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Prova Ritchey Outback: ampi orizzonti

di - 07/08/2025

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foto: Martina Folco Zambelli/HLMPHOTO

Chi più in alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna”.
È una frase che chi frequenta la montagna conosce bene e nella quale spesso riconosce le motivazioni che lo spingono a cercare l’alta quota. Non importa se ai piedi ci siano scarponi da trekking o scarpette da bici, lo sguardo che spazia e ampi orizzonti sono forse gli ingredienti più magici e la migliore ricompensa delle nostre fatiche.

Preambolo

La mia prima gravel è stata una Ritchey Swiss Cross, che acquistai dopo averla guidata in un bellissimo giro, sui sentieri nei boschi dietro Friedrichshafen, durante una vecchia edizione di Eurobike. Si trattava di un’uscita organizzata dalla factory californiana, dedicata a una manciata di giornalisti: a pedalare in mezzo a noi, anche il Baffo in persona…

Avevo già avuto modo di incontrare Tom Ritchey diverse volte, in passato. Ma era capitato sempre durante qualche fiera, in abiti “civili”, e non ero rimasto particolarmente impressionato, anche perché nella mia lunga vita con la penna in mano, i “padri fondatori” della Mountain Bike li avevo conosciuti più o meno tutti.
Ma quella volta è stato diverso. Vederlo in sella alla sua bici XL, con il completino un po’ morbido, compagno di mille avventure e i riccioli al vento è stato come entrare in una di quelle sue foto che avevo visto decine di volte, e diventare parte della storia che raccontava.

Fatto sta che, di ritorno da quella giornata indimenticabile, decisi che quella bici nera con le gomme tassellate, il manubrio da strada e l’Ultegra, con la quale avevo pedalato al suo fianco, sarebbe stata la mia bici. E così cominciò la mia fase gravel.

L’avventura ha le ossa d’acciaio

Questo preambolo per dire che ho un rapporto particolare con le biciclette firmate dal Baffo e che con i tubi in acciaio c’è anche qualcosa di più.
Da quel lontano giorno in terra germanica ne è passata di acqua sotto i ponti e le biciclette alla voce “Gravel” sul catalogo Ritchey si sono triplicate. Alla Swiss Cross si sono infatti affiancate – in ordine cronologico – la Outback e la Ascent. La prima, con la sua discendenza Ciclocross, e l’ultima, declinazione a pedali della van life, stanno agli antipodi del mondo gravel. La Outback è, naturalmente, il ponte fra queste due estremità: nata per il bikepacking, è una bici tuttofare, versatile, con cui pedalare sui sentieri tecnici della Valchiavenna Gravel Escape o farsi 250 chilometri di ciclabili, con attaccate un paio di borse, per andare al BAM.

La Ritchey dei puristi

Ci sono biciclette che fanno venir voglia di partire. E ci sono biciclette che sembrano già a metà del viaggio, anche appoggiate al muro. La Ritchey Outback appartiene alla seconda categoria. Non se la tira, è discreta, quasi schiva, ma basta salirci per capire che nulla è stato lasciato al caso. E soprattutto che questa bici, a modo suo, è una compagna silenziosa, fedele, resistente. Una specie di coltellino svizzero su due ruote.

La Outback è il “Gravel secondo Tom”. Nell’interpretazione più pura di uno che non ha mai smesso di credere e costruire biciclette in acciaio (qualche peccato lo ha commesso anche lui, vero, ma se ne è subito e profondamente pentito). E meno male. Perché è proprio quell’anima old school, fatta di tubazioni sottili e a spessore differenziato, di congiunzioni eleganti, di geometrie intelligenti, che dà a questa bici il suo carattere unico.

Come ogni Ritchey, anche la Outback può essere acquistata solo come frame kit – telaio, forcella, sere sterzo – e costa 1.600 euro e spiccioli (non è poco, conveniamo con voi). Questo allestimento lo ha scelto Piergiorgio de La Stazione delle Biciclette, il nostro pusher di Ritchey: gruppo SRAM Apex 1×12 con cassetta SRAM Eagle 11-50 (per cavarsi dai guai praticamente in ogni situazione), ruote Ritchey WCS Zeta GX e gomme Vredestein Aventura da 44 mm. Tutto il resto proviene dal catalogo Ritchey a garanzia di affidabilità e robustezza, anche se la sella Skyline WCS l’ho subito sostituita con la mia Prologo Dimension AGX, più corta e ben rodata.

Affidabilità, semplicità, comfort

Appena ritirata, la Outback mi ha guardato e mi ha detto: “Tu dimmi dove, io ti ci porto”… Le ho risposto di portarmi un po’ ovunque, a fare il Gravel che piace a me, quello che prende tutte le sfaccettature che stanno fra il Cross Country e la randonnée.

Rispetto alla Swiss Cross, ha carro e interasse più lunghi e uno sterzo più aperto, movimento centrale più basso e stack maggiore. Caratteristiche che privilegiano il comfort, la stabilità, l’assorbimento e la guida con i bagagli.
Su strada è confortevole, composta e rigorosa. Non scatta, ma avanza senza incertezze. In off-road tira fuori la sua vera natura: un’elasticità rassicurante che filtra le asperità e fa dimenticare i numeri. Stabile sullo sconnesso, anche quando la si lascia correre, e abbastanza agile. Il telaio è ben bilanciato e accompagna docile. È una macina chilometri, non c’è bisogno di spingere, basta lasciarsi portare.

La forcella in fibra di carbonio ha tripli attacchi su ogni fodero e passaggio cavo interno per un eventuale mozzo con dinamo. A proposito di attacchi, sul telaio ci sono quelli per i portapacchi/parafanghi e quelli per tre portaborraccia. Da notare che, rispetto al modello precedente, il cavo del cambio non corre più sul top tube, ma segue il tubo obliquo e il fodero catena: una soluzione adottata su richiesta dei bikepacker, che dovevano fare i giochi di prestigio per fissare le borse da telaio al tubo orizzontale. Meglio che niente, nell’attesa che anche Tom “il conservatore” si decida a far passare i cavi all’interno del telaio.
Non è una bici leggera (10,270 kg senza pedali), ma non è ciò che le si chiede di essere. È pensata per essere comoda, efficace, piacevole e per durare. E per raccontare qualcosa di noi, strada dopo strada, giorno dopo giorno.

La nostra opinione

Tutto, sulla Outback, sembra pronto al viaggio, o meglio, all’avventura. Anche il passaggio ruota, che permette di montare pneumatici fino a 48 mm su cerchi da 700, o 2.0” se si opta per i 650. Non è solo una gravel, ma un invito ad andare lontano, a dimenticarsi del traffico, del tempo e dei programmi perfetti.
La Ritchey Outback è una gravel che guarda lontano. Non è la più leggera o la più veloce, ma è sicuramente una delle più oneste: costruita per durare, pensata per esplorare, comoda anche dopo ore di pedalata. È una gravel dedicata a chi non cerca solo performance, ma vuole soprattutto scoprire cosa c’è oltre la prossima curva.

SCHEDA TECNICA

Telaio: acciaio, tubi Ritchey Logic a triplo spessore con trattamento termico, saldati a TIG
Forcella: Ritchey Carbon Adventure, fibra di carbonio, cannotto da 1-1/8”
Gruppo: SRAM Apex, 1x12V, guarnitura 40, cassetta Eagle 11-50
Cockpit: Ritchey, attacco manubrio Classic C220, manubrio Butano WCS
Ruote: Ritchey WCS Zeta GX, lega leggera, profilo 19 mm, canale da 25 mm
Gomme: Vredestein Aventura, 700 x 44 mm (max 700 x 48 mm, 650 x 2.0”)
Peso (rilevato): 10,270 kg (telaio 2,175 kg, taglia L, dichiarato)
Prezzo: 1.625 euro (4.000 euro, allestimento in prova)

GEOMETRIA (taglia L)
Stack: 587 mm
Reach: 390 mm
Foderi: 453 mm
Interasse: 1.070 mm
Angolo sella: 73°
Angolo sterzo: 71°
BB drop: 68 mm
Taglie: XS, S, M, L, XL, XXL

Per info

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.