Hanno ancora senso le varie categorie delle mountain bike? O meglio, dobbiamo forse ripensare a quello che facciamo davvero in bici?
Questa riflessione stava fermentando da molto tempo, ma è risalita in superficie dopo aver abbozzato un altro articolo, focalizzato su dove sta andando il mondo del trail biking e se questo genere di bici rappresenta davvero la MTB definitiva. Un post con un forte potenziale polemico, capace di scatenare gli avvoltoi dei social.
Mentre lo scrivevo e rileggevo, mi è sorta la domanda spontanea: dove sta andando il mountain biking?
Accompagnata da un’altra: i nomi che usiamo per categorizzare le varie bici, hanno ancora un senso?
Il destino nel nome
La sapienza antica afferma che conoscere il vero nome di una cosa dà un enorme potere su di essa. Ovviamente, il nome che diamo a una bici non influisce affatto sulle sue prestazioni, o se è adeguata a un determinato stile di guida. Questi sono i dubbi delle persone preoccupate che una MTB possa gestire sfide più impegnative di quelle che affrontano nella loro effettiva vita di biker.
Molti media non sono d’aiuto, né per dissipare questi dubbi, neppure per l’innata tendenza a crearli e cavalcarli. A leggere certi articoli e post sembra quasi che il telaio e le specifiche non siano mai abbastanza, richiedendo kit sempre più robusti e pesanti, o viceversa più efficienti e leggeri.
Da semplice appassionato che un po’ ne sa – scusate la sventagliata di modestia – penso che sia un po’ stupido affermare che una trail bike seria dovrebbe essere assolutamente equipaggiata con pneumatici da gravity e/o forcelle con steli da 36 mm di sezione, o ancora avere un angolo sterzo da 64°. Ma forse sono io che vivo fuori dal tempo e non sono più in contatto con quello che la maggior parte dei biker pensa delle trail bike.
Faccio un passo indietro, mettendo le cose in prospettiva. Vado in bici da prima che esistessero le forcelle ammortizzate, i freni a disco e le gomme tubeless. Ricordo ancora l’entusiasmo quando ritirai il fiammante telaio Rocky Mountain Slayer in colorazione nero cangiante da Bicimania a Lissone, una fiammante full suspended da freeride con ben 127 mm – cinque pollici! – di morbida corsa servita da un ammortizzatore a molla Fox.
E che dire del momento in cui montai la tanta bramata forcella Marzocchi Junior T a doppia piastra da 130 mm? Fu anche il periodo in cui iniziai il mio lungo percorso con i freni a disco, grazi ai mitici Grimeca rossi a quattro pistoni.
Bei tempi, a ripensarci adesso… e quello che mi viene da pensare, è che forse ora tutta la questione del gravity sta sfuggendo di mano.
Piantare i paletti
Mi viene da pensare così. Anche se bisogna piantare dei paletti. Tutto è (ri)cominciato una soleggiata domenica di dicembre, quando mi sono ritrovato a percorrere sentieri tortuosi e ripidi che conoscevo bene, ma anche altri che avevo solcato solo occasionalmente.
La Nukeproof Reactor su cui ero aveva “solo” 130 mm di escursione, ma anche nell’impostazione Trail predefinita l’angolo di sterzo è di 65,5°, e spostando il Flip Chip su Low si arriva a 65°. Questa era la geometria di una bici da Enduro di un qualche anno fa.
Sono riuscito a mantenere un controllo e una stabilità inaspettati sul sentiero, affidandomi a pneumatici passati da innumerevoli fasi di progettazione e sviluppo, dal laboratorio ai test sul campo eseguiti da pro dell’enduro e del downhill. Girando a pressioni relativamente ridotte, ben sotto i 2 bar, non ero affatto preoccupato di triturare le rocce su cerchi larghi 30 mm, anche guidando alla cieca.
Confidavo che, sfruttando quello stacco naturale in roccia, non avrei avuto problemi quando sarei atterrato. La piega da 780 mm mi permetteva di guidare preciso e sicuro, mentre i rotori oversize dei freni avevano abbastanza potenza per gestire ogni tipo di situazione.
In pratica, a meno che io non faccia qualcosa di veramente stupido, e so cosa sono in grado di fare perché in passato ne ho messe a segno di mosse alquanto stupide e maldestre, sono perfettamente centrato su un colosso inarrestabile che è molto più capace e avanti di me in termini di calma e coraggio.
Certo, questa è la versione 290C RS con telaio in carbonio, ruote 29er e specifiche di classe enduro, che di serie pesa poco meno di 14 kg in configurazione tubeless e senza pedali. La Factory, sempre in carbonio, mantiene la forcella dalla struttura oversize ma con un allestimento a tutto tondo.
Sai che differenza! La geometria rimane piantata sul veloce, guadagnando uno zic nei cambi di direzione più stretti o quando bisogna rilanciare fuori da una curva per il peso più contenuto.
Ai due lati dello spettro
Ma allora come fa qualcosa che sembra tanto una bici da enduro essere classificata come una trail bike? Questo accade quando la punti in salita per arrivare alla partenza del prossimo sentiero. In tre parole: si pedala bene.
Ha sempre bisogno di una certa propensione alla pedalata e di un certo stato di forma, ma non ti prosciuga le energie e neppure la speranza di chiudere la giornata ancora integro fisicamente e mentalmente. Inoltre, come la maggior parte dei marchi di bici, Nukeproof ha in gamma una bici da enduro propriamente detta, quella Mega tanto apprezzata dagli appassionati e portata più volte sul gradino più alto del podio in EWS dal mito del movimento gravity e di tutto il mountain biking Sam Hill.
Arriva poi il momento di guardare l’altro estremo della categoria trail. Si nota un mucchio selvaggio di cross country con forcella dal travel allungato, magari un link diverso per aumentare anche l’escursione posteriore mantenendo una cinematica reattiva e sostenuta, insieme a una geometria più progressiva tradotta sui sentieri attraverso manubrio, pneumatici e cerchi più ampi. Alcune di queste MTB si comportano come agnelli travestiti da lupo, ma la maggior parte sono assolutamente pronte ad affrontare sentieri sfidanti.
Trail su cui ci penserei due volte prima di solcare linee tecniche, ma uscendone indenni con le loro forcelle da 34/35 mm e gomme da 2,4”, senza colpo ferire, nonostante quel drop, quel letto di radici o quella sequenza di rocce inaspettati. Il loro vantaggio di peso rende le cose molto più facili, da quando si alza nuovamente la sella per la salita o si pompa per guadagnare e mantenere il ritmo sui singletrack più flow. Soprattutto se avete abbastanza denaro da investire per massimizzare leggerezza e performance, in particolare quando si aggiunge la voce “carbonio” al menu.
Queste bici, Downcountry o XC aggressive, chiamatele come volete, sono molto divertenti da pedalare e guidare, e sono capaci di gestire buona parte delle situazioni incontrate durante il riding.
Ma allora sono queste le più vicine alla definizione di trail bike, o bici tuttofare?
Downcontry. Sul serio?
Il fenomeno recente del Downcountry rischia di oscurare quanto siano diventate capaci le “race bike” attuali. Questo perché i tracciati XCO odierni assomigliano a quelli enduro e DH di non molto tempo fa. Se una forcella con steli da 32 mm è sicuramente più nervosa di una da 34/35 mm con 120 mm di corsa, e i freni con dischi ispirati al mondo road non aiutano quando devi fare un fuorisella esagerato su una discesa ripida senza l’aiuto del telescopico, il controllo che puoi aspettarti è ancora diversi livelli al di sopra di quello di pochi anni fa.
Questi compromessi liberano una quantità significativa di grammi in ogni fascia di prezzo, quindi se la vostra definizione di bici tuttofare è pedalare su percorsi collinari per diverse ore, divertirvi sui singletrack, ridurre al minimo lo sforzo e il tempo impiegati in salita ma essere ancora in grado di dominare le discese scorrevoli e dalla pendenza moderata, allora una cross country dura e pura non solo va bene, è semplicemente perfetta.
Nuovo è bello
Ma la sensazione è sempre quella. Che le MTB moderne non offrano ancora abbastanza. Ma è passato tanto tempo dall’ultima volta che ho distrutto un cerchio, ho strappato il forcellino del cambio, o mi è esploso un ammortizzatore. Meno da quando ho pizzicato una Maxxis Exo+… ebbene sì, ce l’ho fatta. Ho conquistato questo ambito badge, altro che KoM su Strava!
Se avete vissuto qualche anno in questo sport, vi renderete conto di quanto le cose sono cambiate di recente in quasi ogni aspetto. Al punto che ora molte gravel, a parte il manubrio basso, assomigliano in tutto e per tutto alle front da XC di una decina di anni fa, a partire dalla sezione degli pneumatici tubeless. Aggiungete al mix un reggisella telescopico e una qualsiasi forma di sospensione anteriore e posteriore, e vi accorgerete che sono molto più capaci della media delle mountain bike con cui avete iniziato.
Quindi? Quindi l’idea di usare pneumatici che superano il chilo e duecento grammi di peso affidandosi a carcasse rigidissime e a mescole super appiccicose, o di avere bisogno di almeno 170 mm di travel per rimanere nella propria zona di comfort, non risponde affatto al personale piacere di andare in bici. Non è il posto dove voglio stare.
Non posso fare a meno di trasalire, pensando ai watt sprecati, quando vedo le persone sui social consigliare aggressivi pneumatici downhill da 2,5” come gettone personale per entrare nella giostra dei sentieri locali. Perché a meno che non siate biker pesanti, chiudiate salti enormi, o apriate davvero il gas sui rock garden più impestati, magari su una eMTB, quel tipo di equipaggiamento è quasi certamente eccessivo per lo stile di riding che state realmente praticando.
Ma poi sale un pensiero. Proiettare l’immagine dell’estremo è ciò ha fatto vendere la mountain bike sin dall’inizio. Ogni sondaggio online, e le vendite dei marchi tramite i loro canali diretti o i negozi fisici, confermano che le entrate arrivano dai prodotti “cool”.
Se questo porta più persone a pedalare e significa meno infortuni e meno rotture di bici e componenti, allora ha davvero importanza quella che alla fine è una semplice discussione filosofica sulle etichette che attacchiamo ai diversi generi di bici?