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Non chiamateli campioni, chiamateli ciclisti

di - 12/11/2018

Il ciclismo amatoriale è anche quello delle maglie che simboleggiano un primato, perché come ogni sport e disciplina sportiva, esprime dell’agonismo. Il ciclismo degli amatori “stipendiati”, in qualche modo supportati e sponsorizzati, “quelli che fanno la vita di un pro”, è solo una piccolissima parte del mondo amatoriale.

foto di Sara Carena

Quella che si è scatenata nei mesi scorsi e che rimbalza ancora adesso, principalmente sui social, ha tutta l’aria di essere una battaglia di poveri! Si, è proprio così, una battaglia di poverelli, nessuno escluso, protagonisti, operatori del settore, ma anche perfetti sconosciuti (a cui probabilmente piace pedalare solo con la lingua ed esprimersi attraverso la tastiera del pc). Ci piacerebbe comprendere meglio, se chi consegue un primato ha delle colpe! Ci ritroviamo a commentare, criticare e “pesare” quelli che vincono i titoli nelle categorie amatoriali. Ma scusate, che colpe ha il vincitore, che sia di un mondiale, di un titolo nazionale, oppure continentale, che sia della regione, della provincia o del quartiere? Un ente mette in palio una maglia e chi prende parte si deve sentire in colpa! Non ha senso.

foto di Sara Carena, Granfondo Tre Valli Varesine

Un amatore, in parte anche un professionista, possono scegliere se prendere parte ad una competizione oppure no. Proprio tra gli amatori ci sono quelli che gareggiano con l’obiettivo di conseguire il risultato massimo, quelli che si buttano nella gara per il puro di gusto di partecipare e di godere dallo spirito agonistico, quelli che competono per stare con gli amici e quelli che gareggiano perché hanno pagato il biglietto (hanno pagato l’iscrizione e si sentono in qualche modo obbligati). Se vinci sei colpevole! Questo è il messaggio che passa facendo la somma di buona parte dei commenti. Una barzelletta che ha il sapore dell’invidia, dell’incapacità di interpretare, del puro gusto di scrivere e di avere ragione a tutti i costi; talvolta è sembrato di aver a che fare con individui ( o presunti tali) che hanno l’obiettivo di lasciare un segno del proprio passaggio.

foto di Sara Carena

È vero, talvolta ci presentiamo alle gare, che siano granfondo, gare a circuito di paese, oppure in mtb (chi scrive in questo momento è anche agonista, partecipa alle gare e lo fa per piacere, per diletto, associando la passione ad una parte dell’attività lavorativa) e troviamo una serie di maglie di campioni, che dieci arcobaleni non sarebbero sufficienti per contenere lo sfoggio di colori e ti domandi: “ma dove sono finito”! però, se sei un amatore e hai vinto quella maglia fai bene ad indossarla: è un tuo diritto e anche un tuo dovere. Sei un campione italiano Acsi, Csain, Fci, lo sei nella categoria dei veterani, oppure dei senior, significa che quella competizione l’hai vinta e meriti un applauso a prescindere. È altresì vero, che tanti sportivi che indossano queste maglie si comportano male, si pongono e propongono in modo errato, spesse volte altezzosi e supponenti, trasmettendo un’immagine sbagliata, che va oltre il singolo individuo ma coinvolge, di riflesso, un’intera categoria: quella del ciclismo amatoriale. Questi praticanti si gonfiano il petto, pretendono, comandano, gli viene dato credito ma, criticare una maglia e una vittoria, è cosa ben diverso che commentare il modo di fare. Lo sport in genere è sinonimo di agonismo, competizione, grinta. La voglia di primeggiare è insita nell’essere umano, che sia professionista oppure amatore: partecipare è bello e gratifica, così come vincere. In molti si dimenticano che è il mondo amatoriale che tiene in piedi le aziende che producono bici, accessori, equipaggiamenti: l’amatore è utilizzatore, quello che compra e spende i soldi. Per ogni campione degli amatori che gareggia con materiale fornito gratuitamente (sono un numero esiguo), ci sono almeno 100 ciclisti che spendono degli euro. Parliamo in modo negativo delle aziende che investono, poco o tanto nel mondo amatoriale e poco nei settori giovanili! Giusto, dobbiamo parlare di questo ma dobbiamo farlo prendendo il singolo individuo ( quello che indossa la maglia di campione tra gli amatori) come capro espiatorio.

foto di Sara Carena

Però ci viene da dire: tra televisione pubblica e quella privata, facendo una somma, quanti sono gli eventi amatoriali trasmessi e quanti quelli giovanili? Il rapporto è di tre ad uno. Se critichiamo il ciclismo degli amatori, dobbiamo fare lo stesso per le squadre di calcio che giocano in promozione; perché non inondiamo di critiche la maggior parte dei giocatori di rugby, sono quasi tutti tesserati in sodalizi amatoriali, oppure chi gioca nei team di basket in terza, quarta categoria. Per non parlare delle categorie masters nel nuoto, nel triathlon: quest’ultima disciplina, proprio grazie agli appassionati è cresciuta in modo esponenziale, per volumi e fatturati. Per non parlare dell’universo sportivo femminile, dove la maggior parte delle tesserate, a prescindere dalla disciplina, lo è come master!

foto redazione tecnica durante la Liegi-Bastogne-Liegi 2018

Nessun amatore praticante dovrebbe essere paragonato e chiamato “campione”! non lo è, non lo siamo. L’amatore ciclista è un appassionato a prescindere, uno che può anche arrivare da qualche esperienza dalle categorie giovanili, U23, magari con un passato tra i pro ma rimane pur sempre un amante della bicicletta a cui è rimasta la passione per la fatica, un amore per lo sport, per una disciplina sportiva che ti entra nella pelle. L’invidia e l’incapacità di valutare le diverse situazioni sono simbolo di ignoranza tanto quanto porsi male nei confronti degli altri.

 

 

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.