzi di allenamento in base ai sistemi energetici. Il problema è che all’epoca, sul foglio del mio esame, non c’erano crocette da apporre con queste possibilità.

 

“Di anaerobico non c’è proprio nulla”

Una frase che, ancora per troppe persone, fa scuotere i pilastri della convinzione. Signori, abbracciate il dubbio e approfondite! Tutto è discutibile e nulla è immutabile, compreso ciò che ho appena scritto. Io stesso, in questi ultimi anni di studi e test, ho rivalutato alcuni miei punti di vista che in precedenza davo per scontati. 

 

Impariamo a osare! 

Le più grandi invenzioni dell’uomo sono state scoperte grazie a personaggi che si ponevano domande diverse rispetto a ciò che la consuetudine prospettava. Ed è proprio qui che volevo arrivare. Nella nostra ristretta visione, il protocollo di allenamento sino a oggi è stato un punto di controllo.

Esempio: sappiamo che fare Interval training migliora il massimo consumo di ossigeno e il pompaggio cardiaco, che le ripetute sono uno dei modi più efficaci per migliorare la soglia del lattato. Che il lungo lento migliora la resistenza di base e la circolazione periferica, per cui, a ogni problema specifico, a ogni obiettivo che ci poniamo, rispondiamo con un determinato mezzo di allenamento. Ognuno di questi mezzi ci offre un modo diretto e generico per intervenire sui nostri aspetti metabolici e biochimici. Comode tabelle con set e ripetizioni per costruire la forza, protocolli di intervalli più o meno lunghi, scritti per fornire un preciso adattamento al nostro corpo. Un dato input si traduce sempre nello stesso output, proprio come una macchina perfetta, ma…

 

Il mio punto di vista, poi c’è la realtà

Come detto, questo è il modo in cui spesso viene insegnata la fisiologia dell’esercizio fisico ed è anche il modo in cui un po’ tutti noi approcciamo a esso. Poi c’è la realtà. E, nella realtà, chiunque si sia allenato, o abbia allenato esseri umani per un po’ di tempo, sa che l’adattamento all’esercizio è qualcosa di molto più complesso e variegato.

Il problema è che, a parità di mezzo allenante, ognuno di noi reagisce con il SUO corpo e i SUOI tempi biologici. Quindi non è il mezzo allenante che fa la vera differenza, ma il corpo sul quale lo andiamo ad applicare. Ecco perché la nostra attenzione non dovrebbe essere rivolta in modo così ossessivo alle tabelle e ai mezzi in esse applicati, quanto più a come ogni singolo individuo risponde a essi.

 

La tecnologia è una preziosa alleata 

Una volta le risposte potevano provenire solo da noi stessi, dalla nostra mente e dalle sensazioni di cui siamo dotati. Oggi ci viene incontro la tecnologia.

Prima c’erano orologi e sensori che ci indicavano solo il passo e la velocità, i risultati esterni di ciò che stavamo facendo. Poi abbiamo cominciato a capire che serviva osservare cosa stava accadendo dentro il nostro corpo, e sono arrivati i sensori per la frequenza cardiaca. Eppure il margine di errore in allenamento continuava a esserci, eccome.

Così è sopraggiunta la possibilità di osservare le metriche di corsa e di stimare il consumo massimo di ossigeno. Ma l’errore era sempre lì. Perciò abbiamo aggiunto la potenza in watt tenuta durante l’esercizio, e con essa la stima della potenza critica. Anche il nostro battito del cuore meritava un interesse maggiore. Ed è arrivato l’Hrv (analisi del battito cardiaco e delle sue variazioni) con le relative valutazioni sulla gestione del sonno e del recupero ideale.

 

Si prevede tutto 

Oggi questi stessi device offrono previsioni di ogni tipo. Ritmi gara, tempi di allenamento e di recupero, fino addirittura a consigli di mezzi simil-ideali per migliorare lo stato di forma in rapporto all’obiettivo prefissato. Tutto basato su algoritmi e intelligenze artificiali.

Il margine di errore si assottiglia, eppure è sempre lì, e si manifesta con un personal best inaspettato o un infortunio imprevisto. E tutte le convinzioni legate a queste analisi vanno allegramente a farsi benedire. Mi piacerebbe poter dire che per gli allenatori è molto diverso, ma non è così. O meglio, lo è solo parzialmente.

È come guardare due Tir che si scontrano: potrai anche capire la fisica della collisione, ma ci sono così tante cose che accadono contemporaneamente che prevederle tutte diventa veramente difficile. Ecco perché sarebbe necessario avere un “terzo occhio”. Ed era più facile averlo in passato, quando non c’era nulla ad aiutarci!

 

Il nostro terzo occhio 

Alcuni atleti e allenatori anche oggi ce l’hanno: una profonda conoscenza dei paradigmi pratici che governano il corpo, una sensibilità ad hoc, un canale percettivo diretto che permette loro di manipolare meglio le tante variabili in essere e in divenire. Oggi la dipendenza verso la tecnologia mina severamente queste capacità innate dell’uomo e siamo costretti a virare su soluzioni sempre più al di fuori di noi stessi.

Serve qualcosa che sappia fare con efficacia ciò che l’uomo spesso stenta a concepire, ovvero imparare dai propri errori. Ed è qui che spalanchiamo la porta a un particolare futuro che ci si prospetta.

 

AI, una preziosa alleata 

Le ultime intelligenze artificiali, basate su modelli di auto-apprendimento, saranno il nostro terzo occhio e probabilmente anche il quarto. Studiando come lavorano, ho notato una cosa interessante e, se vogliamo, preoccupante. L’intelligenza artificiale guadagna una parte considerevole del suo potere predittivo proprio abbandonando i tipi di generalizzazioni che noi esseri umani tendiamo in media ad applicare. Questo significa che chi ha creato questo tipo di tecnologia (cioè noi) ha ben presente il nostro principale difetto: la pigrizia. Ecco perché tanti allenatori sono preoccupati dall’arrivo di questi sistemi di AI.

 

Non siate pigri!

“Le macchine ci ruberanno il lavoro”. Una frase scontata, un’ombra oscura che, con coscienza e dedizione verso ciò che facciamo, può essere neutralizzata. E se invece cominciassimo a studiare, informarci, “sbatterci” e, soprattutto, a pensare fuori dagli schemi? Oddio. Gli schemi. Che rendono tutto più semplice, che ci insegnano a scuola fin da piccoli… Perché abbandonare la comodità? E allora la scelta sarà obbligata.

Nel tempo, le AI, questi “pericolosi” insiemi di chip, potrebbero prevedere cose in modi così precisi che noi non potremmo mai sognarci di fare. Volete scappare? Fatelo, ma dovrete modificare il vostro modo di pensare. Oppure no, forse c’è una soluzione alternativa: imparare a usarle a nostro vantaggio. Questi stessi sistemi potrebbero aiutare sia gli atleti, sia gli allenatori, a ridefinire il mondo della prestazione dimostrandosi quel “terzo occhio” che in tanti, troppi, non hanno. A noi la scelta.

Un ringraziamento particolare al collega Andrea Zolea per la collaborazione.

Di Daniele Lucchi  |  foto: Cedric Corroy/Salomon

Bibliografia e riferimenti:

  1. Shulman RG, Rothman DL. The “glycogen shunt” in exercising muscle: A role for glycogen in muscle energetics and fatigue. Proc Natl Acad Sci U S A. 2001;98(2):457-461. doi:10.1073/pnas.98.2.457
  2. Chung Y, Sharman R, Carlsen R, Unger SW, Larson D, Jue T. Metabolic fluctuation during a muscle contraction cycle. Am J Physiol. 1998;274(3):C846-C852. doi:10.1152/ajpcell.1998.274.3.C846
  3. Cos’è la Near Infrared Spectroscopy (NIRS): livello clinico https://www.gimsi.it/impiego-della-near-infrared-spectroscopy-nirs-nello-studio-della-sincope/
  4. L’applicazione NIRS allo sport: una review sistematica di 57 studi
  5. Perrey S, Ferrari M. Muscle Oximetry in Sports Science: A Systematic Review. Sports Med. 2018;48(3):597-616. doi:10.1007/s40279-017-0820-1
  6. Lo studio di Kirby e colleghi presso il Nike Sport Research Lab, come parte del lavoro alla base del progetto Nike Breaking2
  7. Kirby BS, Clark DA, Bradley EM, Wilkins BW. The balance of muscle oxygen supply and de-mand reveals critical metabolic rate and predicts time to exhaustion. J Appl Physiol (1985). 

2021;130(6):1915-1927. doi:10.1152/japplphysiol.00058.2021

Corro quanto basta, pedalo a giorni alterni, parlo troppo. Nelle pause mangio. Instancabile sostenitrice di quanto lo sport ti salvi. Sempre. Le mie giornate iniziano sempre così: un caffè al volo e il suono del GPS che segna l'inizio di un allenamento. Che corra, pedali o alzi della ghisa poco importa: l'importante è ritagliarmi un momento per me che mi faccia affrontare la giornata nel modo migliore.