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David Lama e il Cerro Torre

di - 03/09/2014

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David allaccia gli scarponi prima di scalare il col de la paciencia
foto: Franz Finterbrantner

Il mito
Il Cerro Torre. La definizione più calzante che abbia sentito è stata data da Yvon Chouinard (alpinista e
fondatore del brand Patagonia n.d.r.) che lo vide per la prima volta nel 1968 scalando il vicino Cerro Fitz Roy: “Ci sono montagne che affascinano per la loro bellezza. Altre per la loro altezza, altre ancora perché non sono mai state salite. Il Cerro Torre affascina per la sua arroganza”.
Anche senza aver visto questa montagna di persona se ne rimane facilmente affascinati, basta guardarne qualche foto o leggerne i racconti di chi ci è stato.
Perché oltre ad avere un’architettura straordinaria è affascinante la sua storia, attorno alla quale hanno ruotato misteri e polemiche per circa 50 anni.
Situato in Patagonia, in una zona contesa fra Cile e Argentina, deve la sua bellezza ad una forma particolarmente slanciata, che protende 3128 m di granito verso il cielo, e la sua inaccessibilità, oltre che alla difficoltà delle sue pareti, al clima particolarmente ostile della zona. Dalla sua scoperta, ad opera dello spagnolo Antonio Viedma nel 1782 attirò ben presto l’interesse degli alpinisti di tutto il mondo, ma fu
chiaro fin da subito che la conquista della vetta non sarebbe stata impresa facile. Lyonel Terray la definì, dopo aver scalato il Fitz Roy nel 1952, “una montagna impossibile”, una definizione che oggi possiamo perlomeno ridimensionare.

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David e Daniel Steverer hiking d’avvicinamento al cerro torre prima spedizione
foto: Corey Rich

La storia
Siamo nel 1959, dopo due primi tentativi andati a vuoto l’anno precedente, da parte di Cesare Maestri e Luciano Eccher sul versante Est e Walter Bonatti e Carlo Mauri sul versante Ovest, il rocciatore trentino
con l’asso Austriaco del ghiaccio Toni Egger e l’aiuto di Cesarino Fava, torna approcciando la scalata dal versante Nord. Di ritorno dall’impresa Maestri dichiarerà di aver conquistato la cima assieme ad Egger, precipitato sulla via del ritorno, e di esserci riusciti anche grazie all’aver trovato condizioni di ghiaccio particolarmente favorevoli, ghiaccio che avrebbe rivestito l’intera montagna come una corazza.
La straordinarietà dell’impresa comincia presto ad essere messa in discussione, vuoi per gli insuccessi di tutti gli altri tentativi, vuoi per i diversi resoconti forniti da Maestri nel tempo e la discrepanza fra i suoi racconti e ciò che le altre cordate ebbero modo di verificare, vuoi per la mancanza di materiale rinvenuto lungo la via oltre un certo punto. Nel 1970, dopo la rinuncia alla vetta di due fortissime cordate, quella di José Louis Fonrouge e Mick Burke per la cresta sud-est e quella di Casimiro Ferrari, Piero Ravà e Mauri da Ovest, le dichiarazioni degli alpinisti suonano ancora come un atto d’accusa: “il Torre è Impossibile”. Maestri è stufo che la sua conquista del Torre da 10 anni venga messa in discussione, decide di tornare in Patagonia, di attaccare il mostro dal versante sud-est e di farlo alla sua maniera. Scriverà: “… Attaccherò la sua parete più difficile nella stagione più impervia. Si, ho paura del Torre ma ritornerò… Maledetto Torre, maledetta la volta che sono andato in Patagonia…”.
L’assedio invernale della montagna durerà circa due mesi, la cordata dovrà tornare in estate per un secondo tentativo. La cordata, tramite l’utilizzo di un compressore a scoppio (che diede il nome alla via) del peso complessivo di 150 Kg, piantando circa 350 chiodi a pressione da 5 cm di lunghezza a intervalli fra 90 e 120 cm, arriva al di sotto del fungo di ghiaccio che ricopre la cima. Dopo aver raggiunto la base del fungo di ghiaccio, calatosi con i due compagni su due viti da ghiaccio fino a dove iniziano i chiodi a pressione, Maestri, avvertito per radio che una cordata spagnola è giunta al campo base per ripetere la via, come impazzito, rompe i chiodi dell’ultimo tiro a martellate legando per sempre il compressore un tiro sotto il plateau sommitale. La via verrà ripetuta in stile alpino in un giorno e mezzo da Jim Bridwell e Steve Brewer nove anni dopo, i due supereranno anche gli ultimi 30 metri di granito (tratto che prenderà il nome di lunghezza Bridwell n.d.r.) con otto tasselli di alluminio, knifeblade, copperhead e un friend, scalando successivamente anche il fungo di ghiaccio fino alla cima.
Nel frattempo, nel 1974 una spedizione dei Ragni di Lecco guidata ancora da Casimiro Ferrari aveva raggiunto la cima dal versante Ovest, per molti questa è considerata la prima cordata ad aver raggiunto la vetta. Numerose sono le cordate che hanno ripetuto o aperto nuove vie sul Cerro Torre ma è stato solo nel 2005 che Rolando Garibotti con Ermanno Salvaterra sono riusciti a raggiungere la vetta dal versante Nord, ripetendo in parte l’ipotetica via del 1959…

Il liberatore
… e solo nel 2012 un giovane austriaco di nome David Lama è riuscito a scalare la famosa Via del Compressore completamente in libera, documentando l’impresa con un film eccezionale “Cerro Torre, a snowball’s chance in hell” e chiudendo dopo 42 anni un’altra storica pagina del voluminoso libro sulla montagna simbolo della Patagonia.

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foto: Corey Rich

Ciao David, hai iniziato ad importi davvero presto nel mondo dell’arrampicata e sin da subito hai bruciato le tappe, vincendo gare e scalando vie fino al 9a…

Scusa se ti interrompo, per essere precisi il 9° non l’ho mai fatto… ho fatto diverse vie di 8c+/9° al secondo tentativo, ma il 9° non l’ho mai fatto. Probabilmente non dedicavo troppa attenzione a quel grado, ero più concentrato a fare bene nelle gare! Forse anche perché a me piace scalare in fretta, veloce.

Nel 2004 hai vinto la tua prima medaglia d’oro nel Campionato del Mondo Lead e successivamente hai continuato ad importi nelle competizioni indoor anche nella categoria Boulder.
Le competizioni indoor sono state una passione di per sé o le hai sempre viste come step doveroso per arrampicare a certi livelli su roccia?

Arrampico da quando avevo 5 anni, ho cominciato con l’arrampicata sportiva, poi per una fase della mia vita mi sono dedicato alle competizioni, oggi mi definisco un alpinista, per ora questo è quanto!
… poi a vent’anni hai cominciato a misurarti col grande alpinismo, che non è esattamente un iter normale!
Potrei dire di aver seguito due fasi, la prima è stata quella dell’arrampicata sportiva, con le gare, alle quali ho dedicato parecchio impegno per un certo periodo di tempo, nel profondo però sapevo che mi sarei voluto misurare in “outdoor”. Così pian piano ho cominciato a spostare la mia attenzione sui progetti in ambiente, che sono diventati sempre più grossi. Poi il Cerro Torre ha cominciato a materializzarsi come uno dei miei più grandi progetti. Un’avventura che non sapevo dove mi avrebbe portato, ma che alla fine sono riuscito a realizzare!
È stato sicuramente un grande successo, un risultato straordinario! Ma sai, più che un risultato in termini di “competizione” è stato un qualcosa di grande per me, una grande scoperta forse. Ecco, non lo vedo come un risultato di tipo competitivo, per intenderci, in cui ti può capitare di fare male ma vincere lo stesso, perché gli altri hanno fatto peggio! Per me un successo come questo è qualcosa che ha più a che fare con la crescita personale, diventare migliore di ciò che eri prima! Questo per me è un risultato, una vera conquista!

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David e Peter in bivacco al col de la paciencia, seconda spedizione
foto: Corey Rich

Il processo del Torre ti ha sicuramente fatto crescere molto, anche per via di tutte le polemiche del primo tentativo che ti hanno sicuramente influenzato. Cos’è cambiato nel tuo approccio all’alpinismo
dall’inizio dell’avventura sul Torre?

Mah… è come nella vita, in cui le persone hanno le proprie idee su cosa fare e sul come realizzarle.
Fondamentalmente ha importanza lo stile con cui fai le cose, penso che sia un’espressione dei tuoi ideali, e
così i miei ideali sono quelli di scalare veloce e leggero, in stile alpino. Sul Torre il mio obiettivo era quello, di farlo con quello stile. Il mio obiettivo era rimanere fedele alle mie idee, perseguirle col mio stile senza compromessi e riuscire a scalarlo… Arrivare in cima in qualche maniera, senza uno stile o con uno che non mi appartiene, ecco, non mi interessa, assolutamente!

Così organizzi i tuoi progetti pensando più allo stile con cui realizzarli, piuttosto che pensando
all’obiettivo finale, alla cima?

Quando guardo o penso ai miei prossimi progetti importanti, in realtà ho perfettamente in mente delle
immagini, delle foto. Ho in mente le pareti, e so già dove vorrei che passasse la via e come vorrei scalarla.
L’importante per me è rimanere fedele a questo ideale.

Cos’ha di speciale il Cerro Torre, è solo una montagna di 3128m, perché è così attraente nell’immaginario alpinistico?

Se non ti dispiace, allargherei un po’ la domanda. Le montagne alla fine sono solo dei grossi sassi coperte di neve o ghiaccio. Siamo noi che le facciamo diventare qualcosa di speciale! Il Torre di per sé è diverso
dalle altre montagne, la sua forma è speciale. Ma è particolare anche la sua storia, il fatto che Lionel
Terray la descrisse come “montagna impossibile”, e come questo abbia motivato Maestri e via dicendo.
Quindi è un insieme di cose: la forma, la storia, il fatto che sia scomodo da raggiungere, le condizioni meteo estreme… non è assolutamente paragonabile alle montagne che ci sono in America o alle nostre Alpi.

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David approccia la parete, prima spedizione
foto: Corey Rich

Cosa ne pensi della storia dell’arrampicata sul Cerro Torre, la polemica su Cesare Maestri e tutte le cose che ci hanno girato intorno in questi anni? Ora che in un certo senso hai girato una pagina del libro della storia. So che è una domanda scomoda!

No, guarda, non è una domanda scomoda, anzi! È interessante!
Vedi, secondo me è una storia tragica, triste. E quello che trovo veramente triste per Maestri è che tutti lo
guardano e lo giudicano per ciò che ha fatto sul Torre, dimenticando le sue scalate nelle Dolomiti. Tutte le
belle vie che ha aperto non dovrebbero cadere nel dimenticatoio! Ma la cosa triste è che lui stesso ha
abbandonato il progetto iniziale cambiando stile.
Scalare con un compressore, fondamentalmente non è uno stile alpinistico! E questo ha significato anche il
tradimento dei suoi stessi ideali, per concludere anche il discorso precedente!

Perché hai scelto la via del Compressore?

Mi è sembrata la via più logica per scalare il Torre in libera! La parete nord è stata fatta, la est ha 500 mt di terreno difficile e pericoloso all’inizio, sullo spigolo sud-est puoi scalare lo spigolo fino al colle e da li hai del terreno più facile fino ad arrivare al tiro chiave, il bolt traverse, lì ci sono dei tiri impegnativi e quindi segui la linea di Maestri fino all’headwall.
Vedi, fin da quando facevo arrampicata sportiva non ho mai guardato la linea più difficile di una parete, ho
sempre guardato la più logica. Per me la sfida è sempre stata trovare la linea più facile su una parete difficile. Se poi quella linea è dura, allora è perfetto! È quello che ho trovato sul Torre.
Mi spiego: trovare la difficoltà di per sé è facilissimo, basta eliminare una presa, per assurdo. Oppure puoi
scalare una linea Freesolo o nudo! C’è sempre un modo per farla più difficile! Ma se trovi una linea dura, è
impossibile o comunque difficile renderla più facile, mi spiego?

Hai liberato la via al 3° tentativo, cos’è successo nel 2009 e nel 2011?

Per farla facile… non ero abbastanza preparato, non avevo esperienza. Nel 2009 proprio per niente, nel
2011 avevo già più chiaro chi ero e con cosa mi stavo confrontando! Ma non ero pronto a farlo in libera.
Quando sono arrivato in cima quella volta ho capito che avrei potuto farlo, se le condizioni climatiche me lo
avessero permesso. Tempo, vento, neve…

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Ultimo tiro del torre, Devid in sosta prende le decisioni finali, terza spedizione
foto: Lincoln Else

Hai seguito tutta la linea del 1970?

Ho fatto 3 variazioni, una al bolt traverse, dove c’è il passo chiave che penso sia sull’8°, su quello spigolo arrotondato, quello dove hanno ripreso un paio di voli anche nel film. È molto esposto, difficile, su prese piccole. Quindi la linea prosegue più facilmente fino al bivacco. Da lì parte una goulotte ghiacciata che si vede nelle riprese del secondo anno, che è una seconda variante. Ma è solo un tiro. E quindi sull’headwall, gli ultimi due tiri, dove abbiamo dovuto traversare a destra, poi su, quindi ancora a sinistra… fino al mega blocco…

Com’era, agghiacciante?

Mah, sapevo che se avessi voluto farla in libera ci sarei dovuto salire sopra, c’era poco da fare! Il problema è che le condizioni erano perfette per scalare, era asciutto, i giorni prima aveva fatto caldo. E quindi anche il ghiaccio che di solito tiene il blocco un po’ più consolidato con la parete era sciolto. Potevo proprio sentire come si muoveva, bastava spingerlo e… sapevo che se ci fossi salito sopra… se fosse caduto, bene che andasse mi avrebbe tagliato una delle due corde. Bene che andasse! Insomma, cadere non era un’opzione da prendere in considerazione!

Ci sono state molte polemiche sul *materiale lasciato dalla produzione Red Bull Media House dopo la prima spedizione, com’è andato a finire quel contenzioso?

Tenuto conto che spesso non si può fare ciò che si desidera, viste le condizioni estreme della Patagonia!
Adesso è tutto pulito. In generale quello che possodire ora è che si, a volte è problematico, ma se riesci a organizzarti in anticipo e quindi prevenire, in questo tipo di problemi non si incorre! Ovviamente non era nostra intenzione lasciare materiale dietro di noi, ma il primo anno non eravamo mentalmente preparati. Abbiamo cercato di fare del nostro meglio, abbiamo imparato dai nostri errori. Dopo questa prima esperienza mi sono preso la responsabilità di gestire la questione, dicendo alla troupe cosa si poteva e cosa non si poteva fare. Io personalmente non ho lasciato nulla, però qualcuno del Team l’aveva fatto e non doveva succedere.

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David alle prese con la headwall, terza spedizione
foto: Lincoln Else

La famosa lunghezza Bridwell, cosa ne pensi?

Me lo chiedi perché sai che Bridwell mette in dubbio che Maestri sia arrivato in cima?

Si, proprio così!

Beh, non ci ho prestato grande attenzione. Quel tiro l’ha fatto Peter (Ortner, il suo compagno di scalata
n.d.r.) da primo, io ero seduto sul compressore a far sicura, e ho visto i primi 2 o 3 spit, non vedevo oltre. Io ho fatto il tiro che avevo già i ramponi calzati, tirandomi sulla corda senza t-block o jumar, avevo i miei problemi da risolvere! Non avevo tempo di controllare. Ma quello che posso dire è che non capisco come Maestri si sia calato, perché in cima all’headwall non ci sono chiodi di calata messi col compressore da Maestri.

Cosa ne pensi degli spit rotti da **Hayden Kennedy e Jason Kruk?

Nel film dico che fondamentalmente non me ne frega niente. Era una prima risposta a caldo, non ponderata. Ovviamente la cosa è importante, per me! O meglio, ho la mia opinione, che ci ho messo un po’ a sviluppare.
Fondamentalmente divido il gesto di rompere gli spit di Maestri dal risultato. Il gesto non l’avrei mai fatto, personalmente. Penso che rompere gli spit non cambi la storia, ma allo stesso tempo adesso la montagna è… più vicina a quello che era! Non so se mi spiego?

Parlaci della tua ultima scalata in ***Alaska con ****Dani Arnold, a mio avviso rimane una delle scalate più incredibili degli ultimi anni, e che forse non tutti hanno capito!

Credo che per “i non addetti ai lavori” non sia facile capire cosa stiamo facendo, perché per capire a volte
devi provare a fare certe cose, o almeno cose simili. La via che abbiamo fatto segue una linea bellissima,
e sono veramente orgoglioso di quello che abbiamo fatto. È una linea “bold” (audace, coraggiosa).
L’audacia è qualcosa che credo sia necessaria quando si vogliono spingere i limiti, e su quella linea io
personalmente ho spinto il mio limite! Era la mia prima spedizione in Alaska, il tempo era buono ma faceva un freddo cane e siamo riusciti a scalare con uno stile pulito, senza compromessi. Veloci, efficienti con poche protezioni e talvolta pessime, e su una parete che non è di tipo alpino, ma somiglia più
a una “big wall”. Riuscire a farla in 2 giorni è stato veramente incredibile. (ne parla come di una cosa
normale n.d.r.)

Beh, per quanto ho potuto capire era veramente estrema!

Beh (ride n.d.r.), si… in effetti è stata una delle scalate più dure e impegnative che abbia mai fatto!
Ed è stato bellissimo anche per il discorso che facevamo prima: la linea è perfetta, passa al cuore della parete. In quell’ambiente è la linea più semplice, la più facile, quella logica. Il facile nel difficile!

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David e Peter bivacco sulla cresta sud est, terza spedizione
foto: Corey Rich

Hai progetti nuovi in Patagonia?

Andare in Patagonia mi piace sempre, è bello, ho molti amici lì. E quest’inverno abbiamo fatto una premiére del video del Torre al Chalten (il villaggio più vicino al Cerro Torre n.d.r.), perché penso che fosse prioritario farlo vedere prima a loro, mostrargli come promuoviamo e parliamo di una montagna che alla fine è loro.
E poi ovviamente ho dei progetti! Volevo fare la Traversata del Fitz Roy, partendo dalla Aguia De l’S passando per il Fitz Roy e finendo con l’Aiguia Guillaumet. Purtroppo avevo solo tre settimane e non c’è mai stata una finestra che mi permettesse di provarci… È una linea incredibile! Ho una foto della skyline fatta da un elicottero appesa sopra il mio letto! Sai, il Torre nella foto è dietro, sembra piccolo per la prospettiva, il Fitz è enorme… bellissimo. Ho sempre voluto farlo!

Cos’altro bolle in pentola?

Vado tra poco con Hansjorg Auer e Peter Ortner a tentare la nordest del Masherbrum, in stile alpino ovviamente. Sono molto contento di andare con loro, per due motivi fondamentali: il primo è che sono amici!
Non andrei mai in montagna con qualcuno con cui non vorrei stare! La seconda cosa è andare con persone
che guardano la montagna nello stesso modo in cui la guardo io! Questo comporta che senza nemmeno dircelo parliamo della stesa linea da scalare, con lo stesso stile! L’attrezzatura, le decisioni, il rischio, l’impegno… La propria etica è qualcosa che quando spingi il limite nell’alpinismo ha un’importanza fondamentale!

* Nel 2009 per consentire agli operatori di Red Bull Media House di riprendere la scalata di Lama, poi interrotta, venne attrezzata parte della via. Una volta interrotto il tentativo, a causa del maltempo, vennero lasciati sul posto circa 700m di corde e 60 chiodi. Nonostante una Società delle Guide locale avesse autorizzato la messa in parete dell’attrezzatura una parte della comunità alpinistica così come ad esempio kelly Cordes (Senior Editor dell’American Alpine Journal n.d.r.) si indignò per quel gesto e chiese a Red Bull di intervenire per ripulire la montagna.

** Qualche giorno prima che David Lama liberasse la via del Compressore gli americani Hayden Kennedy e Jason Kruk schiodarono una parte rilevante delle via di Maestri, un gesto che ha generato l’ennesima polemica.

*** Bird of Prey, 1500 mt, Moses Tooth, nuova linea aperta in 2 giorni, in stile alpino.

**** Lo svizzero che ha salito la via Heckmair sulla parete nord dell’Eiger in 2 ore e 28 minuti nel 2001.

Il film “Cerro Torre: a snowball’s Chance in Hell” è acquistabile nell iTunes Store

Diplomato in Arti Grafiche, Laureato in Architettura con specializzazione in Design al Politecnico di Milano, un Master in Digital Marketing. Giornalista dal 2005 è direttore di 4Actionmedia dal 2015. Grande appassionato di sport e attività Outdoor, ha all'attivo alcune discese di sci ripido (50°) sul Monte Bianco e Monte Rosa, mezze maratone, alcune vie di alpinismo sulle alpi e surf in Indonesia.