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Corsica, non basta mai

di - 02/08/2023

Ho scoperto la Corsica tardi. Molto tardi, ma non troppo tardi. Ci sono stato lo scorso anno per pochi giorni, quattro o cinque, pedalando nei dintorni di Ile Rousse, Saint Florent, Belgodere – nella regione della Balagne – e anche un pochino verso Nord, sul dito. Tornato a casa mi sono ripromesso che quello sarebbe stato solo un assaggio di un piatto che avrei gustato tutto, senza rinunciare nemmeno alla scarpetta, anche se i miei genitori mi hanno insegnato che “non è educato e non si fa”.
Grazie a un bel feeling con l’ufficio del turismo corso, siamo tornati anche quest’anno. Ero contento perché avrei potuto affondare un’altra volta la forchetta e recuperare un po’ del tempo che non ho avuto in passato. Ora capisco chi ha fatto anni ad andare in Corsica, ma capisco un po’ meno chi ha fatto anni ad andare in Corsica, sempre nello stesso posto.

Una storia seria

Riesco a trovare esaltante anche l’attesa per l’imbarco… Siamo in fila sul piazzale del porto, sotto al gigantesco traghetto bianco e giallo, accanto a schiere di furgoni, quasi tutti con targa straniera. Vecchi VW T3 con le cicatrici di mille battaglie, impeccabili T6 con i sedili in pelle e il tetto a soffietto elettrico e poi tutto ciò che sta nel mezzo (e anche a lato), compreso un camion ex-esercito e un 4×4 ex-Dakar, che per issarsi a bordo c’è una scaletta…
Mi piace sbirciare dalle porte aperte. Sono curioso di scoprire come sono fatti, dentro, questi van e immaginare che tipo di avventura vivrà chi li guida e li abita. C’è l’umanità più varia, coppie giovani, coppie di lungo corso, single con i cani, famiglie al completo i cui bambini scalzi e seminudi si rincorrono. Ci sono van allestiti come camper, altri che sembrano un ripostiglio mai svuotato, letti veri, materassi gonfiabili, file di LED che cambiano tonalità con l’umore del guidatore e lucine prese in prestito dall’albero di natale. La maggior parte dei furgoni hanno le bici aggrappate ai portelloni, qualcuno anche altri giocatoli per divertirsi in mare, che in effetti sta tutto intorno all’isola francese.
All’apparenza sono perone e situazioni molto differenti, ma in fin dei onti sono più simili di quanto si possa pensare. E ad avvicinarli, oltre al desiderio di avventura e di natura e di selvatitudine, è una passione smodata per le Birkenstock.
Per quanto riguarda me, sono ancora con le ruote della macchina sull’asfalto del porto di Livorno e non ho le Birkenstock, ma già sento, forte, il profumo di Corsica. Che è una storia seria me ne accorgo quando sbarco a Bastia e il cuore batte un po’ più forte.

Un ottimo spunto

Rispetto alla prima volta sull’isola, per una trasferta che aveva lo scopo di conoscere un territorio ben definito. La missione di questa secondo viaggio era diversa: avremmo dovuto seguire le prime due tappe della GT20, una randonnée di 4 giorni, che attraversa tutta la Corsica, partendo da Bastia e puntando all’estremo sud, fino a Bonifacio. Se si è allenati a sufficienza per mettere sotto le ruote 598 km e 10.047 m di dislivello in quattro giorni, la GT20 è sicuramente uno dei modi migliori per scoprire buona parte di quest’isola, se invece si ha più tempo e, soprattutto, meno allenamento, il tracciato della GT20 può diventare un ottimo spunto per creare la propria tabella di marcia. Prendendosi anche il tempo per vivere i paesi (e le spiagge) che si incontrano lungo il percorso, che si snoda per la maggior parte del chilometraggio all’interno dell’isola.
Il nostro approccio è stato una via di mezzo fra i due. Ritmi serrati e orari scadenzati per i primi due giorni e andamento lento gli altri due. Abbiamo avuto l’accortezza di sbarcare a Bastia 48 ore prima della partenza della GT20, condizione che ci ha permesso di dedicare una giornata intera alla città dopo una puntata di esplorazione e shooting, verso Nord, a Cap Corse. Bastia è bellissima e chi ama il fascino decadente delle città di mare con una lunga storia da raccontare, vale tutto il tempo che le si dedica.
Se il primo viaggio in Corsica aveva i colori del mare, questo ce li ha mostrati solo lungo le strade della prima tappa e verso la fine della seconda, ma è soprattutto in questi chilometri che mi ha lasciato senza respiro. Le imponenti scogliere su cui è tagliata la stretta strada che si contorce fino a raggiungere Porto sono indescrivibili e meriterebbero ritmi molto più blandi e anche una prospettiva al contrario, cioè dal mare. Mare che dopo due giorni di tempo burrascoso ci ha voluti convincere che stavamo facendo la cosa giusta, con un tramonto che nemmeno l’intelligenza artificiale avrebbe potuto comporre.

Un’isola, cento facce

Che ogni dieci chilometri la Corsica possa mostrare volti differenti lo avevo intuito, ma che potessero essere così diversi, al punto di chiedersi se non fossimo finiti in un altro film, l’ho realizzato quando abbiamo cominciato ad addentrati verso le montagne. La strada che da Porto sale al passo di Vergio, oltre a essere una salitone da mettere in bacheca, offre scorci incredibili e una natura che definire selvaggia è riduttivo, al punto che da un momento all’altro ci saremmo aspettati di vedere comparire la testa di un brontosauro ruminante, come in Jurassic Park… Ogni cinque chilometri sembrava di cambiare nazione, prima le foreste della Svizzera, poi le guglie delle Dolomiti e i canyon dell’Arizona. Per tacer del traffico: gli incontri sono in media di una macchina ogni mezz’ora, da aggiungere a qualcuna accartocciata e abbandonata al ciglio della strada (chissà se colpa del modo in cui guidano i Corsi o di qualche masso precipitato dalle rocce incombenti).
Alla fine, i dinosauri non li abbiamo incontrati, però abbiamo capito chi sono i veri padroni di queste strade. Capre, mucche e maialini neri sono presenze più ricorrenti rispetto agli automobilisti. Sono sparpagliati lungo la strada, da soli o in gruppi, che camminano o riposano beati nel mezzo della carreggiata, appollaiati su un paracarro o in equilibrio (in apparenza precario) su un costone di roccia così scosceso che ti chiedi come 250 kg di carne e corna possano fare manovra e tonare indietro… Ecco perché quando al termine delle salite ci sono invitanti discese, è sempre meglio tenere le dita sui freni e non lasciarsi prendere troppo dall’euforia.
I ritmi della GT20 ci fanno tirare dritti fino a Corte, seguendo fedelmente il tracciato, per poi abbandonarlo facendo rotta a Nord-Est per rientrare a Bastia. I paesini, i baretti sulla strada, gli empori fuori dal tempo, i tagli di luce, i vicoli, le persone e i cani sono immagini che scorrono rapide e non fanno in tempo a imprimersi nitide nel cervello, ma alla fine si sommano diventando abbastanza forti da lasciare sensazioni che li riassumono. Sensazioni che danno vita a un’idea e forme a un’atmosfera che vorresti vivere, e nel preciso momento in cui lo pensi, ha già deciso che ci sarà una prossima volta. Sarà così ogni volta e non potrai più farne a meno.

Il percorso della GT20
Tappa 1: Bastia, Tour di Cap Corse, Patrimonio (107 km)
Tappa 2: Patrimonio, Galeria, Porto (192 km)
Tappa 3: Porto, Corte, Ghisoni (139 km)
Tappa 4: Ghisoni, Levie, Bonifacio (152 km)

⌈ Un consiglio gastronomico a Bastia
⌈ Un consiglio per dormire a Bastia

Foto Martina Folco Zambelli | HLMPHOTO

Mi piacciono le biciclette, tutte, e mi piace pedalare. Mi piace ascoltare le belle storie di uomini e di bici, e ogni tanto raccontarne qualcuna. L'amore è nato sulla sabbia, con le biglie di Bitossi e De Vlaeminck ed è maturato sui sentieri del Mottarone in sella a una Specialized Rockhopper, rossa e rigida. Avevo appena cominciato a scrivere di neve quando rimasi folgorato da quelle bici reazionarie con le ruote tassellate, i manubri larghi e i nomi americani. Da quel momento in poi fu solo Mountain Bike, e divenne anche il mio lavoro. Un lavoro bellissimo, che culminò con la direzione di Tutto MTB. A quei tempi era la Bibbia. Dopo un po' di anni la vita e la penna parlarono di altro, ma il cuore rimase sempre sui pedali. Le mountain bike diventarono front, full, in alluminio, in carbonio, le ruote si ingrandirono e le escursioni aumentarono, e io maturavo come loro. Cominciai a frequentare anche l'asfalto, scettico ma curioso. Iscrivendomi alle gare per pedalare senza le auto a fare paura. Poi, finalmente arrivò il Gravel, un meraviglioso dejavu, un tuffo nelle vecchie emozioni. La vita e la penna nel frattempo erano tornate a parlare di pedali: il cerchio si era meravigliosamente chiuso.