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di Onde Venti e Monumenti

di - 27/02/2024

o della Grotta del Saraceno

Testo di Mario Trave
Foto: Mario Trave | Fabio Ventriglia 

La ‘Grotta’ è per i più un secret italiano, visibilissimo da Google Earth in uno dei suoi mood migliori.
Surfato da 30+ anni, è considerato uno dei points sinistri più belli d’Italia, con frangenti che possono superare i 300 metri di lunghezza.

Faccio parte di quella generazione che vedeva le previsioni meteomarine sul televideo, e conservo da 25 anni un libro in fotocopia “Abruzzo, 60 alberi da salvare”, di un autore, Valido Capodarca, che ha dedicato la vita a mappare alberi monumentali in Italia, a definirne le caratteristiche (fisiche e culturali che fossero), e a promuoverne un riconoscimento giuridico.

Google Earth, acquisizione del 3 novembre 2022, Vasto, Abruzzo, Italia. La mattina presto era meglio, c’era il vento da terra.

Se sembra scontato a chi legge che gli alberi monumentali siano tutelati come beni naturali, culturali, e del paesaggio, dico che fino al 2008 (quando cioè viene inserita, con la modifica dell’art. 136 del D.lgs. 63, la dicitura ‘ivi compresi gli alberi monumentali’), erano considerati, a livello normativo, legna da ardere, roba “vecchia, senescente, seccaginosa, marcescente”.

Per campanile, scrivo pure che l’iter di protezione dei patriarchi parte dall’ Abruzzo nel 1971 con Franco Tassi e pochi altri pionieri, e che è questa protezione è ancora lontana dall’essere realizzata.
Matvejevic nel suo Breviario scrive che “gli abitanti del Mediterraneo parlano meno di onde che di venti, forse per il fatto che gli ultimi influiscono maggiormente sugli stati d’animo, in definitiva sulle parole stesse’.
Immaginate lo stato d’animo e le parole alla scoperta 6 mesi fa di un progetto da 3,5 milioni di euro che chiuderà completamente la baia del Saraceno con barriere frangiflutti, cancellandone per sempre l’onda con un intervento sovradimensionato, vecchio per tecnologia e modalità, in una delle spiagge più belle d’Italia.

“Attività commerciali in ginocchio”, si è letto sulla stampa locale, a giustificazione dell’intervento.

Da satellite, nella prima immagine si vede la spiaggia in concessione nel lato nord, i recinti di due proprietà in croce nel lato sud, e nessuno in ginocchio. Sempre nella prima immagine, è evidenziato il movimento della linea di costa dal 2004 a ieri utilizzando lo storico delle immagini in archivio GE, non i servizi segreti.
Nella seconda immagine (qui sotto), si vedono gli italici ombrelloni in serie nella zona verosimilmente dichiarata “in ginocchio”, è una immagine del 2010 e la secca è sostanzialmente uguale a quella di oggi.

Nella terza immagine di seguito, cio che è stato approvato.
Da un punto di vista tecnico, nonostante dubbi sollevati da professionisti di ambito, possibilità di utilizzo di tecnologie meno impattanti, il supporto di (alcuni fra i massimi) esperti in materia sulla necessità di un approccio completamente diverso, il progetto sembra inattaccabile.

Ma se non si riesce a contrastare un progetto come questo da un punto di vista tecnico, è possibile difendere uno dei più bei surf break italiani in quanto surf break?
E’ possibile riconoscere eccellenza monumentale di un luogo in virtù della sua onda? Esiste un appiglio normativo per salvaguardare un surfbreak come patrimonio naturale, monumentale, e come risorsa sportiva, socioeconomica e culturale? Esiste in Italia una strategia propositiva che provi a generare norme o meccanismi via via progressivamente sostanziali di protezione e tutela del frangente come elemento costitutivo degli ecosistemi costieri e marini, per prevenire minacce future?

Risposta breve: no.
E se qualche studio legale volesse farsi sentire ben venga che siamo disperati, e c’è da essere disperati del fatto che ogni onda italiana è potenzialmente in pericolo perchè, di fatto, non esiste.

Nonostante le onde intese come ‘frangenti’ siano un elemento essenziale per il mare, componente fondamentale del sistema naturale, condizione, icona, nonostante diano forma alle coste, le ‘onde’ non esistono in senso normativo, non sono oggetto di riconoscibilità giuridica come patrimonio e risorsa naturale e culturale.

Men che meno esiste giuridicamente il concetto di surf break; se un surfbreak è quella striscia del litorale dove, grazie alla combinazione positiva di fattori di idrodinamica marina, meteorologia e morfologia costiera, si generano onde con una forma adatta per la pratica del surf, non esiste menzione in nessuna norma, e pur considerando che la maggior parte delle coste non producono onde surfabili, quando lo fanno c’è un vuoto, perchè un surfbreak giuridicamente non esiste: i surfisti, sostanzialmente, non hanno luogo.

Foto di Fabio Ventriglia

Eppure esiste dagli anni ‘90 una mappatura documentale certa di larga parte degli spot italiani, (come parte del processo di mappatura e codificazione degli spot su scala mondiale) sviluppata da un gruppo di surfers-ricercatori che ruotavano attorno alla rivista Surf News e che ha strutturato, relazionandosi con le comunità locali, una localizzazione certa e una classificazione dimostrata, e dimostrabile, delle caratteristiche – codificate, comunicabili con un linguaggio condiviso su scala globale – e della specifica idrodiversità di ogni spot mappato: tipo di onda, finestra swell, stagionalità, periodo, tipo di frangente, fondale, venti funzionali, maree, canali di accesso, pericoli, ecc.

E’ grazie a quella mappa se esiste oggi la possibilità di avere 100.000+ persone che si muovono nel bene e nel male alla ricerca di onde da un spot all’altro, con previsioni meteomarine costruite per e su quella mappa, e scuole surf, professionisti e cani sciolti, federazione, media, business plurimilionario and so on.
Ed è grazie a quella mappatura se esistono, ancora oggi, posti segreti, anche se si vedono perfettamente su Google Earth: ci sono comunità che non sono mai volute apparire sulle mappe, altre che via via sono lì comparse, altre che negli anni hanno voluto via via scomparire.

Il fatto – certo, evidente, che accomuna tutte le storie che compongono il mosaico surf italiano – è che nonostante sia il dove ad aver creato il cosa, per quanto riguarda il surf, il dove all’oggi non esiste, se è possibile che bellezza monumentale e decenni di storia locale vengano spazzate via senza nemmeno la possibilità di dire a livello giuridico: fermi, qui esiste questo.

Ci sono esempi di decine e decine di onde scomparse, tante altre in pericolo, e biografie di comunità che hanno provato a reagire in maniera reattiva, ma non esiste all’oggi in Italia nessuna azione giuridicamente propositiva, che provi cioè a strutturare un percorso e un agire giuridico e di comunità che includa espressamente la nozione di ‘onda’ e ‘surf break’ come soggetto di norma.
Manca all’oggi un precedente, un appiglio, uno strumento.
Modelli a cui ispirarsi, diversi per tipologia, già esistono nel mondo: la Nuova Zelanda, primo paese al mondo ad adottare una legislazione che tutela surf breaks in forma diretta, ha garantito protezione giuridica (2010) a 17 onde di importanza nazionale; questo riconoscimento ha permesso che a cascata onde considerate di importanza regionale o locale venissero via via attenzionate, creando de facto un sistema di protezione e valorizzazione dal livello nazionale a livello locale.

Il Perù è un altro esempio di tutela specifica dei frangenti, che con la “ley de preservacion de las rompientes apropriadas para la practica deportiva”, (2001, 2013) ha protetto 43 onde a livello governativo.
Il Cile sta lavorando a una legge simile, e punta all’approvazione nel 2024; le comunità locali nel frattempo hanno ottenuto che venisse inserito il frangente di Punta de Lobos all’interno della omonima riserva UNESCO garantendogli così protezione indiretta, metodo seguito anche alle Azzorre, dove si è riusciti ad includere onde all’interno di aree marine protette come sistema di protezione.
L’Uruguay ha avviato un processo di creazione di Riserve di Surf riconosciute dallo Stato attraverso la validazione di un elenco dei frangenti, e nell’anno 2021 il Ministero dell’Ambiente ha espresso appoggio formale al programma.
In Inghilterra è nata nel 2024 una World Surfing Reserve in North Devon, una delle 12 patrocinate da SaveTheWave coalition, assieme ad Ericeira, in Portogallo, e altre in Messico, Cile, California, Australia; sebbene queste WSR non abbiano valore vincolante, sono un passo positivo nel cammino verso un riconoscimento sostanziale del patrimonio che i surf break rappresentano in termini naturalistici, paesaggistici, culturali, ed economici, per i territori e le comunità coinvolte.

Foto: Mario Trave

In Francia esiste, recentemente istituita, (2023) la riserva d’onde di Quiberon in Bretagna; voluta a livello comunale, che punta a difendere l’idrodiversità delle onde del territorio in oggetto, ossia le onde nella loro diversa identità, e di riflesso il tratto di mare e di costa che concorrono alla loro formazione.
Ancora: le Hawai’i non menzionano a livello normativo le onde in maniera diretta, ma attraverso la legislazione vigente sono utilizzati meccanismi indiretti per proteggere le onde considerate attività ricreative oggetto di protezione, includendo così luoghi dove praticare il surf che includano le onde.
Il Costarica non ha una legislazione specifica per la protezione delle onde, ma ha promosso l’ attività del surf come attività di interesse nazionale: dal 2019 esiste una legge che dichiara la pratica e lo sviluppo del surf di interesse pubblico e attività di importanza turistica economica e sportiva.

Il Marocco agli inizi degli anni 2000 ha deciso di bloccare l’allargamento del porto di Safi (il porto commerciale più grande del Marocco centro – settentrionale) per salvare una delle 10 onde più belle del mondo, le Jardin di Safi appunto, riconoscendone di fatto il valore monumentale, grazie ai sacrifici e all’impegno di uno sparuto gruppo di devoti locali, un salvataggio site – specific colpevolmente ancora poco raccontato.

In Italia una normativa specifica che riconosca le onde come patrimonio naturale e culturale è ancora sostanzialmente inesistente; questo, nonostante l’evidenza racconti che quasi un terzo delle coste italiane siano fagocitate da barriere frangiflutti con l’Adriatico, letteralmente, cimitero di massi, e che un appiglio, un precedente, uno strumento sia necessario come aria.
Leggi, decreti, strumenti di pianificazione territoriale, piani spiaggia o altri strumenti legali che menzionino i frangenti, all’oggi, non esistono.

Non esiste un elenco depositato a livello ministeriale di frangenti meritevoli, o l’avvio di una dialettica con le Regioni per una normatizzazione, non è stato avviato all’oggi nessun processo di riconoscimento, e a parte sporadici interventi locali, nè le onde nè gli spot come luoghi esistono in senso giuridico. Se a livello comunale esistono sparuti meccanismi di identificazione site-specific, la situazione generale è di un gigantesco vuoto normativo e identitario sul ’dove’ come esito e ragione prima ancora che come luogo specifico.

Foto: Mario Trave

Un riconoscimento sostanziale delle onde come meritevoli di protezione e tutela, in Italia, è possibile: esiste un elenco e una mappatura degli spot, esistono criteri di valutazione della qualità di queste onde internazionalmente codificati, uno storico e una storia locale, un gruppo di interesse e di pressione, esistono requisiti per dimostrarne carattere di eccellenza e monumentalità in senso paesaggistico, naturalistico, socio-culturale, economico, già esistono riferimenti pertinenti in leggi e normative che trattano questioni ambientali, paesaggistiche o culturali che possono essere utili nello sviluppo di un processo di riconoscimento identitario e normativo dei surf spot.

Esiste inoltre l’evidenza scientifica che la stragrande maggioranza degli spot di eccellenza insistono all’interno di hotspot di biodiversità ecosistemica (a livello mondiale come a livello nazionale): riconoscere la specificità dei frangenti in tantissimi casi significa riconoscere – e per questo proteggere – ricchezza ecosistemica, dove l’onda è parte del tutto e simbolo di una protezione più ampia, riassumibile nel concetto di surf-ecosystem e foriero di possibilità nuove.

C’è bisogno di confronto, sicuramente: la pubblica opinione, le comunità coinvolte, i media, la Federazione, la comunità scientifica, la politica di territorio, regionale, nazionale, l’ambientalismo, serve un dibattito che sostenga la necessità o meno di vedere riconosciuta a livello giuridico l’esistenza dei surf-break come evidenze e esiti meritevoli di attenzione e tutela, il frangente come patrimonio, paesaggio, bene culturale ed ambientale, un dibattito che contribuisca alla nascita di siti di interesse meritevoli di protezione in quanto surf-ecosystems, e arrivare così ad avere strumenti, un percorso, e precedenti, per il presente e il futuro dei tanti ‘dove’ italiani e delle comunità coinvolte di oggi e domani.

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