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Ciclocross Superprestige in Gavere, un sogno che prende forma

di - 14/11/2017

IL CICLOCROSS COME IL RUGBY

Ci avete mai pensato? La bici da corsa come il calcio, il ciclocross come il rugby (in un certo senso è così). Da una parte i soldi, le tv, le tante attenzioni, gli sportivi che diventano delle star, una sorta di ambiente con la faccia pulita anche dopo lo sforzo; dall’altra il fango, lo sporco, l’erba e a volte i segni della lotta, la fatica estrema e la forza ma anche l’onore che si mescola con il rispetto per gli avversari, che è solo una piccola parte del terzo tempo (che esiste anche nel ciclocross). Nel cx gli euro sono inferiori rispetto al ciclismo su strada, quello che uno sportivo di livello medio guadagna nel corso dell’attività non gli permette di sedersi: Sven Nijs, Wout Van Aert e Matthew Van Der Poel sono casi rari.

Il nostro racconto ha l’obiettivo di trasmettere un’emozione particolare, qualcosa di profondo che battuta dopo battuta assume i contorni di un’esperienza che non può e non sarà dimenticata. In realtà, comincia tutto alla fine dell’estate, quando da parte di Ridley Bikes, ci arriva un invito ufficiale per partecipare al lancio della nuova bici top di gamma per il ciclocross, la X-Night SL, in concomitanza con la prova di Gavere, in Belgio e non lontano da Gent, gara che fa parte del challenge Superprestige (per i belgi e olandesi il Superprestige ha il medesimo valore di una prova di coppa del mondo, se non superiore). Telenet Gavere Superprestige Ciclocross è alla stregua di una Parigi Roubaix, di una Milano Sanremo, insomma una delle prove monumento che ogni corridore pro vorrebbe conquistare almeno una volta nella carriera. Questa è una grande opportunità per noi, per capire cosa si nasconde dietro al ciclocross e per iniziare a parlare anche di tecnica dei suoi mezzi meccanici.

 

CI SIAMO, NESSUNO CI PUO’ FERMARE

Venerdì 10 Novembre, si parte alla volta del Belgio, una giornata lunghissima, interminabile, con ritardi su tutti i fronti, aerei, treni, traffico automobilistico congestionato in ogni dove, per una giornata che si conclude a tarda sera a suon di birra, non prima di aver visto l’equipaggiamento che ci supporterà per il fine settimana. Il nostro cavallo di Ridley X-Night SL con trasmissione elettronica, l’abbigliamento Bio Racer come quello dei team nazionali, gli accessori Grip Grab (azienda danese) che supporta anche i corridori del Team Lotto Soudal, una fetta di Italia con le scarpe off road di Gaerne, poi Vittoria, Elite, Cycliq e gli immancabili stivali in gomma, fondamentali per andare a vedere le gare di ciclocross.

LA RICOGNIZIONE DEL PERCORSO

In tutta la zona del Benelux è un’operazione quasi normale, a volte qualche giorno prima, talvolta nel corso delle settimane antecedenti la competizione, in base alla disponibilità degli atleti, da prima a piedi per fare un sopraluogo in bici. Non è raro che diversi atleti, avversari in gara si trovino per pedalare tra loro in compagnia. La nostra volta è stata la mattinata del sabato, una bella camminata lungo i circa 3,5 del circuito, dopo quattro giorni di pioggia intensa. Come detto in precedenza, Gavere è una gara a se, in tutto e per tutto: si snoda all’interno di una zona militarizzata, con un tracciato durissimo che nella parte centrale prevede due salite bestiali e numerosi tornanti in cui emerge l’abilità di guida, la disinvoltura nel non avere paura, “questo percorso non ha bisogno di ostacoli è già abbastanza duro così” ti senti dire.

Il bosco è un turbinio di attività, di persone che allestiscono e si danno da fare, fettucciano, piantano paletti, guidano trattori e quad, mettono le protezioni nei punti più pericolosi: piove, non fa troppo freddo ma il sorriso non manca a nessuno e nessuno ti nega una parola, una domanda. Qui c’è una calore particolare, in alcuni momenti della giornata sembra di essere nelle regioni del sud, dove la confidenza è quasi immediata e c’é gente che questo percorso lo costruisce da più di trent’anni. “ah sei italiano” ti senti dire “grande Pontoni, Bramati, Teocchi, Arzuffi”, sentir parlare di due monumenti come Pontoni e Bramati e di una coppia di ragazze giovani come Alice Arzuffi e Chiara Teocchi, ci fa gonfiare il petto. Si torna in hotel per un piatto di pasta al volo, spaghetti che sembrano tagliatelle e un bel sugo ricco di cipolla prima di andare in bici! Il pasto pre gara non è mai stato così buono ma anche in Belgio la birra prima dell’attività fisica non la bevono.

SI PEDALA COME I PRO

Due ore piene a pedalare e provare il nuovo mezzo, all’interno dello stesso percorso dei pro, con le medesime difficoltà. Siamo trattati come i professionisti ma siamo giornalisti: Italia, Spagna, Francia, Germania, Olanda, USA, Polonia, Norvegia e Belgio, qualcuno con un fisico tirato, qualcuno che sembra essere pronto ad avventarsi su polenta e salsiccia, ognuno con il suo approccio.

Sono sufficienti poche centinaia di metri per infangarsi come non è mai capitato prima in quarantatré anni, con una frase che esce in contemporanea dalla nostra bocca ma anche da quella del collega spagnolo: “questo è il cx in Belgio”. Saranno centoventi minuti intensi, perchè il terreno è esigente e prevede tanti tratti da affrontare a piedi, si scivola, il fango entra ovunque (si, ovunque) e ogni due giri al massimo è necessario passare dai box a far lavare il mezzo. Ci sono già curiosi ed appassionati lungo le zone più tecniche del tracciato e arrivano anche i ragazzini a provare.

I più piccoli stanno dietro nei tratti pedalati ma ci sverniciano dove è necessario far correre la bici, l’abilità e la mancanza di cognizione la fanno da padrone. Quando incontriamo degli junior non c’è storia: noi non andiamo piano (dobbiamo metter la ruota davanti allo spagnolo) ma questi vanno il doppio. Alla fine ci concediamo il lusso anche di giri a dieci minuti netti ( i pro, il giorno successivo, faranno poco sotto gli otto minuti). I parcheggi esterni iniziano a riempirsi di camper e roulotte, di auto.

UNA INTERA GIORNATA DI GARE

La gara pomeridiana dei pro è solo la punta di un iceberg, di una giornata agonistica che parte fin dalle 9,30 della Domenica mattina. prima tutte le categorie giovanili, maschi e femmine, poi gli U23, donne elite e alla fine i pro. In una prova Superprestige i partecipanti sono trentadue/tretatre. Belgi, olandesi, tedeschi, francesi, un giapponese, c’é il nostro campione italiano Gioele Bertolini tra i big, la nostra Arzuffi tra le donne, un giovane tra gli under 23. Le batterie si susseguono con una pausa di circa un’ora tra l’una e l’altra, le attività tra i box sono intense. Poco alla volta arrivano i camper dei corridori professionisti, tutti ragazzi alla mano che sono considerati al pari dei calciatori in Italia (per fare un esempio). Tanti fans club (anche per donne e ragazzi U23), tanti team più o meno conosciuti anche da noi in Italia e tanto personale che ruota attorno alle squadre. La maggior parte degli staff è composto da amici, gente affettivamente legata all’atleta e fans, solo in pochi sono effettivi e pagati dal sodalizio. Per alcuni aspetti il mondo del ciclocross è due volte più frenetico se paragonato al ciclismo su strada, tempi corti, ristretti e tante da cose da fare. Dalla ricognizione alla partenza passano pochi minuti e un percorso del genere obbliga a cambiare la bici, il vestiario, a mantenersi caldi per fare un’eccellente partenza (fondamentale per l’andamento della gara), obbliga a partire correttamente idratati e alimentati. Ci ha colpito l’atteggiamento degli U23 che fanno parte del vivaio dei team più importanti, che nell’immediato dopo gara vanno a riferire condizioni del terreno e impressioni agli atleti della categoria superiore.

La foto qui sopra si riferisce alla partenza dei pro.

L’immagine qui sopra si riferisce al podio della gara femminile.

IL FASCINO DELLA DIVISA INFANGATA

Ogni gara di Domenica 12 Novembre finisce con il fango che copre bici, gambe e volti, per non parlare dei pantaloncini e maglie. Lo sporco in una situazione di fatica estrema, come quella che obbliga il percorso di Gavere, è un qualcosa che assume i contorni affascinanti della sfida, che condisce il racconto di chi ha vissuto l’evento sul campo ma anche in tv. Ovviamente il ciclocross non è solo questo, una disciplina che può anche essere più umana e approcciata in un contesto alla portata di molti ma del fango, il ciclocross non ne può fare a meno, perché tutti si ricordano le facce pietrificate dalla terra ormai asciutta, come la conquista di una tappa d’alta montagna epica in un grande tour.

Credits photopress.be e redazione tecnica

 

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.