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Biomeccanica, posizionamento sulla bici e nuove mode

di - 06/10/2017

Il Tour de France, oltre a essere uno dei più importanti eventi sportivi e ciclistici dell’anno, è spesso un vero e proprio trampolino di lancio per tutte le novità tecniche e anche le “mode” del settore delle due ruote. A tal proposito mi sono arrivate diverse segnalazioni di clienti e amici che mi facevano notare quella che in molti definiscono “la posizione del momento”: secondo alcuni, osservando vari agonisti di alto livello su strada (mi è stato in particolare fatto notare il caso del campione italiano Fabio Aru), ma anche in mtb, c’è la tendenza a ridurre drasticamente il valore di arretramento della sella, andando a pedalare molto “in avanti”, con un baricentro molto più a ridosso dell’avantreno, a discapito, ovviamente, del carico sul retrotreno. Questa scelta, secondo chi me l’ha fatta notare, è dovuta soprattutto al fatto che, riducendo drasticamente l’arretramento, l’atleta riesce a utilizzare maggiormente i muscoli della parte frontale della coscia, i “più forti”, dai quali deriva la maggior parte della spinta propulsiva sulla pedivella. Inoltre, riducendo di conseguenza la distanza tra sella e manubrio, in una cinetica chiusa come quella del ciclismo, inevitabilmente, per compensare tale variazione della lunghezza orizzontale, cresce l’angolo lombo sacrale (si alza la schiena): in questo modo il ciclista può “respirare meglio” in virtù della riduzione della compressione sul diaframma che – ricordiamo – è il più importante muscolo coinvolto nella respirazione. Dobbiamo partire da un presupposto che spesso ribadisco: è veramente molto difficile riuscire a giudicare oggettivamente una posizione, un profilo biomeccanico e una cinetica delle leve osservando un atleta in tv o una fotografia. Una persona esperta nel nostro settore può riuscire a osservare degli errori grossolani di posizionamento, ma se vogliamo realmente ragionare in termini scientifici, quindi più oggettivi, di biomeccanica applicata al ciclismo e allo sport in generale, dobbiamo ammettere che per fare tali valutazioni e renderle, appunto, oggettive, occorrono strumenti specifici. Purtroppo “gli occhi non bastano”.

Difficile quindi giudicare e sapere con certezza se ciò che osserviamo in tv è frutto di una scelta consapevole, o semplicemente una postura assunta nel momento del massimo sforzo, quando tendenzialmente molti sono indotti a pedalare in punta di sella. Detto questo, ammetto che rispetto ad anni fa, quando soprattutto su strada (ma anche in mtb) si stava molto più allungati, vedendo un dislivello “disumano” tra sella e manubrio come un obbligo per coloro che volessero definirsi agonisti, oggi molti atleti, grazie a valutazione biomeccaniche meno empiriche, hanno capito che spesso un assetto estremo, basato sull’aerodinamica, non è per forza il più redditizio. Lo si osserva soprattutto nelle bici e nelle posizioni da crono: uno sforzo massimale, ma oggi, rispetto a prima, le bici e i supporti frontali sono molto più alti con l’obiettivo di permettere all’atleta di respirare meglio. Tuttavia questa variazione non è fatta in maniera indiscriminata, fregandosene di tutto il resto. Gli atleti di alto livello impiegano tempo e risorse per valutare quale sia il compromesso migliore tra tre variabili: l’aerodinamicità, l’ottimizzazione delle leve, l’efficienza fisiologia e respiratoria durante lo sforzo. È quindi sbagliato avere la pretesa di giudicare tramite un’immagine: dietro a ciò che vediamo ci possono essere scelte biomeccaniche ben precise ma, come detto, anche un adattamento posturale dell’atleta in quella particolare circostanza. A ogni modo, non possiamo mai parlare di quella che abbiamo definito “la posizione del momento”, perché ogni atleta ha personali caratteristiche antropometriche, viscerali, muscolari e soggettive, e non è detto perciò che per ognuno di noi, una posizione del genere sia la più redditizia.

Il testo è scritto dal nostro collaboratore Giulio Galleschi, tecnico e biomeccanico

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foto action di Bettiniphoto

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.