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Granfondo e i granfondisti come erano e come eravamo

di - 22/04/2020

granfondo e granfondisti

Le granfondo e i granfondisti come sono cambiati in questi ultimi 20 anni. Istantanee, pensieri e considerazioni, ma anche speranze e un pizzico di voglia di non prendersi troppo sul serio, con tanta voglia di tornare a pedalare vento in faccia.

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L’immagine di apertura

Una foto di apertura, quella di Bettini che si scalda rullando. Emblematica. Siamo al Giro d’Italia 2007 e questa foto dice molto. Anche per i pro non c’erano gli smart trainer, i kit di abbigliamento non erano così ciucciati nella vestibilità e si usavano ancora le ruote basse. Le granfondo, ma quanto sono cambiate e quanto sono cambiati gli attori principali, i granfondisti. Bello o brutto, in meglio o in peggio, giusto o sbagliato è segno di un’evoluzione che porta con se la necessità di adeguarsi per fare sempre parte del gruppo.

La bicicletta è uno stile di vita e una necessità

La bicicletta è come la libertà, non la puoi togliere. La bici e le granfondo sono una necessità, fanno parte della vita di un granfondista. A lui puoi togliere il piatto da cui sta mangiando (il bicchiere di vino oppure la birra è meglio di no), ma la bici e quella boccata d’aria no! Quelle cose non le potete e non lo dovete togliere. La bici è un modo di vivere la vita. Ti assorbe e ti prosciuga, ti entra nella pelle e diventa parte del tuo quotidiano. Condiziona te e la tua famiglia, non di rado le vacanze sono programmate con il soggetto bici. Imposti la giornata a seconda di quello che vuoi (e devi) fare con la bicicletta. Mangi e dormi in base ai ritmi dettati da quella forgia con i pedali. Aggiorni la tua immagine e sei fiero di essere ciclista; l’abbronzatura, le cicatrici e segni che ti porti dietro sono la tua carta d’identità. Sei disposto a spendere per la bici e meno per rifare lo stock di mutande, i cui elastici chiedono pietà e sono ai limiti dell’età pensionistica. In oltre venti anni ( sono di più ma per comodità scriviamo 20) ne abbiamo viste di tutti i colori eppure le granfondo fanno parte del nostro credo.

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Una volta

Generalmente quando racconti e inizi la frase con “una volta”, significa che la barba bianca ha preso maggiore spazio rispetto a quella nera ( i capelli, bianchi, ci sono ancora). Andando un po’ a ritroso nel tempo, ci ricordiamo delle calze corte al limite dell’osso della caviglia, delle scarpe senza la suola in carbonio (oppure c’erano le prime che ti facevano bollire i piedi anche al 15 di Dicembre) e anche dei pantaloncini con una lunghezza “normale”. La maglietta estiva aveva un taglio comodo, ti trasmetteva un senso di comfort a prescindere, quel non so che di “arieggio”. Però, se ci sudavi sopra tre o quattro, lavandola male, sapevi di carogna tu e la maglia. Più o meno le taglie erano standard e una M copriva un’ampia schiera di misure toraciche (e di panza). Anche se avevi un filo di panzetta, facevi la tua porca figura e la gamba mediamente tirata in estate faceva la differenza.

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La guerra al pettorale basso e fare i paraculi in griglia. Sempre uguale

Un granfondista sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di avere un pettorale basso. Ma torniamo a noi. Gli occhiali coprivano a mala pena la zona degli occhi: si usavano le lenti arancioni (inguardabili, davvero inguardabili per colore associato alla forma). Però, era un “arancione bottiglia Fanta”, che alla prima occhiata di sole un po’ intensa, ti folgorava via le retine! I design dei caschi erano già passati nell’essere vasi da notte (anni 80 e metà 90), a baionette con mille spigoli e punte degne del tridente di Poseidone, in barba ai concetti attuali che vogliono il casco arrotondato per spalmare le forze negative in caso d’impatto. Non di rado le loro fibbie ti facevano la barba; tornavi dal giro in bici rasato, come aver passato una Gillette. E poi c’era la bandanna! Con la scusa di usarla per limitare la caduta del sudore negli occhi, ci siamo messi intesta delle robe acriliche al limite della decenza. Terminato il giro e levato il copertone dalla testa, andavi alla scoperta de mondo sconosciuto che aveva proliferato tra i tuoi capelli, sempre ci fossero ancora.

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Bici e barrette

Granfondo e granfondisti, circuitari e scalatori, avere due bici era ormai uno standard, ma con un tir di ruote pronte per ogni evenienza. La concezione era:” quella dei rulli e per l’inverno, quella da salita che di solito era quella figa e nuova. Comparivano le prime aero (degne di questo suffisso) in carbonio (chi si ricorda la serie KG di Look? Beh all’epoca era roba bona). Acciaio, alluminio, oppure ibride: acciaio con il carro in carbonio, alluminio con il carro in carbonio. Se volevi risparmiare qualche grammo e farti bello al cospetto degli amici, la forcella doveva essere in composito. Telai in carbonio si, alcuni buoni, altri davvero improbabili, con il piantone e il carro posteriore che sventolavano come una bandiera. Ruote in carbonio, arrivavano le prime tutte in composito, ma le più gettonate erano quelle con pista in alluminio e profilo incollato. Pesavano una tonnellata (senza gomme). C’era ancora la cultura di farsi fare le ruote dal cantinaro, dall’amico e da quello che aveva fatto il meccanico per i pro negli anni 30 (così raccontava lui)! E, ogni tanto, ti ritrovavi in gruppo con quelli a cui saltavano i raggi (avete presente quando si spaccano gli spaghetti? Ecco, uguale). Un passo indietro alle ruote in full carbon: quelle per tubolari erano affidabili, quelle per copertoncino erano al limite della decenza e spesso, durante una staccata lunga in frenata, ti facevano esplodere la camera d’aria. Tanti saluti. Le bici con i dischi erano le mtb e non tutte. Le barrette avevano gusti che non si possono raccontare. La loro costruzione partiva dalla malta cementizia zuccherina. Un’azienda aveva azzardato le barrette salate: gusti Parmigiano, prosciutto cotto (abortire missione prego). I primi gel! Meno male che Strava non era neppure un’idea, i Kom si facevano grazie alla reazione chimica che avveniva all’interno del corpo.

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Prima ciclo fighetti e poi ciclisti

Dai, diciamo la verità! Fare le granfondo oggi è un costo importante. Il viaggio, la trasferta nella sua totalità, l’equipaggiamento e tutto quello che è la bici. Costa parecchio, ma si sa che la passione non ha prezzo. Non vale più il detto “l’omo ha da puzzà”. Se ti presenti un pelo sfigatello vieni guardato con disprezzo, da sotto quegli occchialoni che coprono i visi scavati di chi eroga 7w/kg. Watt come noccioline, carbonio, graphene e lattice. Power meter sulla bici e sotto pelle per fare a gara a chi l’ha più grosso. Computerini che sembrano televisori e che ti insultano quando la tua prestazione cala. Per un periodo abbiamo visto le radioline! Cribbio, le radioline per vincere la pummarola del discount (qualche volta con data prossima alla scadenza)  Non esiste più l’olio canforato ma la crema con l’ossigeno che si attiva una volta a contatto con la cute sudata. Più sudi e più sai di fresco! Questa è davvero lo spot del secolo. Cioè, mi faccio lo Stelvio a tutta e profumo di bacche di Goji, fammi capire! Con i vestiti moderni la pelle esposta alla luce è davvero poca. Il limite dell’abbronzatura della calza è poco sotto il ginocchio, quella del pantalone è poco sopra. Ergo, si abbronza il ginocchio. E le braccia. Braccia è un grosso aggettivo, sprecato nella maggior parte dei casi, arti superiori come bacchette da sushi! Salopette, shirt e anche gli antivento sono strumenti per il sottovuoto e non lasciano nulla all’immaginazione. Non tanto per la parte bassa, ma per il rotolino benessere che qualcuno porta in dote. Prima si andava un pò all’avventura, facevi la gavetta e magari tornavi con qualche ambizione. Oggi tutti imparati fin dalle prime pedalate, umiltà poca e l’obiettivo di diventare influencer su Instagram!

granfondo e granfondisti
Chi si ricorda, quando ci si poteva iscrivere alla Maratona delle Dolomiti, a Maggio.

Le granfondo e i granfondisti una specie da tutelare

Alla fine, chi più, chi meno si sente un po’ granfondista e se sei un ciclista, almeno una volta nella tua carriera ciclistica ti ritrovi a fare una granfondo. Il ciclista, magari vincente nella gare a circuito, anche lui, un paio di volte l’anno va a dare una sbirciatina a qualche granfondo (non dimenticare la calza al polpaccio, mi raccomando). Oppure l’ex pro che si re-inventa e dopo aver classificato i granfondisti come “amatoracci”, “esaltati”, “gente senza senso” (a volte a giusta ragione) etc. etc. etc., ora adotta ogni soluzione possibile per attirare verso di se questo pubblico così variegato e multipolare, sempre pronto ad ascoltare di tutto (e a fare di tutto). Che sagome che siete voi ex pro che vi proponete sui social! Ma d’altronde anche voi dovete mangiare e collocare il vostro ruolo! Però, guardando qualche vostro video, qualche comparsata in tv o su YouTube, in pochi avete la bontà e la capacità di capire cosa è realmente un amatore; cos’é un granfondista. Il vostro ruolo è un impegno e un obbligo. Voi avete il dovere di insegnare e trasmettere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Se invece volete giocare le vostre carte, prendendo per il culo (in modo più o meno celato) i granfondisti e le granfondo, cercate di restare nel vostro limbo e godervi quella sana invidia, condita dal rispetto che un granfondista proverà sempre nei vostri confronti.

Granfondo e granfondisti, gente normale

Il granfondista, quello vero, era ed è una persona buona, forse perché arriva sfinito dopo la pedalata e dopo la giornata lavorativa. Probabilmente perché conosce bene il valore del compromesso, l’importanza del far collimare la passione con le esigenze della vita, della famiglia. Il granfondista ama la fatica e sa benissimo che prima dell’agonismo viene la passione. Era così una volta, è così oggi e sarà così anche in futuro, con o senza watt.

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a cura della redazione tecnica, foto di Sara Carena

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.