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La strada, il ciclista e la legge del più forte

di - 31/12/2018

Il ciclista, non necessariamente l’agonista con la bici da strada super figa e performante è sempre più un soggetto scomodo ed ingombrante. Si discute di stilare pacchetti normativi per proteggere i soggetti deboli della strada, vale a dire i mezzi lenti (e il ciclista è uno di questi), ma anche di rendere più moderne tutte quelle leggi che regolano la circolazione sulle vie di comunicazione per i veicoli: la bicicletta è un cardine del nuovo modo di muoversi. Eppure, andare per strada con il mezzo a pedali, a piedi e con qualsiasi veicolo che sia più lento di un auto è sempre più pericoloso. Muoversi è come attraversare un campo minato, una lotteria, un terno all’otto, una roulette russa.

Facciamo due passi indietro; ieri Strava comunicava ufficialmente i dati di questo 2018 (esclusi il 30 e il 31 Dicembre), l’anno dei record: 10,7 miliardi di km percorsi, in 192 nazioni e per 32 sport differenti, 25 attività caricate (uplodate, come si dice) ogni secondo, dove il ciclismo recita la parte del leone. La maggior parte degli sportivi utilizzano Strava, molti ma non tutti e proprio per questo i numeri sopra citati vanno ben oltre che per comodità, potremmo definire il “fenomeno dello sport”. Muoversi e approcciare una disciplina sportiva è il lite motiv, una moda che è sinonimo di benessere, utile al turismo, alla promozione dei territori. Associamo lo sport alla buona cucina e al buon bere, alla natura. Non possono essere ignorati i numeri di un settore, quella della bici, in crescita costante, che crea posti di lavoro, che attraverso le ebike rinnova il concetto di mobilità urbana. Si dice anche “ la bici e lo sport potrebbero aiutare a far risparmiare sui costi della sanità, uno dei crucci di tutte le legislature”. Bene, prima però è necessario sopravvivere!

 

Eh si, è così, se dopo un’uscita in bici di qualche ora sei ancora vivo e integro è già un successo. In città, al lago, sulle strade montane e su quelle costiere marittime o in collina, ogni volta che ci facciamo una girata è come giocare un jolly. Pedaliamo e corriamo a piedi su strade che sembrano arrivare da un bombardamento. Le nostre vie di comunicazione, statali, provinciali, comunali, distrettuali, sono vecchie e obsolete, anche per i mezzi a motore: forse, per come sono ridotte e per come sono state concepite, andrebbero bene per il traffico che c’era negli anni sessanta! Forse. Le nostre vie di collegamento primario sono le autostrade e questo la dice lunga sul nostro modo di essere e pensare. L’autostrada ti fa raggiungere più velocemente un luogo, con l’auto, con la moto, con il camion. Tutto quello che abbiamo è figlio del boom industriale degli anni 50/60; da li molti rattoppi e pezze, senza mai realmente pensare alle esigenze future. E tutto il resto? Le vie riservate alle bici? Sulle piste ciclabili troviamo bidoni della nettezza urbana, colonnine dell’elettricità, box per gli autovelox: a volte una pista ciclabile si interrompe bruscamente  interrotta dallo zoccolo di un marciapiede. Il pedone italiano (ma anche gli stranieri, i popoli latini in modo particolare) cammina sulle piste ciclabili, con i propri figli, con i passeggini e le carrozzine, con i cani (ogni volta i guinzagli con metri e metri di corda ci fanno sorridere e piangere al tempo stesso). In Italia esistono piste ciclabili e piste promiscue, nessuno o ben pochi conoscono la differenza tra le due e il modo per identificarle. Le piste ciclabili in città sostituiscono i normali parcheggi delle auto, oppure diventano zona di scarico merci. Dai, è la verità. Potremmo andare avanti una giornata intera a fare esempi e non avremmo finito. Comunque è colpa di tutti noi, dei ciclisti, degli automobilisti, dei motociclisti, dei pedoni e dei passeggiatori: siamo ignoranti all’ennesima potenza, maleducati e poco rispettosi l’uno dell’altro. Siamo pieni di ego e la cosa che ci riesce meglio e mostrare il nostro odio, attraverso il quale quantifichiamo il potere ogni volta di più! Il detto “vince chi l’ha più grosso” è sempre valido e attuale. Non importa se fai male e uccidi, l’importante è avere ragione a prescindere, sfruttando la fisicità, sia essa muscolare oppure meccanica.

È così che anche il nostro cervello è fermo a 50 anni a dietro, da lì arrivano le nostre convinzioni e ragioni che abbiamo trasmesso anche alle nuove generazioni. Il ciclista è un somaro, irrispettoso; spesso viaggia in doppia fila anche dove non potrebbe, non lascia la precedenza al pedone sulle strisce pedonali, non rispetta (o lo fa di rado) il rosso dei semafori, si prende dei rischi inutili senza valutare il comportamento di un automobilista. Il vero automobilista è uno stronzo, che ti fa il pelo con lo specchietto, che taglia la strada, che ti chiude contro il guard rail, che ti affianca in curva quando le carreggiate sono ristrette e di fronte a lui procede una colonna di macchine senza fine. Il vero automobilista ha fretta di sorpassare il ciclista che viaggia a 35 kmh in un centro urbano dove il limite è di 50kmh! Si, ha fretta di fermarsi 300 metri più avanti al primo semaforo. L’automobilista se deve svoltare a destra lo fa senza guardare lo specchietto! Prima non esistevano, ma oggi alla destra ci sono le piste ciclabili. Il ciclista agonista che va in gruppo sulla pista ciclabile fa una cronosquadre! E anche questo non va bene.

Siamo tutti coinvolti in questo processo di maleducazione che in questi anni ha raggiunto dei livelli esponenziali ed è destinato a crescere ancora. Nessuno di noi è escluso.

Ah, un altro paio di cose per i ciclisti, quelli “veri” e un pò alla vecchia maniera, quelli che “la bici è roba da duri”: andare senza casco adesso, senza una lucina quando è buio oppure quando c’é la nebbia, non mettere fuori il braccio prima di girare, significa mettersi al pari dell’automobilista che viaggia a 80 kmh in una stradina di paese, con lo sguardo rivolto allo schermo del cellulare!

Viaggiare con qualsiasi mezzo, in totale sicurezza per se stessi e per gli altri è una cosa meravigliosa! Un buon 2019 a tutti ma proprio tutti.

Un grazie a Massimo Tavano per le immagini, scattate in tutta sicurezza durante le uscite in bici.

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.