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Sardegna, Selvaggio Blu, il trekking

di - 18/08/2023

“Mi piacerebbe andare a fare il Selvaggio Blu, avrei piacere di organizzarlo con dei clienti e vorrei studiarmelo un po’. Cosa ne dici? Andiamo?”. Ed è così che, in una grigia giornata di inizio aprile, Edo mi propone di andare in Sardegna e percorrere il famoso trekking del Selvaggio Blu. “Che domandeeee!”, rispondo io euforica, sognando anche solo il mare sardo e una nuova avventura insieme.

Foto: Camilla Sebastiani

1ª tappa: Pedra Longa – Porto Cuau

Dopo un’accurata organizzazione, il nostro Selvaggio Blu inizia verso le 10 del mattino da Pedra Longa, in direzione Cengia Giradili. Il tempo non è il massimo, pioviggina, ma le temperature per inerpicarsi su dal sentiero sono l’ideale. Passiamo le maestose pareti di Punta Giradili, dove Guidos mi mostra le vie che ha in progetto di ripetere. Fantascienza per me.

 

Fortunatamente, in cima, arriviamo al Cuile Us Piggius, un ovile, dove entriamo per ripararci un po’, vista la pioggia che ha deciso di essere più insistente. “Ah, che saggia sono stata a portarmi piumino e anche guscio! Certo, aggiungo chili allo zaino ma ora avrei avuto freddo!”, penso tra me e me, dandomi quasi una pacca sulla spalla.

Foto: Edoardo Borello

Uscendo, andiamo a recuperare il materiale, il cibo e l’acqua che giudiziosamente avevamo nascosto il giorno prima, e troviamo il primo scherzetto: qualche cinghiale nella notte ha provato a frugare nelle nostre sacche, rompendoci fortunatamente “solo” 8 litri di acqua. Non male considerando il fatto che i primi due giorni di Selvaggio Blu sono totalmente in autonomia. Non ci scoraggiamo e continuiamo per sentieri, cenge e rocce per circa 12 km.

 

Arriviamo verso le 17 a Porto Pedrosu dove, grazie a Dio, troviamo un gruppo che ci regala mezzo litro d’acqua. Ma non abbiamo intenzione di fermarci qui, bensì di continuare fino a Porto Cuau, dove facciamo amicizia con una Guida trentina e il suo gruppo, che ci dona l’acqua necessaria al giorno successivo. Amen.

Foto: Camilla Sebastiani

Pane carasau, pecorino e un panino avanzato dal pranzo sono la nostra cena, consumata davanti a un meraviglioso fuoco sfondo mare. Un sogno.

Montiamo la tenda, scambiamo due parole con i nostri nuovi amici che ci offrono un mirto e alle 21 siamo già avvolti nel nostro sacco a pelo come due bozzoli di farfalla, pianificando la tappa N.2.

Foto: Camilla Sebastiani

2ª tappa: Porto Cuau – Cala Mariolu – Piredda

La prima notte passa a meraviglia e alle 7 siamo già in piedi, belli pimpanti a prepararci una colazione 5 stelle. Povero Guidos, gli ho fatto portare una Nutella da mezzo kg sulle spalle e yogurt al limone per iniziare la giornata al meglio (oltre i 30 kg – non scherzo – di zaino). Santo.

 

Smontiamo la nostra casetta e ci rimettiamo in marcia. La tappa di oggi prevede come meta Cala Mariolu e una breve pausa bagno a Goloritzè. Maciniamo km e dislivello fino alle 12, quando chiedo a Guidos una sosta reintegro perché vedo le stelle.

Foto: Camilla Sebastiani

Addentrarsi nella macchia sarda non è per nulla intuitivo: nonostante traccia e GPS, riusciamo a perderci un paio di volte. Fortuna che Guidos trova sempre la retta via. Mi immaginavo un Selvaggio Blu fatto da sentieri poco battuti, ma non di certo di zompettare su distese di affilatissime rocce calcaree, “terrificanti” scale – ma reggerà sta roba? – e ferrate a picco sul mare. Ogni km mi meraviglio della bellezza che ci circonda.

 

Manca poco per arrivare a Goloritzè e Guidos mi propone di pranzare in cima a Punta Salinas, non dovremmo allungare di molto. Nel bel mezzo del panino al tacchino ci arriva il secondo scherzetto del trip: “Ragazzi oggi c’è mare, non riusciamo a portarvi cibo e acqua a Cala Mariolu”. Un po’ dispiaciuti cerchiamo di cambiare itinerario senza sconvolgere troppo la nostra tappa e configuriamo due ipotesi: fare la “Boladina” e arrivare diretti a Piredda, oppure scendere a Goloritzè, fare la ferrata, andare comunque a Cala Mariolu e poi risalire fino a Piredda. Secondo voi, cosa abbiamo scelto? La seconda, certo, altrimenti che Selvaggio è?

Mi immaginavo un Selvaggio Blu fatto da sentieri poco battuti, ma non di certo di zompettare su distese di affilatissime rocce calcaree, “terrificanti” scale – ma reggerà sta roba? – e ferrate a picco sul mare. Ogni km mi meraviglio della bellezza che ci circonda.

Scendiamo quindi a farci un bagno a Goloritzè. L’acqua di maggio è gelida e davvero poco invitante ma, si sa, la crioterapia fa benone ai muscoli affaticati che pregano pietà per i km ancora da fare.

Foto: Camilla Sebastiani

Quindi ci rivestiamo e ci imbraghiamo, ci aspetta una ferratina a picco sul mare davvero spettacolare. Dopo di che si torna a fare squat e affondi risalendo il fitto bosco di ginepri e lecci verso Cala Mariolu. Qui iniziamo un lungo vertical che mette a dura prova la nostra schiena e le nostre gambe ma non molliamo, stringiamo i denti e, grazie a due pistacchi, riusciamo a raggiungere Piredda, stremati ma felicissimi.

 

Oggi sono davvero provata, il peso dello zaino comincia a farsi sentire e ho anche una FAME NERAAAAAA. Ma ricordiamoci che oggi è anche giorno di rifornimento, nuovi viveri!

“Cosa abbiamo stasera? Te lo ricordi?”. “Ma figurati!”. Così apriamo la nostra sacca e… zuppa! Ma non solo: parmigiano, prosciutto, Loacker e soprattutto acqua. Incontriamo un’altra Guida alto tesina con cui beviamo una birra e scambiamo le reciproche avventure. Sfinita, mi avvolgo nel sacco a pelo, do un bacio a Guidos e piombo in un sonno profondo.

Foto: Camilla Sebastiani

3ª tappa: Piredda – Cala Sisine

Non contenti della tirata del giorno prima, oggi abbiamo un’aspettativa ancora maggiore. L’obiettivo è concludere il nostro Selvaggio passando da Cala Mudarolu, Cala Biriala e terminare a Sisine. Cominciamo percorrendo Bacu Mudarolu, un canyon meraviglioso che sbocca sull’omonima cala. Da qui ripartiamo a 4 zampe, risalendo una pietraia verticale che porta a una cenga, fortunatamente all’ombra, circondata da grotte immense davvero particolari.

 

Poco dopo arriviamo a picco sul mare sopra la famosa “Grotta del Fico”. “Dai caliamoci e andiamo a vederla!”. “Forza, preparati la doppia che vado a vedere se basta la corda”. Ah, che bellezza! La grotta è chiusa, ma già solo calarsi a picco sul mare e fare la mini ferrata per salire ne vale la pena.

Foto: Edoardo Borello

Da qui in poi camminiamo decisi per altri 10 km, a testa bassa facciamo svariati “munta e cala”, augurandoci di arrivare al più presto a Cala Biriala per un bagno rigenerante. Il sentiero per raggiungerla è davvero ardito, la stanchezza dei giorni precedenti si fa sentire, ed ecco il terzo scherzetto: fatichiamo a trovare la via giusta. Dopo vari tentativi Guidos mi chiede di aspettare un attimo e va a verificare se ci sia una calata o meno.

Eseguo immediatamente, perlustrando un po’ in giro, alla ricerca di qualche ometto o roccia calpestata, quando sento Guidos che invoca tutto il Paradiso perché ha sbattuto contro un ramo. Non faccio in tempo a chiedergli se va tutto bene che scendono altri santi perché, alzandosi, ne ha preso un altro nel bel mezzo della testolina. Sento solo: “Sanguino”. “OOOh Maria Vergine Beata, mancava solo questa!”. Corro verso di lui imponendomi di rigettare le lacrime che salgono, sperando che non mi svenga lì. Fortunatamente è solo un taglietto che perde parecchio sangue visto il caldo e il continuo movimento. Disinfetto in un paio di minuti, mettiamo un fazzoletto sotto il cappello e ripartiamo.

Foto: Edoardo Borello

Dopo poco arriviamo finalmente in Paradiso, a Cala Biriala. Acqua cristallina e sassolini bianchissimi ci invitano a fare un tuffo in quel mare stupendo, cosa che facciamo non appena atterriamo in spiaggia. Proprio in quel momento ci chiamano i ragazzi che avrebbero dovuto venire a prenderci a Cala Sisine, dicendoci che sono già per strada e ci recuperano prima. Per questo motivo purtroppo non riusciamo a terminare la tappa prefissata. Ma guardo Guidos e ci confessiamo: “Beh, poco male, vorrà dire che oggi ci godiamo il mare”.

Mai scelta fu più azzeccata: dopo esserci tirati il collo per tre giorni, tutto quello di cui necessitavamo era del tempo in cui apprezzare il “qui e ora”. Anche quando siamo in vacanza corriamo come dei matti, a volte gustandoci solo in minima parte i luoghi magnifici che esploriamo, quindi questa volta ce la siamo goduta. Abbiamo fatto il bagno, finito tutto il cibo che avevamo ancora con noi e riguardato il tragitto affrontato fino ad allora. Che bellezza!

Foto: Edoardo Borello

Dopo un’oretta e mezza circa il gommone è arrivato a recuperarci e, tornando verso Santa Maria, abbiamo potuto vedere tutta la costa percorsa nei giorni precedenti.

Che dire di questo Selvaggio Blu? Magnifico, posti spettacolari ed esperienza unica nel suo genere, che rifarei domani mattina. Ma… NON in autonomia!

 

Guarda cosa ci siamo portati dietro

https://www.4actionsport.it/sardegna-selvaggio-blu-we-did-it-with/

Camilla cresce a Torino dove si laurea in giurisprudenza, frequenta un master in Sport e Business management, ma capisce ben presto che la sua strada la porta in montagna. Dopo anni di Sci club, diventa maestra ed allenatrice di sci alpino e comincia a frequentare sempre di più le montagne che oggi sono casa. Sci alpinismo, alpinismo, trail running ed arrampicata sono le attività in cui spende ogni singola energia e, grazie alle quali, l’ha portata a scrivere ed a collaborare con le diverse aziende del settore outdoor.