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Via col vento una storia di René Enzo Piccinni

di - 27/01/2021

Via col vento una storia di René Enzo Piccinni

Il vento è una forza invisibile… Dalla bava di vento, passando per la brezza, il vento forte e la burrasca. Un buon ciclista ne conosce tutte le varianti ed è particolarmente attento e sensibile alla direzione, sopratutto a quella contraria. Via col vento è un racconto appassionato del nostro René Enzo Piccinni.

Via col Vento, non c’é bici senza vento

Il ciclismo vive nel vento, presenza immateriale che ci accarezza ed accompagna nelle lunghe discese, ci porta un po’ di freschezza nelle salite faticose. Il vento favorevole è una sensazione piacevole e indescrivibile: amico silenzioso ci spinge, ci rende leggeri e potenti, moltiplica le pedalate e cancella la fatica. Col vento alle spalle si viaggia veloci, sembra di volare davvero… Ma quando il vento ci viene incontro, quasi a volerci fermare, tutto cambia: la fatica si moltiplica, si ha la sensazione di pedalare a “vuoto”, senza risultato. Il vento diventa nemico, avversario invisibile e straordinariamente forte, ci fa ondeggiare e spegne la forza delle nostre pedalate.

Via col vento una storia di René Enzo Piccinni

L’angolo di imbardata

E’ un concetto che non conoscevo e che ho trovato descritto, in modo ammirevole, nel libro Cycling Science, del giornalista e scrittore sportivo Max Glaskin. “Immaginate di appendere un filo di seta al vostro reggisella – scrive Max Glaskin – e quindi di uscire in bici dirigendovi verso nord. Dando per scontato di essere in una giornata priva di vento, vedreste il filo teso dietro di voi, puntare verso sud, allineato alla ruota posteriore. Immaginate adesso che il tempo cambi improvvisamente e il vento soffi da ovest. Questa nuova forza agirà sul filo di seta, spingendolo verso sudest e aprendo un angolo tra il filo e la direzione sud della ruota posteriore. Ecco, questo è quello che definiamo “angolo di imbardata”.

E´evidente che l’angolo di imbardata esiste solo se il vento è contrario o laterale rispetto al senso di marcia della bici, poiché se spinge nella stessa direzione l’ipotetico filo di seta andrebbe nella stessa direzione della bici. L’ angolo di imbardata è il responsabile dei famosi “ventagli” che si formano nelle corse ciclistiche quando c’è il vento laterale , che provoca i “frazionamenti” del gruppo, con distacchi e ritardi che spesso caratterizzano le classiche del Nord. Più il vento è laterale rispetto alla direzione di marcia della nostra bici più l´angolo di imbardata si allarga. Studi ed analisi in galleria del vento hanno dimostrato che questo angolo diminuisce progressivamente con l’aumento della velocità. Questo è un fatto intuitivo che ogni ciclista ha sperimentato trovandosi ad affrontare raffiche laterali e, più in generale, la forza del vento.

Via col vento una storia di René Enzo Piccinni

Telai e forme (suggerite dal vento)

In anni non troppo lontani si parlava con insistenza di telai “idro-formati” che prendevano forma dagli studi di fluidodinamica, da simulazioni nelle gallerie del vento e che diedero vita alle prime tubazioni ovoidali, ai manubri affusolati, a forme nuove della bici, dei telai e dei componenti per ridurre gli attriti, per penetrare al meglio nell’aria. Ricerche e sperimentazioni hanno portato, anche, alla realizzazione di nuovi materiali per l’abbigliamento, per i caschi protettivi e allo studio della posizione ideale del ciclista in sella. Secondo il costruttore di bici l’angolo di imbardata solitamente va dai 5 ai 15 gradi. Il risultato è che le bdc sono disegnate e costruite per questi angoli di imbardata, ritenuti ottimali.

La vecchia progettazione a 0° di imbardata non è quella ideale perché – statisticamente – il profilo non è mai a incidenza nulla; allora si è affermato il criterio di progettare, teorizzando angoli di incidenza del vento vicini ai 10°. Un profilo disegnato e progettato con questi angoli di vento laterale può anche produrre una spinta positiva, nel senso di marcia, come accade in mare con una vela di bolina, capace di avanzare controvento.

Una delle simulazioni provate all’interno del wind tunnel. In questo caso i test sono stati eseguiti con Ferdi, una sorta di manichino che sostituisce il ciclista, anche mimando il gesto atletico.

Quando la penetrazione dello spazio e la ricerca di essa non esisteva

I ciclisti trascorrono la maggior parte del loro tempo pedalando con angoli di imbardata (vento latero-frontale ) compresi tra -10 e +10 gradi. Questo è un punto di partenza nella progettazione dei telai aerodinamici, caratterizzati da affusolati piantoni verticali che, col contributo della ruota posteriore e dei pneumatici creano quel fantastico effetto “bolina”, un’autentica “spinta” in avanti che regala un po’ di velocità in più! Via col vento, per l’appunto….. E siamo anche in tema di Coppa America.

La ricerca in campo ciclistico sì è orientata sempre maggiormente verso la leggerezza e l’aerodinamica. A conferma basta osservare le forme assunte da ruote, telai, manubri: nessuno spigolo, tutto è ispirato alle forme dell’onda, a curve armoniche capaci di penetrare il muro dell’aria. Oggi, tutti i telai più evoluti sono progettati secondo questi criteri ed il temutissimo vento laterale fa un po’ meno paura, almeno dal punto di vista del telaio.

La posizione in sella e l’aerodinamica, via col vento

Quando siamo lanciati ad alte velocità, in pianura, l’ostacolo maggiore che incontriamo è la resistenza dell’aria. L’aria non si tocca, non si stringe tra le mani, ma si comporta come l’acqua. Più aumenta la velocità, più aumenta la difficoltà per penetrarla e viene richiesta più potenza. Per questo in bicicletta, soprattutto nelle prove a cronometro e nelle volate è fondamentale diminuire il più possibile la resistenza aerodinamica. Si può lavorare sui materiali, sulle “forme” della bici, ma rimane fondamentale l’insieme “bici-ciclista”.

In questo insieme, il corpo del ciclista rappresenta la superficie più ampia (60 – 70 per cento della resistenza aerodinamica totale) ed è quindi il fattore maggiore che contribuisce alla resistenza all’aria. In fatto di materiali possiamo utilizzare biciclette idro-formate, body appositamente studiati per “scivolare” meglio contro l’aria e caschi affusolati.

La posizione in sella è fondamentale nell’affrontare il vento

Ma ripetuti studi condotti in strada e nella galleria del vento hanno confermato che è fondamentale la capacità di stare con il capo “incassato” tra le spalle, con la visuale di fronte nel senso di marcia. E questo spiega, almeno in parte, i differenziali tra le quote “sella-manubrio” che si riscontrano tra i Professionisti, che avvinghiati alla bici riproducono la forma di un onda affusolata. La risposta migliore, per far fronte al vento contrario, consiste nel migliorare e abbassare il Cx (Coefficiente di resistenza aerodinamica): i costruttori di bici hanno fatto del loro meglio, a noi ciclisti il compito di trovare la posizione ideale. Un ex professionista e grande cronomen, semplificando diceva che “hai trovato la posizione migliore, quando non senti più fischiare il vento nelle orecchie”.

La scia

Un corpo immerso in un flusso d’aria, come un ciclista che pedala, modifica la velocità dell’aria nelle sue vicinanze creando quella che impropriamente viene chiamata “scia”. Un ciclista e/o una macchina, o una moto, modifica il flusso dell’aria tutt’intorno a sé. La differenza di pressione fra il davanti e il dietro del ciclista genera la resistenza dell’aria (o forza di drag, aggettivo e concetto tanto utilizzato nello sviluppo delle nuove generazioni di ruote, che a prescindere dal profilo ricercano una minore resistenza all’aria).

L’effetto vuoto, in assenza del maledetto drag

Alle spalle del ciclista si crea una sorta di “vuoto”, uno spazio dove la forza di drag si riduce notevolmente: è la zona prediletta dai “succhiaruote”, che pedalano al riparo dal vento. Prove su strada hanno dimostrato che pedalando, in assenza di vento, dietro-moto (ad una distanza di un paio di metri) la resistenza all’aria si riduce del 45 per cento circa (drag reduction) con un vantaggio di circa 12 secondi al minuto, per un ciclista che viaggia a 50 km/h! Anche questo è Via col vento. Oh no!

Via col vento una storia di René Enzo Piccinni

Uno studio universitario ci racconta che…

Sull’effetto scia esiste uno studio dell’Università di Eindhoven – condotto da un ingegnere appassionato di ciclismo (il Prof. Bert Blocken) – che ha indagato, anche, gli effetti della presenza delle moto e delle ammiraglie in corsa. “Se sei molto vicino alla motocicletta hai meno della metà della tua normale resistenza all’aria – scrive Blocken – e l’effetto quindi è veramente enorme». L’ingegnere belga sostiene che anche le macchine al seguito hanno un effetto “trainante” per il ciclista ed ha proposto una modifica al regolamento dell’UCI, che prescrive una distanza minima di 10 metri tra il ciclista e l’ammiraglia al seguito . Blocken solleva anche una questione di sicurezza e afferma che : «È assurdo che una macchina possa stare a soli 10 metri di distanza, perché se il ciclista davanti cade … la macchina dietro non ha lo spazio per fermarsi”.

La presenza di moto e ammiraglie al seguito è da sempre un argomento controverso. Tour de France, Giri d’Italia e molte “classiche” sono state decise da distacchi di pochi secondi , che sarebbero dovuti allo sfruttamento delle “scie” e alla presenza inopportuna di auto e moto al seguito troppo vicine a certi corridori… Laurent Fignon, campionissimo francese, con cronometro adombrate da questi dubbi ha perso (per pochi secondi) un Tour e un Giro d’Italia. Anche il vento ha i suoi segreti.

a cura di René Enzo Piccinni, immagini di Sara Carena e Tissot (Giro d’Italia) e credits presenti nelle relative immagini.

4actionsport.it

Alberto Fossati, nasco come biker agli inizi degli anni novanta, ho vissuto l'epoca d'oro dell'off road e i periodi della sua massima espansione nelle discipline race. Con il passare degli anni vengo trasportato nel mondo delle granfondo su strada a macinare km, facendo collimare la passione all'attività lavorativa, ma senza mai dimenticare le mie origini. Mi piace la tecnica della bici in tutte le sue forme, uno dei motivi per cui il mio interesse converge anche nelle direzioni di gravel e ciclocross. Amo la bicicletta intesa come progetto facente parte della nostra evoluzione e credo fermamente che la bici per essere raccontata debba, prima di tutto, essere vissuta.