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Granfondo dei Sibillini, lo sport vince sempre

di - 17/07/2018

Passeggiamo per le vie di Caldarola, nella calda estate ci ritornano in mente le immagini delle edizioni passate. In centro storico i ciclisti e i loro accompagnatori si affannavano per trovare posto in uno dei ristori tipici della zona; un via vai dall’unico albergo limitrofo alla struttura del Pasta party. Le operazioni effettuate presso la Scuola Media dove l’organizzazione e la sua struttura poneva il quartier generale per 3 giorni. La strada davanti a noi si stringe per le strutture di legno che rinforzate da travi in acciaio abbracciano in una fredda morsa le mura maltrattate dal sisma. Non una persona a piedi, le serrande tristemente abbassate dei bar e della Gelateria.

Ovunque le transenne metalliche a delimitare la tristemente nota “Zona Rossa”. Finestre e porte sbarrate a X con robusti listelli quadrati di legno. Camminiamo sul ghiaino a bordo carreggiata, segno evidente dell’abbandono. Un paese morto, silenzioso. Ecco, il silenzio, profondo, rotto solo dal passaggio delle rare auto che proseguono sulla statale per Sarnano. Un silenzio impressionante che più di tante parole, più di tante immagini di desolate mura sbrecciate è lapide ed epitaffio. Il cuore della piazza è presidiato da due Chiese, una fronte all’altra. Entrambe apparentemente integre ma le macerie ammonticchiate da un lato di fronte alla Torre campanaria e un grosso camino con un cima la Croce stanno lì a dirci che sotto la garza la ferita è aperta. L’altra Chiesa sfoggia un reticolo di cavi e sbarre di acciaio che sostengono quello che resta del piccolo campanile, senza campana. Non un’anima viva per il borgo, i vetri chiusi e talvolta sigillati con nastro.

Il paese c’è ma è solo un ologramma sbiadito del festante centro alla vigilia di una delle più anziane corse amatoriali d’Italia. Saliamo lenti verso il nostro agriturismo che sovrasta di un centinaio di metri Caldarola. Solo le cicale rompono l’afa della sera. Piano piano le luci della cittadina sotto di noi si accendono con il loro pallore giallo, sono i lampioni delle strade. Le case restano buie, i tetri confini definiscono la sagome oscure negli ultimi atti del tramonto. Nella montagna di fronte a noi notiamo un altro piccolo agglomerato di case dal cui centro spicca un campanile. A lungo tutto resta anonimo, spento, quasi a volersi nascondere; poi piano piano qualche bagliore ma anche qui sono solo le vie illuminate da pochi lampioni. Il rombo lontano di una grossa moto testimonia che esiste, verso il fondo della valle, la civiltà. Ripensiamo meditando alle case vuote, cinte da reti e cartelli sinistri “Pericolo di crollo”; qualche gioco da bambini che emerge da ciuffi di erba; pochi oggetti nel cortile frutto di studiato abbandono. Solo l’orto è perfettamente curato, la vigna rigogliosa di verdi grappoli. La natura con deciso passo tenta di riprendersi lo spazio liberato dall’uomo. Pochi mesi e il colore vivo delle mura è già cinto d’assedio da edera e alte erbe.

Non è passato poi tanto tempo, però a fatica ricordiamo il dramma, le lacrime di chi si è visto cadere il mondo addosso, di vite strappate assieme ai ricordi di generazioni. Un immenso patrimonio del ‘600 e ‘700 spazzato via e ancora disperatamente esposto al cielo con grandi buchi aperti nelle pareti. Non fa oramai più notizia, troppi mucchi di rovine hanno saturato l’immaginario. Qualche segno della volontà di ripartire nelle villette di legno che come una litania introducono agli ospiti ogni borgo. Alcune attività ripartite in baite stile trentino o in più brutali container. La gente non si arrende ma si sente sola, in un muro la “Madonna del Burocrate” guarda severa. La nostra storia aspetta risposta in questa terra ballerina ma ferma nella sua orgogliosa volontà di riscossa.

granfondodeisibillini.it

testo e foto a cura di Enrico Monti

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.