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Made in Milano

di - 15/02/2024

Foto: Martina Folco Zambelli HLMPHOTO

Era dal 1980 che una Cinelli non era disegnata e partorita fra le stesse mura. Da un po’ di mesi, però, questo accade: sotto i lucernari dei capannoni di Caleppio, non solo sono concepiti, ma vengono anche al mondo i telai Nemo.

Una decisione importante

Romantico pragmatismo o pragmatico romanticismo…” Senza scomodare WS – come lo chiamerebbero oggi, che si tende a ridurre tutto a sineddoche –, questo dilemma ha forse aleggiato per un po’ negli uffici in cui si guida il gruppo Columbus, nella periferia industriale a est di Milano.
Alla fine, chi decide ha scelto la busta numero uno, quella in cui erano raccolte le linee guida di una importante decisione, che avrebbe fatto muovere un storico passo a Cinelli, nell’era post-Colombo. La scelta di portare in azienda la produzione dei telai in acciaio della serie Nemo.
Un motivo più che sufficiente per una trasferta a Caleppio di Settala. La prima del nuovo corso, firmato Victor Luis.

A farci gli onori di casa sono un’amica di lunga data, Francesca Luzzana, e Ludovico Pignatti, direttore creativo di Cinelli e già collaboratore di Antonio Colombo nel decennio del rilancio del marchio (quante altre Case al loro interno hanno questa figura?). Mi fa sempre un certo effetto varcare quella soglia: si respira un’aria diversa da quella che aleggia nelle altre factory. Se non ci fossero telai sparsi qua e là, pensare di essere in un’azienda di bici sarebbe forse la meno probabile delle opzioni.

Un buon compromesso

Ludovico ci spiazza, sotto alcuni aspetti: saldare in casa è stata una scelta in un certo senso rivoluzionaria per Cinelli e che, se a uno sguardo superficiale può apparire assolutamente romantica, è anche estremamente pragmatica. All’utente finale importa poco che i telai siano realizzati qui e a mano: non si tratta di un lavoro artigianale, cosa che forse avrebbe un certo appeal, perché tutti i telai sono uguali e fedeli alla tabella delle geometrie: anche se si parla di piccoli numeri e benché i telai siano fatti a mano, si tratta pur sempre di produzione di serie.
Non che la componente romantica manchi, anzi. L’idea di riportare in casa la costruzione e la saldatura dei telai è molto romantica, ma se non racchiudesse alcuni vantaggi altrettanto significativi dal punto di vista aziendale, non si sarebbe mai realizzata.
Quali? Primo fra tutti, la coesistenza e il continuo dialogo fra progettisti, meccanici e saldatori porta alla realizzazione di prodotti migliori e a una reattività nei processi, altrimenti impossibile. Poi, tempi di produzione ridotti e quindi miglior servizio al cliente in termini di tempi di consegna e rapporto post-vendita. Infine, una filiera produttiva più corta e integrata, che si traduce in una impronta di carbonio assai inferiore e a processi di produzione più sostenibili.
Un buon compromesso, quindi, fra romanticismo e pragmatismo, che si traduce anche in un numero, quello minimo di telai che si devono realizzare ogni mese: 40.

La squadra a cui è stata affidata la missione è il classico duo. A formare la coppia sono in questo caso Dario e Christian. Il primo è un nome che dovrebbe dire più di qualcosa agli appassionati, agli amanti del metallo. Dario Colombo è infatti il Don Quixote di Bice Bicycles, che ha lasciato per scrivere questa nuova pagina della storia di Cinelli. Christian è il suo fidato scudiero e, un giorno, sarà anche lui cavaliere.

Il Paese delle Meraviglie

Apriamo l’enorme portone coperto dal murales in bianco e nero di Zio Ziegler, dietro il quale si cela il nostro Paese delle Meraviglie. A fare strada non c’è il Bianconiglio, ma Francesca. Superiamo l’officina e una schiera di bici vecchie e nuove, reduci da avventure o pronte ad affrontarne, e dietro l’angolo ci sono non Pincopanco e Pancopinco, ma Dario e Christian, che non si somigliano nemmeno un po’.

Il loro territorio è una zona un po’ appartata nel capannone dove si trafilano, fra gli altri, anche i tubi Columbus Spirit HSS con cui si costruiscono i telai Nemo. Nell’aria c’è la musica di Rino Gaetano. Christian è anche il responsabile della colonna sonora dell’officina, ma Dario non è molto in sintonia con i suoi gusti. Nuntereggae più… appunto.
Christian sta puntando i tubi di un telaio in dima e Dario sta carteggiando le saldature di un telaio finito. “La parte più pallosa di questo lavoro”, confessa. Intorno a loro un tornio, una fresa, tre macchine per la sgolatura a nastro, le bombole per il TIG, due maschere e una rastrelliera con una ventina di telai ultimati, che attendono il trattamento termico. Sul muro campeggia una scritta “Bad words make good bikes”. Molto Cinelli.

Lavoro di squadra

Da Bice a Cinelli – chiedo a Dario – com’è stato il passaggio? Si sente il peso della storia di un marchio così, quando si prende in mano il cannello e si abbassa la maschera? “Più che altro, sento il peso del mio lavoro, nel senso che voglio far bene ciò che so fare. Poi è chiaro che quando costruisci bici per un marchio così, pensi a ciò che rappresenta nel mondo e agli occhi dei ciclisti. L’importante è rendersi conto che, da sola, la storia non basta e non porta lontano. Bisogna continuamente alimentarla: il presente deve diventare storia e portare nel futuro”.
Qual è l’aspetto che più ti piace di questa nuova vita? “Lo stretto contatto con creatività e fornitori, che permette di sperimentare e valutare i risultati in tempi strettissimi. Un esempio è lo yoke che oggi utilizziamo sui foderi dei Nemo. Un’idea che è nata e ha preso forma da un confronto interno. Di solito, il primo faccia a faccia è fra telaista e meccanico: Willy, che monta le bici, è il primo ad accorgersi se qualche soluzione potrebbe essere migliorata. Un altro esempio? Il passaggio interno dei cavi SRAM nella scatola del movimento – un casino – che ci ha portato a modificarne le dimensioni…
Il passo successivo è parlarne con la produzione, perché sono loro che verificano la fattibilità delle nostre proposte. Altre volte sono invece loro a fare il primo passo, i problem solver. Infine c’è il passaggio con i designer, che affinano e infiocchettano come si deve”.

Ci vuole orecchio

Dario finisce il suo lavoro di cesello con la carta e si prepara per cominciare a saldare i telai che Christian ha puntato. Cambio interlocutore e stuzzico lo scudiero: ogni tanto Dario ti lascia toccare la sua attrezzatura? “Qualche volta, se abbiamo un po’ di tempo, mi fa fare una saldatura ma sotto stretta sorveglianza… Sono ancora alle prime armi e, se quando si tratta di puntare i telai in dima, sgolare e forare me la cavo bene, per imparare a saldare come lui ci vuole tempo. Saldare è un’arte, bisogna essere precisi, delicati e sensibili. Poi bisogna avere orecchio…” Orecchio? chiedo io. “Certo. Bisogna prendere il ritmo ed entrare con la bacchetta nel momento più alto, quando l’arco si crea. Tic… Tic… Tic…”.
Allora raccontami della tua specialità, come si mette insieme un telaio – lo incalzo. “Comincio dallo sterzo, attacco le calottine e poi lo metto in dima, Poi, dopo aver sgolato tutti i tubi, compongo il triangolo e infine punto il carro, così da non creare tensioni nel telaio”.

Nel mentre, Dario ha acceso il cannello e ha cominciato a saldare. Tic… Tic… Tic… In effetti è proprio così, se ascolti con attenzione (senza la musica di Christian in sottofondo) si percepisce il ritmo che scandisce il lavoro del “capo”. Quali sono i punti più difficili da saldare, chiedo a Christian. “Le zone in cui c’è meno spazio, ossia l’interno del nodo sterzo e il nodo sella, dove i foderi incontrano il piantone”.

Un futuro da costruire

Dario interrompe il suo lavoro, spegne il cannello e solleva la maschera. “Sai qual è il problema? – dice – Questo è un lavoro duro e nessuno lo vuole fare. I ragazzi non vogliono stare otto ore in piedi, con la schiena piegata. Mi piacerebbe che qui fuori ci fosse la fila degli studenti degli istituti tecnici o dei professionali, che vogliono venire a imparare questo mestiere. Ma non funziona così… Sono stato, qualche tempo fa, in un istituto e ho fatto una domanda semplice ai ragazzi: cosa vorreste essere da grandi? La maggior parte si è divisa fra rapper, youtuber e boh. Solo uno, africano, ha risposto davvero: vorrei fare un lavoro che mi piace ed essere felice”.
Visto che Dario si era interrotto e che Christian stava ascoltando il suo racconto, ne abbiamo approfittato per farli posare e fotografarli in stile Daft Punk, anche per riportare, con un pizzico di cattiveria, il discorso sulla musica e sui gusti discutibili (secondo Dario) di Christian.

Esaurita la discussione musicale fra Pancopinco e Pincopanco, ecco comparire di nuovo il Bianconiglio Francesca che, con l’orologio in mano, ci chiede di seguirla e ci riconduce, attraverso la porta murales, nel mondo esterno.
Il giorno si era nel frattempo fatto sera. Mentre Francesca, tornata nei suoi panni ci salutava e, a bordo del nostro furgoncino, uscivamo dai cancelli, ci chiedevamo se Carroll lo sapeva che il Paese delle Meraviglie esiste davvero e non è sottoterra, in un bosco sulle rive del Tamigi, ma in un capannone nella periferia a est di Milano.

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.