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Prova Basso Astra

di - 31/10/2022

bici da strada basso astra vista laterale in movimento in curva

Foto Martina Folco Zambelli | HLMPHOTO

Non avere i riflettori puntati addosso può essere un vantaggio: si lavora meglio, concentrati sul risultato e con meno pressione addosso. E, spesso, si raggiungono ottimi risultati, come nel caso della Astra, che pedala all’ombra della Diamante.

La virtù sta nel mezzo e anche la Astra sta nel mezzo del catalogo delle road bike Basso. Non è un caso: nasce per essere una bicicletta equilibrata, che fonde prestazioni e facilità di guida. Dalla sorella prima della classe, Diamante SV, prende la forcella dritta, il disegno del telaio e l’approccio alla strada. Caratteristiche orientate alla performance, che però mixa con altre doti, indispensabili per poter essere pedalata in modo efficace e goduta da un pubblico di ciclisti che non ha (più) voglia di salire su una bici race.

Affari di famiglia

In Basso ci tengono molto a sottolinearlo: anche il telaio Astra è costruito a mano in Italia. Non è un dettaglio, per chi apprezza certe cose, come non sono un dettaglio la buona finitura generale, la qualità della verniciatura (con il logo cangiante, come vuole la tendenza attuale…) e la pulizia delle linee, ancora più leggere rispetto alla Diamante SV. Un risultato ottenuto anche grazie al design del tubo sterzo, sviluppato in simbiosi con l’attacco manubrio e gli spessori in carbonio.

La soluzione di fissaggio del reggisella, invisibile sul telaio, si avvale di un sistema integrato sul retro del piantone. Si chiama 3B Clamp System Gen 2 ed è composto da una plancia in acciaio vulcanizzata che ospita tre viti, le quali agiscono su un spessore interno al tubo che blocca il cannotto. Un sistema leggero e resistente, che secondo i tecnici Basso permette di attutire le vibrazioni, aumenta il comfort (specie su fondi irregolari) e, di conseguenza, facilita la guidabilità.
Il family feeling di Astra con le sorelle race è evidente, pur se il telaio presenta differenze di design nella parte anteriore del top tube e nel tubo piantone. Quest’ultimo è meno aero e più rastremato nella zona inferiore, anche per garantire una maggior elasticità verticale con l’obiettivo di migliorare il comfort.

Comfort e reattività

Rispetto alla Diamante, la fibra di carbonio utilizzata per costruire il telaio della Astra paga qualcosa in termini di peso, pur trattandosi di materiale di ottima qualità. La scelta è infatti caduta su una fibra 3k Torayca HM (cioè ad alto modulo), che è un mix fra T700 e MR60. La bicicletta, nel nostro montaggio SRAM Force eTap AXS con ruote Microtech RE da 38 mm, ha fermato l’ago della bilancia a 8,460 kg, un numero effettivamente non entusiasmante, ma che non deve essere solo preso per quello che è, bensì valutato su strada.

Leggendo i valori delle geometrie delle due biciclette si capisce subito dove i progettisti Basso hanno lavorato per forgiare il carattere della Astra: 386 mm e 587 mm sono i valori rispettivamente di reach e stack (per la taglia 56 del nostro test), che confrontati con i 385 mm e 591 mm della Diamante SV ci dicono di una posizione in sella meno estrema. Confermata dal tubo sterzo di 180 mm (contro 156 mm). Gli angoli di sterzo e sella sono uguali e fissati entrambi a 73,5°, mentre il carro della Astra è leggermente più corto (402 mm contro 406 mm). L’interasse, generoso, raggiunge i 1.000 mm esatti.
I due modelli condividono anche il passaggio ruota, che permette di montare pneumatici fino a 32 mm, dichiarazione di ecletticità e versatilità, per masticare senza problemi le più disparate condizioni di fondo.

Conclusioni

bici da strada basso astra vista dall'alto in movimento

Il bello della bicicletta è che i freddi numeri che la descrivono si trasformano poi in sensazioni, una volta che varca la porta della redazione e mette le ruote sull’asfalto. E la strada ci ha raccontato tante cose buone di questa Astra, soprattutto che ha tenuto fede alle promesse. È stata disegnata per offrire piacere di guida attraverso il bilanciamento di ingredienti che sono la reattività, la precisione, la prevedibilità e la facilità.
Cominciamo da quest’ultimo aspetto, molto importante per una bicicletta di questo tipo. Ci vuole poco per prendere confidenza e sentirsi la bici “sotto”. Astra è bilanciata, maneggevole e docile.

In salita il peso non dà fastidio e a ogni colpo di pedale la bici risponde pronta, sia da seduti sul dritto, sia sui pedali nei tornanti. Le ruote sono scorrevoli, abbastanza rigide e assecondano bene i rilanci e gli scatti, sarebbe interessante provarla con una coppia dal profilo medio/alto, che migliorerebbe la capacità di fare velocità. Non mi è molto piaciuto il feeling trasmesso dal manubrio, soprattutto in presa bassa, come se il suo diametro fosse piccolo. Una situazione a cui porre facilmente rimedio sostituendo il nastro di serie con uno più consistente. Le quote della ciclistica non mentono: stabile e ben piantata a terra, in curva dà sicurezza e segue le traiettorie con precisione, senza tuttavia opporsi quando le si chiede di correggere.

In discesa è un piacere, diverte e si guida senza fatica. Anche dal puto di vista del comfort, l’obiettivo è stato raggiunto e in sella si sta bene anche sulle lunghe distanze e sui fondi meno scorrevoli.
Certo, esistono bici più leggere, più aero, più reattive, però il piacere di guida che la Astra sa offrire è da riferimento. Più la pedali, più ti viene voglia di pedalare.

SCHEDA TECNICA
Telaio/Forcella: fibra di carbonio 3k Torayca HM
Trasmissione: SRAM Force eTap AXS, guarnitura 48-35, cassetta 11v 10-36
Ruote: Microtech RE38 in fibra di carbonio, tubeless ready
Pneumatici: Continental Ultra Sport 28 mm, tubeless ready
Peso rilevato: 8,460 kg
Prezzo: da 3.649 euro (6.169 euro il modello in prova)

GEOMETRIA (tg 56)
Stack: 591 mm
Reach: 385 mm
Angolo sella: 73,5°
Angolo sterzo: 73,5°
Foderi: 402 mm
Avancorsa: 590 mm
Interasse: 1.000 mm

CI PIACE
– Efficacia su strada
– Versatilità
– Rapporto qualità/prezzo

NON CI PIACE
– Feeling manubrio

 

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.